Economia
Generali, perché Caltagirone e Del Vecchio hanno detto sì all'Opa su Cattolica
Ma la tregua nel board è solo sull'operazione scaligera...
La “naturale e logica evoluzione” del blitz del 2020 nel capitale di Cattolica in cui Generali, al termine della prima tranche del rafforzamento complessivo da 500 milioni, era salita a un soffio dal 25% approfittando del diktat dell’Ivass di fine maggio a Verona. Viene spiegata così da fonti vicine ai grandi azionisti della compagnia triestina, Leonardo Del Vecchio e Francesco Caltagirone, il disco verde unanime in consiglio di amministrazione al lancio dell’Opa totalitaria di Generali su Cattolica.
Un’operazione invece contestata in fase iniziale lo scorso anno da Romolo Bardin, il rappresentante di Delfin (al 4,8%) e dal vicepresidente del Leone (al 5,6%) soprattutto per le modalità con cui fu presentata a giugno 2020 in comitato investimenti e poi in consiglio, lasciando poco tempo per valutazioni approfondite. Ma che poi, digerita e giudicata positivamente, aveva nell’orizzonte di lungo periodo il take-over a completamento della strutturazione della partnership industriale fra le due compagnie nordestine.
Il punto è: nel lungo periodo. E questo era infatti l'orizzonte dell'epilogo atteso dal mercato, tanto che nei mesi scorsi Generali aveva continuato a sondare la Consob per avere certezze sulle proprie possibilità di movimento nel capitale del gruppo scaligero, una volta superata la soglia del 25% (e fino al 30%) senza incorrere nell'obbligo d’Opa.
E invece, forte di un tesoretto in cassa da 2,3 miliardi a servizio dell’M&A (che ora si assottiglierà a 1,1 miliardi) e che gli consentirà di salire entro fine anno, quando annuncerà il nuovo piano industriale triennale, al 100% di Cattolica, inglobandola, Philippe Donnet ha rotto gli indugi. Dal Leone spiegano che la ratio dell’acquisto del gruppo guidato da Carlo Ferraresi sta nella possibilità di conquistare della leadership del mercato italiano nelle polizze danni (un desiderata fin dai tempi di Mario Greco) e nella possibilità di conseguire, a regime, 80 milioni di sinergie ante imposte all’anno. Ragioni sposate dunque anche dai “riottosi” azionisti nel board che dopo mesi di voto a maggioranza si è finalmente espresso all’unanimità. “Nella situazione creata nel capitale di Cattolica era logico chiuderla in questo modo”, dunque.
Secondo alcune interpretazioni con l'operazione, Generali sottrae Cattolica, che è un asset importante del mercato assicurativo italiano, a possibili mire da parte di grandi gruppi stranieri. Difficile però, si fa notare, che una compagnia straniera muova sul capitale di una società che presenta già nel proprio libro soci un azionista ingombrante come Generali al 25%.
Alcune fonti finanziarie spiegano invece come, dopo la fase del rafforzamento patrimoniale e il passaggio da società cooperativa ad Spa, il buon andamento del business, come anche dimostrato dall’ultima trimestrale, e la ripresa economica alle porte abbiano consigliato ai manager della squadra di Donnet di giocare d'anticipo su un rafforzamento del titolo che dai minimi storici a quota 3,426 euro del 2 giugno 2020 ha messo a segno una performance di circa il 100%. Valori che ora invece potranno consentire al Leone di inglobare Cattolica ad un buon prezzo, risparmiando sui prezzi della seconda tranche dell’aumento di capitale da 200 milioni che Verona deve concludere entro il 31 luglio e a cui ora Trieste ha chiesto di non dare esecuzione.
(Segue...)