Economia
Governo Lega-M5S, dalla (non) flat tax a... Contratto di governo, luci e ombre
Più spesa pubblica, flat tax, abolizione della Fornero: punto per punto le criticità del contratto di governo Lega-M5S
Nuovo giro, nuova bozza: secondo quella elaborata alle 19.00 di ieri sera l'azione del nuovo governo giallo-verde in tema di debito e deficit pubblico "sarà mirata a un programma di riduzione del debito pubblico non già per mezzo di ricette basate su tasse e austerità, politiche che si sono rivelate errate ad ottenere tale obiettivo, bensì per il tramite della crescita del Pil, attraverso la ripartenza della domanda interna e con investimenti ad alto moltiplicatore e politiche di sostegno al potere d'acquisto delle famiglie".
E' la riproposizione di una politica di sostegno alla crescita tramite spesa pubblica basata sul concetto di "moltiplicatore keynesiano" (la misura della percentuale di incremento del Pil generata dall'incremento di una o più componenti della domanda aggregata: consumi, investimenti e spesa pubblica). Tuttavia il moltiplicatore non assume un valore fisso: tocca infatti valori elevati in presenza di recessione e deflazione, mentre cala mediamente attorno a 0,5 volte quando le economie tornano a crescere. Si rischierebbe dunque di aumentare la spesa pubblica di un euro e vedere il Pil salire di mezzo euro, con inevitabile peggioramento dei rapporti debito/Pil e deficit/Pil.
Si noti che il moltiplicatore per la spesa privata è ampiamente superiore a 1, quindi per sostenere la spesa il futuro governo giallo-verde avrebbe una strada: promuovere gli investimenti privati. Ma la bozza di contratto di governo recita, testualmente: "riteniamo necessario scorporarela spesa per investimenti pubblici dal deficit corrente in bilancio, come annunciato più volte dalla Commissione europea e mai effettivamente e completamente applicato". Proposta tra l'altro già avanzata da Mario Monti nel 2012 e bocciata dalla Bce essendo difficile prevedere a priori il ritorno di un investimento.
Infatti investimenti con ritorno zero non possono che essere considerati spesa pubblica a tutti gli effetti, mentre investimenti i cui proventi non coprono i costi per il bilancio dello stato hanno "un impatto negativo sulla sostenibilità generale dei conti pubblici", come scrisse la Bce. Sacrosanta è invece l'idea di "intervenire per avere la massima trasparenza sulle operazioni in derivati effettuate sia dallo stato che dagli enti locali" per cercare "di miglioramento della spesa legata a tali strumenti", spesa stimata tra i 24 e i 34 miliardi di euro e legata alle coperture accesedal Tesoro italiano e da alcuni enti locali per proteggersi possibli aumenti dei tassi.
Questa spesa tuttavia è stata dovuta al calo dei tassi (visto che il Tesoro e gli enti locali italiani sono rimasti indebitati a tasso fisso ricevendo interessi sui derivati espressi in tassi variabili) che tuttavia ha prodotto un risparmio di pari o superiore importo in termine di minori oneri sul debito. Il nuovo governo giallo-verde vorrebbe poi "proporre che i titoli di stato di tutti i paesi dell'areaeuro, già acquistati dalla Banca centrale europea con l'operazione del quantitative easing,siano esclusi pro quota dal calcolo del rapporto debito/Pil". Sarebbe tuttavia necessario un consenso unanime in sede Ue che al momento pare irrealistico.
In campo fiscale la bozza propone di "sterilizzare la clausole di salvaguardia che comportano l'aumento delle aliquote Iva e accise", di eliminare "l'extra tassazione sulle sigarette elettroniche" e "le componenti anacronistiche delle accise sulla benzina". Lodevolissime intenzioni in un paese come l'Italia dove a causa del peso fiscale complessivo "la capacità di spesa delle famiglie e imprese per consumi e investimenti è inadeguata, con standard quantitativi e qualitativi inferiori alla media europea". Ma con quali risorse si potrà fare tutto ciò non è dato sapere.
Il documento suggerisce anche "la revisione del sistema impositivo dei redditi delle persone fisiche e delle imprese", in particolare con l'introduzione di una "flat tax" che tanto "flat" non sarebbe essnedo "caratterizzata dall'introduzione di aliquote fisse" (due per le famiglie, 15% e 20%, una per le imprese, pari al 15%, ndr), con "un sistema di deduzioni per garantire la progressività dell'imposta, in armonia con i principi costituzionali" e con la conferma della "no tax area" per le classi a basso reddito. Visto che attualmente l'Irpef ha cinque aliquote dal 23% al 43%, per capire i vantaggi concreti per i contribuenti italiani il punto nodale restano le classi di reddito che farebbero scattare la "no tax area" e le due diverse aliquote, ma su questo punto il documento tace.
Di certo trattandosi di aliquote inferiore a quella del primo scaglione di reddito attuale ci sarà un problema di coperture, che Lega e M5S auspicano poter derivare da una "maggiore propensione al consumo e agli investimenti" e dalla "maggiore base imponibile tassabile, grazie anche al recupero dell'elusione, dell'evasione e del fenomeno del mancato pagamento delle imposte". Ma proprio la tendenza di tale genere di coperture a rivelarsi insufficienti ha portato all'attuale situazione di dover trovare nuove coperture per non far scattare le clausole di salvaguardia: a Salvini e Di Maio andrà meglio?
Se va lodata la volontà di "rifondare il rapporto tra stato e contribuenti" prevedendo, tra le altre, "l'abolizione dell'inversione dell'onere della prova, da porre sempre a carico dell'amministrazione finanziaria", una "semplificazione degli adempimenti contabili per la creazione di un fisco digitale" ed un potenziamento delle "procedure finalizzate al recupero bonario del credito", qualche dubbio resta in tema di "preventivo e definitivo smaltimento della mole di debiti iscritti a ruolo, datati e difficilmente riscuotibili per insolvenza dei contribuenti". Sebbene si escluda "ogni finalità condonistica", aleggia il sospetto che per fare cassa si stia pensando proprio all'ennesimo condono.
Contraddittorio appare anche la linea che sembra volersi seguire in tema di lotta all'evasione: da un lato si propone "l'abolizione dello spesometro e del redditometro, strumenti anacronistici e vessatori di rilevazione del reddito", confermando (fortunatemente) anche "la contrarietà a misure di tassazione di tipo patrimoniale"; dall'altro si dichiara di voler "inasprire l'esistente quadro sanzionatorio, amministrativo e penale, per assicurare il "carcere vero" per i grandi evasori".
Ultimo ma non meno importante impegno: il documento ribadisce la volontà di abolire "gli squilibri del sistema previdenziale introdotti dalla riforma delle pensioni cd. "Fornero", stanziando 5 miliardi per agevolare l'uscita dal mercato del lavoro delle categorie ad oggi escluse", in parallelo all'introduzione della "quota 100" (ossia la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi se la somma di età e anni di contributi raggiunte almeno 100) e al prolugamento della misrura sperimentale "opzione donna" (che consente alle donne di andare in pensione già a 57 o 58 anni se hanno almeno 35 anni di contributo), "utilizzando le risorse disponibili".
Proprio le risorse sembrano il punto debole di tutto questo "libro dei sogni": 5 miliardi è la somma prevista per "congelare" per il biennio 2019-2020 l'innalzamento dell'età pensionabile, mentre a causa del progressivo invecchiamento della popolazione italiana (vero responsabile dell'incremento dei costi per la previdenza) secondo i calcoli della Ragioneria generale dello Stato, cancellare la legge Fornero vorrebbe dire rinunciare a circa 350 miliardi di euro di risparmi cumulati fino al 2060, equivalenti a mancati risparmi annui (e dunque costi) tra i 15 e i 20 miliardi circa l'anno.