Economia

Ex-Ilva, pronti 689 milioni e lo scudo penale per salvare gli amministratori

La produzione della (un tempo) più greande acciaieria d'Europa è scesa a sole 3 milioni di tonnellate

Ex-Ilva, pronti 689 milioni per garantire la continuità

Il Consiglio dei ministri è convocato alle 18 di oggi 28 dicembre a Palazzo Chigi. Sul tavolo potrebbe approdare anche una misura "tampone", probabilmente un decreto, con un prestito ponte destinato all'ex Ilva di Taranto, per permettere all’azienda di far fronte alla crisi di liquidità e ridurre la sua pesante esposizione debitoria verso i principali fornitori. Non è ancora certo che il dl arriverà già oggi, ma rumors sostengono che al ministero delle Imprese e del Made in Italy capitanato da Adolfo Urso si stia lavorando per chiudere oggi il decreto.

Si tratterebbe di un finanziamento sotto forma di prestito per dare ossigeno all’azienda, messa alle corde dalla scarsezza di circolante e dal rilevante debito accumulato verso una platea di fornitori, tra i quali c’è anche l’indotto industriale locale  Al riguardo, si ipotizza un intervento del Governo che dovrebbe ammontare a 689 milioni che potrebbero essere presi dal miliardo di euro che ha destinato all’ex Ilva il dl Aiuti Bis dei mesi scorsi. Di più: dovrebbe essere messo a punto, come scrive Il Messaggero, uno scudo penale che tuteli gli amministratori di Acciaierie d'Italia, a partire dal presidente Franco Bernabè dal rischio di bancarotta preferenziale se, nonostante l'iniezione statale - salita a 689 milioni, secondo gli ultimi calcoli - la ex Ilva dovesse andare a gambe all'aria.

L'ipotesi di una protezione legale da inserire nel decreto che stanzia le risorse pubbliche alla società siderurgica per rilanciarla visto che la produzione è ridotta a 3 milioni di tonnellate l'anno e anche per pagare debiti con i fornitori come l'Eni, scrive il Messaggero, potrebbe essere utilizzata alla ex Ilva in relazione, scrive il Messaggero, alla "tutela dell'ambiente, della salute e del lavoro", dopo che era stata chiesta proprio da ArcelorMittal anni fa quando acquistò Taranto e non avendola avuto, disdettò il contratto che diede vita a una disputa giudiziaria. I tecnici e i legali di Palazzo Chigi, Mimit e Tesoro stanno lavorando per adattare l'articolo 51 del codice penale, per cui "l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica esclude la punibilità". E il tema della continuità aziendale è stato sollevato nella lettera di giorni fa del presidente della holding Bernabè a governo e Invitalia, oggi socio al 38% mentre ArcelorMittal ha il 62%.

Sempre oggi 28 dicembre è prevista la riunione  a Taranto dei sindacati Fiom Cgil, Uilm e Usb con le istituzioni locali. L’altra scadenza, invece, è l’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia convocata il 29 in aggiornamento dal 23 dicembre. Intanto i sindacati Fiom, Uilm e Usb non vogliono depotenziare il rilancio della propria iniziativa avvenuta con la protesta del 23 dicembre, che ha visto il consiglio di fabbrica, il blocco temporaneo della strada statale Appia, all’altezza della direzione della fabbrica, e l’incontro col prefetto di Taranto, Demetrio Martino. Una giornata, quella dell’antivigilia di Natale, nella quale c’è stato anche l’episodio del sindacalista Usb Franco Rizzo caduto a terra e rimasto ferito nel trambusto creatosi nella portineria della direzione mentre i delegati lasciavano il consiglio di fabbrica.  

Dopo quanto avvenuto qualche giorno fa, ora a riaccendere la protesta è la possibilità che il Governo faccia retromarcia rispetto all’iniziale volontà di anticipare, rispetto a maggio 2024, il passaggio dello Stato in maggioranza in Acciaierie d’Italia. Un passo indietro viene infatti valutato dai sindacati (anche dalla Fim Cisl, che però non ha aderito alla manifestazione del 23) il prestito pubblico all’azienda. Non importa, dicono, se sia ponte o a più lunga durata. Per le sigle metalmeccaniche, l’immissione di liquidità in un’azienda che non offre alcuna garanzia è in netta controtendenza rispetto a quanto il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha dichiarato nell’ultimo mese. E cioè che bisogna riequilibrare la governance societaria, che oggi vede il privato Mittal in maggioranza (62 per cento) mentre lo Stato, con Invitalia, è minoranza (38 per cento), e che “lo Stato non può essere un bancomat, non può dar soldi senza un chiaro piano industriale che arresti il declino”.                 

L’aspettativa delle sigle sindacali è che se sarà confermata la scelta del prestito ad Acciaierie d’Italia, questa contenga almeno dei “paletti” che vincolino la società alla ripartenza dell’ex Ilva, con la ripresa della produzione e dell’occupazione. Posizione critica sul prestito, infine, anche da Pd col deputato Ubaldo Pagano e dal M5S col vice presidente Mario Turco.