Economia
Conti correnti, l'inflazione mangia risparmi: bruciati 61 miliardi in 15 mesi
Oltre 61 miliardi di euro i depositi totali “saccheggiati” dagli italiani a partire da dicembre 2021. E il potere d'acquisto torna indietro di 25 anni
Allarme banche: in 15 mesi bruciati 61 miliardi di euro dai conti correnti
Il rialzo del costo del denaro operato dalla Banca centrale europea ha cambiato le carte in tavola per famiglie e imprese. Nel mix tra tassi di interesse ed inflazione la ricchezza accumulata nel corso di anni corre il rischio di andare in fumo in tempi brevi. La corsa sfrenata dei prezzi, i prestiti più onerosi e la perdita di potere di acquisto, rileva una analisi della Fabi, sono alcune delle maggiori conseguenze di un meccanismo economico che mina il tesoretto degli italiani e continua a metterne a dura prova la capacità di risparmio.
Tra dicembre 2021 e marzo 2023, il saldo totale dei conti correnti di famiglie e imprese è calato di oltre 61 miliardi di euro, da 2.076 miliardi a 2.015 miliardi; in soli tre mesi, da dicembre 2022 a marzo 2023, la variazione negativa è stata pari a oltre 50 miliardi. Intanto, si allarga sempre di più la forbice tra l’andamento dei tassi di interesse applicati ai prestiti e ai mutui e quelli su depositi e conti. Se i primi sono aumentati ampiamente nel corso degli anni gli altri sono rimasti pressoché invariati, dimostrando come agli istituti di credito, incalza la Fabi, “interessi poco premiare chi deposita la propria liquidità in banca”. Una realtà che trova conferma negli utili al 31 dicembre 2022 dei maggiori istituti di credito italiani, pari a 12,8 miliardi di euro, in aumento del 66% sul 2021, segno di ricavi in aumento, minore costo del credito e spese operative invariate.
Dall’analisi di conti correnti e depositi degli ultimi due anni emerge con chiarezza un segnale di sofferenza generale perché l’erosione delle disponibilità liquide nel portafoglio di famiglie e imprese non lascia dubbi sul sostegno che i “salvadanai” degli italiani hanno garantito all’economia del Paese, ma anche sulle difficoltà che gli stessi continuano a sperimentare nel preservare la propria liquidità accumulata. Le famiglie italiane vantavano depositi sui conti bancari per circa 1.163 miliardi di euro alla fine del 2021 e 1.174 miliardi di euro a dicembre 2022 mentre la liquidità in conto posseduta dalle imprese si attestava a 428 miliardi di euro a fine 2021 e a 423 miliardi di euro lo scorso dicembre. Le due componenti, complessivamente, superavano i 1.500 miliardi a fine dello scorso anno che, insieme alle disponibilità liquide di onlus, enti previdenziali ed assicurazioni, sfioravano il tetto dei 2.015 miliardi alla stessa data, contro i 2.076 miliardi di euro a fine 2021.
Il calo complessivo delle risorse depositate in soli tre mesi ha toccato ben 50 miliardi di euro, spesi per coprire consumi e investimenti. Se si analizzano tutte le forme di giacenza sui conti bancari, sono oltre 61 miliardi di euro i depositi totali “saccheggiati” dagli italiani a partire da dicembre 2021 fino ad arrivare a marzo 2023, utili per fronteggiare i danni economici subiti da inflazione e il ridotto potere di acquisto. Davanti a un periodo di stretta creditizia, anche per l’effetto indotto dall’impennata dei tassi variabili, attingere ai propri conti liquidi sacrificando il risparmio resta l’unica ancora di salvezza. È così che il saldo complessivo di depositi e conti correnti a dicembre 2021 era di 2.076,8 miliardi di euro, contratto a 2.065,5 miliardi già a dicembre del 2022, per poi diminuire ulteriormente a scarsi 2.000 miliardi alla fine del primo trimestre del 2023. Alla stessa data di fine 2022, sui depositi vincolati a medio-lungo termine del popolo dei risparmiatori giacciono 153 miliardi di euro, in discesa di 2,4 miliardi (-1,6%) su base annua e in calo raddoppiato a 4,1 miliardi (-2,6%) tra dicembre 2022 e marzo scorso.
L’allarme rosso sui risparmi degli italiani si affaccia, con maggiore vigore, alla fine del primo trimestre del 2023 quando risulta evidente che la difficoltà economica a rincorrere la risalita dei prezzi con la propria capacità reddituale continua, infatti, ad erodere pesantemente la liquidità del sistema. A fine marzo scorso, i depositi delle famiglie si contraggono del 2,14% - raggiungendo il valore di 1.149 miliardi di euro. In soli tre mesi sono stati bruciati ben 89,5 miliardi di euro sui soli conti correnti, quasi 5 volte quanto attinto dalle riserve degli italiani nei dodici mesi precedenti (ovvero 21,9 miliardi di euro).
A marzo 2023, il saldo della liquidità corrente ammonta a 1.368 miliardi di euro, contro i 1.458 miliardi di euro a fine 2022, con una discesa del 6,1% di valore. La contrazione, già avviata tra il 2021 e il 2022, si è confermata nei primi mesi del 2023, quale segnale sempre più evidente di un clima di tensione per famiglie e imprese.
Il potere d'acquisto degli stipendi indietro di 25 anni
“L’inflazione è la più ingiusta delle tasse, perché colpisce soprattutto chi ha redditi bassi e ha pochi risparmi. Il rischio, insomma, è quello di vedere aumentare le disuguaglianze sociali. Il potere d’acquisto degli stipendi, purtroppo, è tornato indietro di 25 anni”, commenta il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni.
“La soluzione va cercata nel rinnovo dei contratti collettivi di lavoro - prosegue - alcuni scaduti anche da più di cinque anni, con importanti aumenti economici. Chi ha liquidità sul proprio conto corrente è particolarmente colpito perché i suoi soldi valgono sempre meno. Per questo è fondamentale che le banche, che hanno beneficiato dell’aumento del costo del denaro, adesso restituiscano alla clientela una parte di quei benefici alzando i tassi d’interesse sui conti correnti”.