Economia

Cattolica, l'Ivass chiede la revisione della governance. Bivio per Generali

di Marco Scotti

L’Ivass chiede la revisione della governance e una forte discontinuità con il sistema di potere incentrato sul voto capitario che ha dettato legge a Verona

Verona è in subbuglio. Cattolica Assicurazioni ha ricevuto la relazione conclusiva del rapporto ispettivo dell’Ivass. Una querelle iniziata alla fine del 2019 quando l’allora amministratore delegato Alberto Minali andò allo scontro con il presidente Paolo Bedoni, con il secondo che ha mantenuto la carica mentre il primo è uscito sconfitto. Poco più di 13 mesi dopo, con un mondo ormai completamente stravolto, l’istituto di vigilanza delle assicurazioni ha presentato un conto molto salato a Cattolica.

Primo: ha chiesto una forte discontinuità a livello di governance, con la proposta di rimozione dell’intero consiglio di amministrazione, fatti salvi quei consiglieri espressione di Generali. Il Leone, infatti, è il primo azionista della compagnia scaligera con il 24,4% del capitale. Ma, pur essendo primo azionista, ad oggi ha in dote solo tre membri su 17 del cda: si tratta di Elena Vasco, Roberto Lancellotti e Stefano Gentili

Il motivo per cui l’Ivass ha chiesto un “rimpasto” va ricercato prima di tutto nel meccanismo di voto dell’assemblea dei soci, di cui il cda è espressione. Come avviene per il credito cooperativo, infatti, Cattolica ricorre ancora al voto capitario, che dona a ogni avente diritto, indipendentemente dalla quantità di azioni in suo possesso, di avere lo stesso peso. Era l’espressione di una vecchia concezione del sistema bancario e assicurativo che la riforma Renzi ha provveduto a smantellare quasi completamente, imponendo il tetto massimo di 8 miliardi di attivi come limite per essere dichiarati “banca popolare”. 

Un altro motivo per cui l’Authority di vigilanza assicurativa ha chiesto un rapido rimpasto a Cattolica riguarda l’eccessivo peso del presidente Bedoni sull’intero consiglio di amministrazione. Si tratta di un’accusa grave che è al centro di un’indagine della procura di Verona, che avrebbe come ipotesi di reato l’illecita influenza sull’assemblea. In parole povere, l’Ivass ritiene che il potere del numero uno dell’azienda sia talmente vincolante sul cda da minarne alle fondamenta il potere decisionale. Secondo l’Authority, proprio il peso di Bedoni avrebbe spinto per un investimento in H-Farm – l’incubatore di start-up oggi reinventatosi scuola di alta formazione – avviato nel 2013 e risoltosi fino ad ora in una perdita per Cattolica. Si parla di complessivi 25 milioni, a fronte di una partecipazione scesa dal 4,5 al 3,78% dopo l’ultima ricapitalizzazione. 

In questo scenario si innesta anche la querelle tra Banco Bpm e Cattolica. I due soggetti avevano creato una joint venture che ha portato alla nascita di Vera Vita e Vera Assicurazioni. Tutto è andato nel migliore dei modi fino a che l’ingresso nel capitale azionario di Cattolica da parte di Generali ha fatto “saltare la mosca al naso” all’amministratore delegato del Banco Giuseppe Castagna. Brevemente i fatti: nell’estate del 2020 Cattolica ha un indice di solvibilità in pericolosa discesa verso quota 100%, troppo poco per i parametri dell’Ivass. Che infatti interviene chiedendo un aumento di capitale da mezzo miliardo in due tranche. La prima, dedicata a Generali, vale 300 milioni e garantisce al Leone il 24,4% delle azioni di Cattolica, divenendo il primo azionista della compagnia assicurativa. Il secondo, da 200 milioni, dovrà essere completato pro quota entro l’anno e costerà a Generali poco meno di 50 milioni. 

I parametri migliorano, tanto che l’ultimo dato disponibile parla di 189% con “vista” sul 200%. Ma il Banco non ci sta: ritiene che l’ingresso del Leone tolga qualsiasi potere decisionale al management precedente, cioè quello capitanato da Bedoni stesso e decide di procedere con l’opzione di acquisto del 65% delle due joint venture come da patto parasociale sottoscritto nel 2018. Apriti cielo.

Tra Verona e Milano inizia uno scambio di missive sempre più pesanti fino a che Cattolica annuncia pubblicamente di voler chiedere un risarcimento da 500 milioni, negando fermamente che Generali abbia un qualsiasi peso che incida “sui rapporti societari e commerciali” (come si legge nella lettera di diffida inviata da Cattolica a Banco Bpm). 

In tutto ciò rimane il tema del consiglio di amministrazione che riguarda da vicino Generali: che cosa farà il Leone? Si comporterà ancora da semplice azionista, avallando un consiglio di amministrazione espressione della continuità aziendale, seppur non più sotto l’egida di Bedoni, o deciderà di muoversi da “capo”, stabilendo nomi e figure come si confà al principale azionista? Da Trieste, per ora, tutto tace. Ma le decisioni andranno prese rapidamente.