Carige, la 'stramba' idea di Malcalza: il tesoretto di Pirelli va in fumo
L'industriale genovese di adozione perde al momento 228 milioni di euro con il suo investimento, deciso quando la crisi del credito stava per deflagrare...
Com'è possibile far sparire centinaia di milioni di euro da una banca? In molti fantasiosi modi, ma uno in particolare sembra non fallire mai: attraverso acquisizioni effettuate a prezzi sopravvalutati, non meno che attraverso la concessione di crediti a “debitori di riferimento” che finiscono col sedere nei Cda degli istituti. Non è sfuggita alla regola, che anche in Italia ha trovato negli anni molte conferme, Banca Carige, che sotto la guida, dissennata, di Giovanni Berneschi (che allo zenit della sua carriera era anche divenuto vice presidente dell’Abi e venne poi condannato a 8 anni e 2 mesi per truffa, riciclaggio e associazione a delinquere) è riuscita a bruciare quasi 5,2 miliardi di euro di capitalizzazione.
Il modus operandi era sempre lo stesso: un commercialista consulente dell’istituto ligure redigeva perizie su società e immobili che venivano poi acquistate da Carige Vita Nuova, la compagnia assicurativa del gruppo, gonfiando ad arte il valore dell’asset che doveva passare di mano come la Balitas di Lugano, che secondo l’Isvap (che riscontrò “aspetti di opacità” e “eccessiva onerosità” in questo tipo di compravendite) è stata tra le operazioni create per drenare risorse a Carige Vita Nuova e alla controllante Carige Spa. Dopo le indagini è infatti emerso come Balitas facesse capo a un fiduciario di Berneschi, che da parte sua presiedeva anche il Cda di Carige Vita Nuova. Il giochino è andato avanti per anni, tra compravendite di alberghi, quote e società, creando tutta una serie di tesoretti per un centinaio di milioni di euro, alcuni depositati in conti e titoli presso banche svizzere altri, come quello sequestrato allo stesso Berneschi da 21,3 milioni di euro, addirittura direttamente in Carige.
Quel che sorprende, visto che l’inchiesta aveva già portato in carcere Berneschi e altri imputati nel maggio 2014, è che l’anno successivo Vittorio Malacalza, origini bobbiesi (Piacenza) ma genovese d’adozione da una vita, abbia deciso di investire in Banca Carige una sostanziosa fetta della plusvalenza con cui era uscito qualche mese prima da Pirelli (300 milioni circa, a fronte di 200 milioni inizialmente investiti, senza contare i circa 20 milioni di dividendi incassati negli anni).
Malacalza ha infatti dapprima rilevato un 10,5% dell’istituto dalla Fondazione Carige a un prezzo “in saldo” (66,2 milioni), poi è salito al 17,59% investendo quasi altri 200 milioni, per un controvalore complessivo di 263,5 milioni. Alle quotazioni attuali (poco più di 24 centesimi per azione, per una capitalizzazione complessiva di 202 milioni, una pallida frazione dei 5,4 miliardi toccati nel giugno 2006) la sua partecipazione vale solo 35,5 milioni, il che significa che la perdita potenziale è pari a 228 milioni ossia al 86,5%.
Non che Malacalza non abbia provato a raddrizzare la barca: appena arrivato sul ponte di comando ha subito fatto promuovere un’azione di responsabilità nei confronti sia di Berneschi sia degli ultimi vertici (l’ex presidente Cesare Castelbarco Albani e l’ex amministratore delegato Piero Montani), poi si è mosso contro il fondo Apollo (che ha rilevato le attività assicurative di Banca Carige e ha più volte tentato di scalare l’istituto), chiedendo 1,25 miliardi di danni, infine ha nominato due ulteriori amministratori delegati: prima Carlo Bastianini (chiamato nella primavera 2016 assieme al presidente Giuseppe Tesauro), poi Paolo Fiorentino (il 21 giugno scorso).
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