Economia
Contratto Lega-M5S, così cambiano i Btp. Ma anche questo è il libro dei sogni
Il responsabile economico della Lega spiega: non chiederemo alla Bce di cancellare i titoli del debito pubblico, basta sterilizzare gli interessi come in Uk
I mercati? Si sono sbagliati, spiega Claudio Borghi, responsabile economico della Lega che da ex trader (ha lavorato per Merrill Lynch e Deutsche Bank) i mercati dovrebbe conoscerli bene. La richiesta alla Bce di cancellare 250 miliardi di euro di titoli di stato italiani? Non è mai esistita, semmai il governo gialloverde, se nascerà, avanzerà la richiesta di “un cambio delle regole contabili, per tutti i paesi europei, non solo per l’Italia”.
Cambio che prevederebbe “che tutti i titoli riacquistati dalla Banca centrale europea non contino per il calcolo del debito/Pil”, seguendo l’esempio della Gran Bretagna che, nota Borghi, nel calcolo del debito pubblico non tiene conto dei titoli di stato riacquistati dalla Bank of England (attraverso il quantitative easing vennero negli scorsi anni riacquistati 435 miliardi di sterline di titoli, tuttora in bilancio). Che ci vuole, dirà qualcuno: ci vuole in effetti una modifica del Trattato di Lisbona che all’articolo 123 proibisce il finanziamento monetario del debito pubblico che la “sterilizzazione” dello stesso proposta da Borghi implicherebbe.
Siccome una simile modifica andrebbe richiesta e votata in seno al Consiglio europeo, che dovrebbe votarla all’unanimità, anche solo il voto contrario di un paese europeo (per esempio la Germania o uno dei suoi tradizionali “alleati del Nord”) bloccherebbe la procedura. L’ipotesi non è così remota visto che fino allo scorso anno l’ex ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, proponeva che alle singole banche nazionali (che acquistano titoli per conto della Bce, non a caso nell’attivo di bilancio della Banca d’Italia si trovano i 250 miliardi di euro di titoli di stato italiani di cui da ieri si discute) fosse imposto (dalla Bce) un limite all’ammontare di titoli pubblici del proprio paese che le stesse potessero detenere o che questi titoli non fossero più considerati privi di rischio, richiedendo quindi adeguati accantonamenti a bilancio.
Se poi anche venisse accolta la richiesta, l’esempio inglese non è del tutto calzante almeno per due motivi: primo, la Bank of England detiene un quarto circa del debito pubblico britannico, così quando ritrasferisce al Tesoro gli interessi che questi le paga sui titoli di stato inglesi il costo del debito cala per Londra da 48 miliardi di sterline lordi a 33 miliardi netti (cifra prevista in crescita a 36 miliardi quest’anno e a 42 miliardi l’anno prossimo dall’Office for Budget Responsability). Per contro la Bce/Banca d’Italia al momento non possiede più del 15% del debito pubblico italiano, mentre il 29% circa è in mano alle banche italiane, il 21% alle assicurazioni e il 5% alle famiglie, oltre al 30% residuo in mano ad investitori esteri.
Secondo, per acquistare titoli la Bank of England come la Bce o qualsiasi altra banca centrale crea moneta, ossia liquidità (che viene poi immessa nel sistema: il famoso “bazooka” con cui Draghi ha evitato il collasso dei mercati finanziari europei nel 2011-2012). Ma questo meccanismo crea inflazione e modifica i tassi di cambio. La Bce (o le singole banche nazionali) si troverebbe dunque a dover reflazionare l’economia di un’area specifica, senza poter muovere il cambio (visto che la valuta è l’euro per tutti i paesi dell’area), cosa che comporterebbe de facto o la fine dell’euro o la mutualizzazione del debito di ciascun paese in modo totalmente non condizionato.
Cioè l’esatto opposto di quanto hanno sempre chiesto la Germania e i suoi alleati, temendo in caso contrario di dover finire con l’accollarsi i debiti dei “porcellini europei” (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) o di qualsiasi paese che abbandonasse la strada della “virtù” monetaria e fiscale a spese altrui ad esempio per sovvenzionare la propria crescita a debito.
Che poi l’aumento del debito possa essere una buona strategia per far crescere l’economia oltre certi livelli è cosa dubbia assai, anzi è dimostrato che non serve in condizioni di crescita economica, sia pure lieve, e con rapporti debito/Pil già ampiamente superiori al 100%, come nel caso italiano. Ma questa è un’altra storia e già il fatto che il Pil italiano restasse a fine 2017 di circa il 5,4% sotto i livelli (record) del 2007, pur con un bilancio pubblico italiano che nell’ultimo decennio è aumentato ancora di un 20%, passando da circa 707 ad oltre 852 miliardi, dovrebbe aver insegnato a tutti come andrà a finire.
Luca Spoldi