Economia
Fca-Renault, rischio cannibalizzazione per la 500. Elkann non "calcola" Nissan
Focus sulle sinergie Fca-Renault
Il “matrimonio del secolo” proposto da Fiat Chrysler Automobiles (Fca) al gruppo Renault piace ai mercati e agli analisti, ma nasconde alcune incognite. Prima tra tutti, quella relativa agli oltre 5 miliardi di sinergie annuali “run rate” (ossia proiettando nel futuro le condizioni attuali a cui vengono svolte le attività dei due gruppi, ndr).
Sinergie che Fca non precisa ancora da dove verranno fuori, salvo indicare che deriveranno da “investimenti più efficienti in termini di utilizzo del capitale in piattaforme globali dei veicoli, in architetture, in sistemi di propulsione e in tecnologie”. Un dettaglio che porta gli analisti ad attendersi fin d’ora risparmi di costi sugli acquisti (grazie alle maggiori economie di scala) e di ricerca e sviluppo (auto elettrica e a guida autonoma). Oltre alla possibilità di “spalmare” meglio gli ammortamenti e dunque poter sostenere maggiori investimenti (Capex) a parità di condizioni.
Sinergie, si sono premurati di far notare i vertici di Fca, che per oltre un miliardo l’anno andranno a beneficio anche dell’intera alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi. Sottolineare questo aspetto potrebbe indicare che col mercato statunitense già presidiato da Fca grazie a Chrysler, sia proprio l’Asia l’area a cui si guarda con rinnovato interesse per sviluppare le vendite.
Vendite che se sommate “linearmente” dovrebbero portare ad un colosso da 15,6 milioni di vetture prodotte ogni anno. L’anno scorso Renault-Nissan-Mistubishi vendette infatti 10,76 milioni di vetture di cui 3,9 milioni a marchio Renault, mentre Fca complessivamente 4,84 milioni (molto meno dei 7 milioni previsti dal piano industriale varato da Sergio Marchionne nel 2014).
Invece il comunicato di Fca parla di “8,7 milioni di veicoli venduti e una forte presenza di mercato nelle regioni e nei segmenti chiave”. Che fine hanno fatto i 6,9 milioni di vetture che mancano all’appello? Evidentemente la proposta di Fca non tiene conto proprio dei 6,86 milioni di vetture vendute da Nissan e Mitsubishi, che dunque resterebbero “alleate” ma non rientrerebbero direttamente nel perimetro del nuovo colosso.
Colosso che peraltro potrebbe soffrire di qualche effetto “cannibalizzazione” derivante dalla almeno parziale sovrapposizione di gamma specie nei segmenti medio e medio-bassi in Europa (si pensi a modelli come Fiat Cinquecento e Renault Clio), cosa che ha subito allarmato la Fiom-Cgil.
Vero è che finora Fca ha sostenuto che non sono previste chiusure di stabilimenti, come sembra confermare anche la cifra relativamente contenuta dei previsti costi di implementazione dell’integrazione (3-4 miliardi di euro il primo anno, compensati dai flussi di cassa operativi che dal secondo anno dovrebbero risultare pari a circa 5 miliardi l’anno). Però questo non significa che la produzione non possa essere riorganizzata e riallocata.
Come? Ad esempio spostando nell’Est Europa e in Asia proprio l’attività di quegli impianti che lavorano su modelli di piccola cilindrata (come Fiat Panda), mantenendo o riportando in Europa e negli Stati Uniti la produzione di vetture di alto di gamma o di marchi “premium” come Alfa Romeo o Maserati, che però generano volumi inferiori e dunque hanno necessità di minore mano d’opera. E quindi, come notano gli analisti di Banca Imi, i due gruppi potrebbero fare “fatica a mantenere tutti gli impianti”.
Resta poi da capire che fine possa fare un marchio come Lancia. Insomma il “matrimonio del secolo” ha certamente le carte in regola per poter funzionare, ma molti dettagli mancano ancora e non è detto che tutti potranno essere graditi alla politica e ai sindacati.
Luca Spoldi