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Economia
Fca crolla dopo conti e profit warning, per Manley un debutto difficile

Sergio Marchionne non c’è più: il manager che aveva trovato Fiat Auto appena fuori dal baratro ed è stato in grado di trasformarla in Fiat Chrysler Automobiles, moltiplicandone per nove il valore nonostante gli spinoff di Cnh Industrial e Ferrari si è spento in Svizzera poche ore fa e se John Elkann esprime un sincero cordoglio per “l’uomo e l’amico”, tutti gli azionisti di Fca si rammaricano subito della sua assenza nel giorno in cui il titolo crolla fino a 11 punti dopo risultati trimestrali sotto le attese e, soprattutto, il taglio delle attese future, prima di accennare a un parziale recupero.

Un taglio inatteso che obbliga il successore di Marchionne, l’inglese Mike Manley, ad evocarne subito la presenza: “Penso che anche Marchionne avrebbe rivisto le guidance” spiega il nuovo numero uno commentando in conference call i risultati semestrali del gruppo su cui ha pesato un secondo trimestre “duro”, come, ribadisce Manley, “lo stesso Marchionne aveva anticipato, ed è stato proprio così” anche se non son mancati segnali positivi nota il manager: il secondo trimestre ha infatti visto ricavi netti per 29 miliardi di euro, in rialzo del 4% annuo (+11% a parità di cambi).

Troppo poco per quietare gli “animal spirit” dei trader che vendono a più non posso, portando a casa parte del comunque robustissimo guadagno sui dodici mesi (alla chiusura di ieri il rialzo sfiorava il 65% contro poco più dell’1% di guadagno segnato dall’indice Ftse Mib nello stesso periodo), nonostante Manley abbia continuato a gettare acqua sul fuoco, anzitutto sottolineando come resti confermato l’obiettivo in termini di utile netto rettificato (5 miliardi di euro), pure se sono state riviste al ribasso le stime sui ricavi (portati a 115-118 miliardi da 125 miliardi in precedenza), sull’Ebit rettificato (7,5-8 miliardi contro 8,7 miliardi precedenti) e sulla posizione di cassa netta a fine 2018 (3 miliardi di liquidità e non 4 miliardi).

A deludere oggi sono stati proprio l’Ebit rettificato (1,655 miliardi, -11% ovvero -3% a parità di cambi) e la posizione finanziaria netta (ufficializzato l’azzeramento del debito, ancora pari a 2,7 miliardi nel 2017, a fine giugno c’erano in cassa 500 milioni di euro), ma anche l’utile netto (754 milioni di euro, -35% rispetto a un anno prima, ovvero -26% a parità di cambi), mentre i ricavi e l’utile netto rettificato (981 milioni, -9%, stabile a parità di cambi) sono apparsi in linea con le attese.

Quello che maggiormente sembra preoccupare analisti e investitori resta tuttavia lo sviluppo in Asia, dove già il trimestre si è chiuso in di 98 milioni contro un utile di 44 del secondo trimestre 2017 (e con Maserati che ha registrato appena 2 milioni di Ebit contro i 152 milioni di un anno prima risentendo negli effetti negativi legati all’annuncio di modifiche ai dazi sui veicoli importati in Cina).

Altro punto interrogativo riguarda poi lo sviluppo dell’auto elettrica, in cui Marchionne, stante i numeri attuali prima che prospettici, ha sempre evitato di impegnarsi giudicandolo un investimento troppo costoso per le risorse di cui il gruppo poteva disporre e in vista dei risultati che si sarebbero potuti ottenere commercialmente a breve: una visione la cui correttezza sembra confermata dai problemi di Tesla, amata dai mercati ma incapace di chiudere un trimestre in utile e in ritardo con lo sviluppo delle vendite.

Quanto alla decisione di creare una divisione finanziaria negli Usa, preannunciata nell’ultimo Investor Day, il primo giugno scorso, Manley ha confermato che “è un work in progress, ci stiamo lavorando”, senza tuttavia fornire una tempistica precisa. Da qui a fine anno, per intanto, occorrerà capire se, come ha sottolineato il Cfa di Fca, Richard Palmer (che come Manley e il dimissionario Altavilla era nella ristretta rosa di candidati “in pectore” per succedere a Marchionne), emergeranno ulteriori segnali di ripresa, in particolare per Maserati, le cui consegne nel trimestre appena concluso sono crollate a 7.800 dalle 13.200 di un anno prima, in conseguenza della modifica dei dazi cinesi (calati dal primo luglio, cosa che ha fatto rinviare gli acquisti della rete e della clientela finale).

Più a lungo termine sempre Palmer, che per alcuni analisti potrebbe ancora essere in corsa per il ruolo di Ceo di Fca se Manley dovesse fallire la prova (un’incertezza che si dissiperà col passare dei mesi ma per il momento di certo non aiuta a restituire serenità all’azione) ha anche affermato che gli obiettivi previsti a fine piano (2022) per quanto ambiziosi possono essere centrati, concetto ribadito dallo stesso Manley che si è detto certo che il gruppo è “pienamente in grado di raggiungere” i target fissati da Marchionne elaborando il suo ultimo piano industriale.

Un piano che con la scomparsa del manager amante dei pullover blu appare una sorte di testamento operativo che gli azionisti del gruppo, a partire dagli eredi Agnelli, si debbono augurare sia profetico, visto che le difficoltà di altri grandi come General Motors, che sempre in giornata ha tagliato a sua volta le previsioni per i risultati 2018, finendo con l’aprire la seduta a Wall Street a sua volta in forte calo. Mal comune in borsa non è mezzo gaudio, ma forse serve a far capire come i problemi che il nuovo top management di Fiat Chrysler Automobiles dovrà affrontare siano problemi di settore, oltre che specifici dell’azienda ed anche questo, in fondo, è un segno di continuità con l’era Marchionne.

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