Economia

Draghi striglia l'Europa: "Ci siamo imposti i dazi da soli. Necessario un cambiamento radicale"

L'ex premier e presidente della Bce Mario Draghi in un commento pubblicato sul 'Financial Times'

di redazione

Draghi: “È l’Europa a imporre dazi su sé stessa”

Fra crescita anemica e minacce dei dazi Usa "le ultime settimane hanno fornito un duro promemoria circa le vulnerabilità dell'Europa" considerando "la dipendenza dalla domanda estera". Lo sottolinea l'ex premier e presidente della Bce Mario Draghi in un commento pubblicato sul 'Financial Times' in cui spiega come "due fattori principali hanno condotto l'Europa in questa situazione difficile, ma possono anche farla uscire" dalla crisi purche' sia "disponibile a un cambiamento radicale".

"Il primo è la lunga incapacità dell'UE di affrontare i suoi vincoli sulle forniture, in particolare le elevate barriere interne e gli ostacoli normativi. Questi sono molto più dannosi per la crescita di qualsiasi tariffa che gli Stati Uniti potrebbero imporre e i loro effetti dannosi stanno aumentando nel tempo. L'FMI stima che le barriere interne dell'Europa equivalgano a una tariffa del 45 percento per la produzione e del 110 percento per i servizi. Queste riducono di fatto il mercato in cui operano le aziende europee: il commercio tra i paesi dell'UE è inferiore alla metà del livello del commercio tra gli stati degli Stati Uniti".

Draghi lamenta come le normative UE abbiano "ostacolato la crescita delle aziende tecnologiche europee impedendo all'economia di liberare grandi benefici in termini di produttività". Un esempio, sono "i ​​costi per conformarsi al GDPR, ad esempio, che si stima abbiano ridotto i profitti delle piccole aziende tecnologiche europee fino al 12 percento". L'incapacità di ridurre le barriere interne ha anche contribuito" a una dipendenza dell'Europa dal commercio che oggi in termini di Pil pesa il 55 % nella zona euro, mentre in Cina è al 37 percento e negli Stati Uniti solo al 25 percento. Un elemento che - ricorda Draghi - "è stato una risorsa in un mondo in via di globalizzazione, ma ora è diventata una vulnerabilità".

Ma Draghi segnala come altro punto debole il livello basso della domanda interna , a differenza di quanto avvenuto negli Stati Uniti:un "crescente divario" che si è trasformato "in elevati surplus commerciali" ma che soprattutto "ha ripercussioni su una crescita eccezionalmente debole della produttività totale" dopo le fasi di recessione. L'ex premier punta quindi il dito sulle politiche fiscali di austerità, per abbattere i deficit: "dal 2009 al 2024, il governo degli Stati Uniti ha immesso nell'economia oltre cinque volte più fondi tramite deficit primari, 14.000 miliardi di euro contro i 2.500 miliardi di euro nell'eurozona".

Ma - continua l'analisi - visto che questi punti deboli su domanda e offerta "sono in gran parte opera dell'Europa stessa" è possibile "modificarli", lavorando sull'abbattimento dei vincoli interni e aumentando la produttività. "Allo stesso tempo, un uso più proattivo della politica fiscale, sotto forma di maggiori investimenti produttivi, aiuterebbe a ridurre i surplus commerciali e a inviare un forte segnale alle aziende affinché investano di più in R&S. Ma questo percorso richiede un cambiamento fondamentale di mentalità". "Tutelare i conti pubblici ha permesso la sostenibilità del debito" mentre il moltiplicarsi delle normative "è stata pensato per proteggere i cittadini dai rischi delle nuove tecnologie". "Ma è ormai chiaro che agire in questo modo non ha portato né benessere agli europei, né finanze pubbliche sane, né tantomeno autonomia nazionale, che è minacciata dalle pressioni dall'estero. Ecco perché è necessario un cambiamento radicale" conclude Draghi.

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