Economia
Il Brera calcio vuole fare l'americano e arriva al Nasdaq: il progetto
Una storia fatta di impatti positivi sul tessuto sociale della città di Milano e non solo. Ora è il momento di portare questo modello all'estero
E poi?
Poi abbiamo provato a rispondere all’annosa questione se qualsiasi tifoso possa essere allenatore o dirigente sportivo e per un anno abbiamo affidato la gestione della squadra e del mercato proprio a persone che non lo facevano di mestiere. La risposta alla domanda è “no”, tant’è che siamo stati retrocessi. Abbiamo anche collegato il calcio all’arte, con i giovani che venivano nella nostra sede per svolgere action painting nell’intervallo tra un tempo e l’altro. Abbiamo cercato di costruire un modello che desse senso al dilettantismo attraverso un progetto, che è stato riconosciuto dalla Uefa, che mette insieme i nove club dilettantistici più iconici d’Europa. Si tratta di squadra che vogliono scientemente rimanere nel non professionismo, senza quelle frustrazioni che caratterizzano altre compagini che aspirano ad arrivare alla Serie C e oltre. Un torneo fantastico con vero e sano spirito agonistico. Abbiamo creato una scuola calcio ludica che ha grande successo, che sperimenta molti buoni utilizzi.
Dunque come si coniuga tutto questo spirito decubertiniano con la voglia di andare sul Nasdaq?
Si sposa in maniera perfetta. Avevamo una nostra sostenibilità economica, un unicum nel mondo del calcio non professionistico. Non abbiamo mai provato a fare passi avventati, tant’è che abbiamo gestito solo per un anno la Berretti del Brescia, la squadra dei giovani. Ma nulla di particolarmente rilevante, ci siamo sempre dedicati a portare avanti progetti d’inclusione nel calcio. Negli Stati Uniti abbiamo vinto un award per il social impact e questo è stato un primo “gancio”. Il secondo è stato un amico americano, un banchiere di nome Chris Gardner, che mi ha contattato e mi ha fatto delle proposte. Io rimanevo convinto del fatto che non si dovessero inseguire sogni di gloria tra i professionisti. Milano ha già Inter e Milan, tutto il resto è velleitario. Non mi interessava fare una mossa che portasse il Brera in A, l’ha fatto Berlusconi – che non è esattamente un uomo del futuro – con il Monza e ha dovuto spendere oltre 70 milioni.
La sostenibilità economica rimane un mantra per qualsiasi imprenditore, ovviamente. L’epoca del mecenatismo morattiano è finita da un pezzo.
Appunto, per questo abbiamo deciso di provare a entrare nel calcio professionistico attraverso paesi “laterali”, in cui l’appartenenza alla Uefa permette l’accesso alle competizioni europee, con premi piuttosto rilevanti, ma che hanno costi di accesso e di gestione molto bassi. L’accordo che abbiamo fatto con Goran Pandev in Macedonia ci permette di creare una società in quel Paese sapendo che non è necessario spendere decine di milioni per essere competitivi.