Economia
Google licenzia 12mila persone nel mondo: tutti i mali delle big del tech
La pandemia, le nuove abitudini di consumo, l’esigenza di trovare nuovi sbocchi per le risorse finanziarie globali: che cosa si è rotto?
Google pronta a licenziare 12mila posti di lavoro
Non si salva più nessuno. Alphabet, la holding che gestisce Google, YouTube e le altre attività di Mountain View, ha annunciato che licenzierà 12mila persone nel mondo, circa il 6% della forza lavoro. È solo l’ultimo capitolo di una storia che si arricchisce ogni giorno di un nuovo dettaglio horror. Prima di “Big G” sono arrivati Microsoft (10mila licenziamenti), Amazon (18mila) e Meta (11mila), per un totale di oltre 150mila posti di lavoro cancellati. A dimostrazione che il mondo è in un momento complicato, ma i big tech sono messi molto peggio. Licenziano, tra l'altro, in un momento in cui la disoccupazione negli Stati Uniti è al 3,5%, ai minimi storici.
Il Nasdaq, cioè l’indice che racchiude i titoli tecnologici, ha perso quasi il 2% della sua capitalizzazione, il 10% in più del S&P 500 che racchiude anche le azioni “tradizionali”. Insomma, un cataclisma che si può raccontare così: Apple, Amazon, Microsoft, Tesla e Meta hanno bruciato nel 2022 3.583 miliardi di dollari. Una cifra spaventosa, perché rappresenta quasi il doppio rispetto al pil italiano. Cinque aziende contro 60 milioni di persone. Incredibile.
Ma c’è di più. Passata l’emergenza della pandemia il mondo sembra aver riscoperto l’industria, le materie prime. Questo sicuramente in parte per l’esplosione dei costi dell’energia a causa della guerra in Ucraina. Ma non solo: perché l’inflazione galoppante e un nuovo approccio sostenibile hanno cambiato l’interesse degli investitori. Un esempio tutto italiano? Il green bond di Eni andato letteralmente a ruba, a riprova di un rinnovato interesse per nuovi prodotti.
Allora che succede a Big Tech? A ottobre Margaret Vitrano - co-manager delle strategie Large Cap Growth and All Cap Growth di Clearbridge (parte di Franklin Templeton), indicata nelle prime dieci portfolio manager a livello globale – aveva spiegato ad Affaritaliani.it che era inutile parlare di bolla perché quella era già scoppiata da tempo. Il mito della crescita a tempo indeterminato è definitivamente entrato in crisi, per la seconda volta dall’inizio del secolo. La prima, infatti, fu la famosa bolla delle dot com che portò molti investitori a garantire valutazioni fuori mercato per qualsiasi soggetto che operasse su internet. Risultato? Milioni di piccoli risparmiatori che, dopo aver accarezzato il sogno di diventare ricchi, si ritrovarono con un pugno di mosche.