Il successo di Trump quanto può influenzare la politica italiana?
Dobbiamo avviare una riflessione che parta dalla vittoria di Donald Trump. Intervista ad Alessia Potecchi
Dobbiamo avviare una riflessione che parta dalla vittoria di Donald Trump. La società americana legata al Partito Democratico non si è fermata a compiangersi o a colpevolizzarsi per la sconfitta subita. La contestazione alla politica di Trump è determinata, ma non si rivolge ad un scontro frontale, non cerca di sbarazzarsi di lui attraverso scorciatoie come un “impeachment”.
Come prima cosa le forze progressiste americane hanno scelto di voler approfondire i motivi della sconfitta alle elezioni presidenziali, le ragioni del voto che hanno premiato Trump, il perché tanta gente e tanti lavoratori non si sono ritrovati nella proposta della Clinton. In tutto questo si legge una grande voglia di capire, di approfondire, per poi cambiare e migliorare.
Nella elezione di Donald Trump gli ambienti della sinistra americana hanno visto uno spirito di cambiamento che non va sottovalutato. Certamente il sistema elettorale americano ha le sue complessità, ma questa osservazione non è diventata un alibi, un deterrente ad indagare sui motivi per i quali si è giunti a questo risultato.
Chiediamo ad Alessia Potecchi, Presidente dell'Assemblea del Partito Democratico di Milano, se questa reazione negli Stati Uniti trova qualche punto di contatto con la situazione politica italiana.
"Oltre alla voglia di capire ilcambiamento, noto ancora un'altra differenza con la situazione italiana. Negli Stati Uniti si conserva la volontà di preservare un'identità ed una cultura politica precise, che sono alla base della ricerca e del significato del voto. Da noi la contrapposizione con il berlusconismo, per fare un esempio, è stata forte, ma nei fatti poi il centrosinistra ha dato l’impressione di essere in parte subalterno alla proposta culturale e su diversi temi anche alle scelte che provenivano da esso: la gente ha percepito questo.
In secondo luogo si è compiuta una mancanza che in realtà è tipica di diverse altre espressioni riformiste in Europa e altrove. Non si è saputo leggere la realtà per quella che è e per le sfide che propone. Molti operai hanno votato Trump. Nell'Ohio era da molto tempo che i democratici non perdevano e Obama era intervenuto con forza per salvare e rilanciare l'industria automobilistica. Eppure il messaggio di Trump ha fatto breccia".
Come mai si è giunti a questo?
"Questo è avvenuto perché a sinistra si aveva degli operai una visione ferma nel tempo, senza tener conto dei cambiamenti sostanziali intervenuti nel lavoro e che proseguono con grande velocità. L'operaio degli anni '80 non esiste più, ci sono lavoratori che, entrati a far parte della classe media, gradualmente si sono impoveriti mentre l'arricchimento si concentrava in poche mani. Inoltre sta avanzando l'idea di dover rileggere le modalità di redistribuzione della ricchezza. Una delle richieste presenti fra i lavoratori è stata quella di aumentare il potere di acquisto in un Paese nel quale il Pil è cresciuto costantemente, la ricchezza prodotta non è stata certo di poco conto, ma proprio per questo i lavoratori ne reclamano una parte che è frutto anche del loro impegno quotidiano".
Ma negli Stati Uniti assistiamo a qualche innovazione?
"Sì, perché si pensa a creare aumenti salariali, non a prescindere, ma collegati alla creazione di ricchezza. Il sindacato - è vero - ha perso terreno anche negli Stati Uniti, le iscrizioni sono ormai sotto il 15%. Da considerare che là, come del resto in Europa, si sta facendo strada nelle aziende un modello di rapporti che privilegia l'individualismo e mette in rapporto diretto l'impresa con il lavoratore. Questo succede anche perché sono moltissime le piccole e medie imprese oggi in grado di stare sui mercati internazionali come quelle più grandi, tecnologicamente avanzate e con una moderna cultura industriale. Recuperare un ruolo di partecipazione in questo contesto non è semplice".
Ma quale è il problema più importante che oggi abbiamo di fronte?
"Penso che sia quello di trovare soluzioni ad un mondo del lavoro nel quale l'innovazione e la digitalizzazione cancella e cancellerà migliaia di posti di lavoro e quindi bisognerà crearne di altrettanti se non di più. Questa è la vera priorità sulla quale cimentarsi. Anche nel passato tanti lavori morivano, ma altri, nuovi, li sostituivano. Era il progresso. Oggi lo scenario è cambiato. Si dovrebbe evitare che l'innovazione tecnologica si compia in una stagione di bassi salari".
Il settore pubblico può contare ancora?
"Penso, e mi riferisco soprattutto all'Europa e all'Italia, che ci deve essere un ruolo significativo del settore pubblico. Da noi si è demonizzato per troppo tempo il ruolo dello Stato in economia, non si esce dalla bassa crescita se non si mette in campo anche l'azione dello Stato. Lo Stato è impegnato per fronteggiare i guai delle banche, ma deve essere impegnato di più anche sul fronte del lavoro. Servono politiche del lavoro, serve la spinta pubblica soprattutto in un Paese spaccato economicamente e socialmente a metà".
Come si muove lo scenario internazionale?
"Quello che è accaduto in America permette di riflettere molto sulla condizione della sinistra riformista in Italia, dobbiamo recuperare il senso dell'internazionalismo, che non significa solo marcare da quale parte si è, ma anche un modo per scambiarsi esperienze, per riflettere insieme come intervenire sul cambiamento, per inserire soluzioni di maggiore giustizia economica e sociale.
In Europa come negli Usa con Sanders, si è tentato e si sta tentando di ritrovare la direzione di proposte riformiste. In Germania, in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna, auspico che questo avvenga anche in Italia mettendo da parte la politica litigiosa e personalistica, ma anche priva apparentemente di interesse di quello che si dibatte nelle altre forze politiche progressiste al di fuori dei nostri confini: questo è molto importante e va ripreso".
Ma c'è ancora un po' di buona volontà in politica?
"Oggi siamo in presenza di una forte volontà tesa a delegittimare tutto: il welfare, i diritti del lavoro, l'equità. Certo attraversiamo una fase molto difficile. Nei secoli scorsi l'innovazione ed il progresso hanno contribuito a creare grandi partiti e sindacati e un’ampia partecipazione. Invece questa fase di grandi trasformazioni, di caduta delle ideologie e delle barriere economiche, di predominio della finanza sta insidiando i corpi intermedi e sta danneggiando i partiti.
Di fronte alla insufficienza della proposta politica e sociale di conseguenza si rafforza la tendenza all'individualismo. Si è determinato il successo dell’antipartitismo, dell’antiparlamentarismo, di un populismo superficiale e corrosivo. Si fa ricorso alla denigrazione. Ma in particolar modo si fa largo il germe della divisione. Altro che unità di un tempo, oggi l'unica forma di unità visibile è quella che si coglie nell'intento di distruggere. Non di costruire, non di rappresentare esigenze e attese, non di far valere il significato positivo della coesione".
Come si sta comportando la sinistra in Italia?
"Oggi la sinistra, e lo dico anche per il mio partito, il PD, può e deve essere protagonista per uscire da questa fase, protagonista per abbassare il livello di disuguaglianza di oggi che può essere ridotto efficacemente solo affrontando la disuguaglianza nel mercato. Bisogna partire dalle forze economiche che determinano i redditi da lavoro e da capitale, capire come si formano le disuguaglianze nei diversi mercati e orientare le forze economiche per costruire una società più giusta. Protagonista accanto ai giovani per dare loro speranza nel futuro, protagonista del mondo del lavoro inteso non soltanto come uscita dal bisogno ma come la più piena realizzazione di ciascuna persona, protagonista della lotta all’evasione e alla contribuzione fiscale, protagonista della lotta alla corruzione. Protagonista dell’ottimismo e della partecipazione. Altrimenti rischiamo che la rottura della solidarietà, l'individualismo, la contrapposizione portino ad esasperare la situazione con il pericolo del nazionalismo, del riemergere dei venti di guerra, non va mai data l'impressione che la democrazia sia inutile".
Concretamente che cosa si potrebbe fare?
"Il Parlamento ed i partiti devono ora, con rapidità, applicare e completare la sentenza della Corte Costituzionale. Il “Mattarellum” può essere un punto di riferimento: è stato neutrale. Ha consentito di vincere sia al centrodestra, sia al centrosinistra. Ha garantito un legame con il territorio degli eletti. Il dibattito, rapido e conclusivo, del nuovo sistema elettorale deve essere accompagnato da una intensa attività politica del Governo nell’ultimo periodo della legislatura. L’Italia ha delle occasioni importanti: è la padrona di casa per celebrare l’anniversario dei Trattati di Roma e presiede il Vertice dei paesi maggiormente industrializzati e fa parte quest’anno del comitato di sicurezza dell’ONU. Il nuovo Presidente del Parlamento Europeo è italiano. Così come lo sono l’incaricata della politica estera europea Federica Mogherini e il Segretario generale della CES Luca Visentini.
Ci sono dei segnali di ripresa. Il consenso politico e sociale per una politica di sviluppo si diffonde; la necessità di una posizione comune sull’emigrazione; la critica alla globalizzazione e alla finanziarizzazione è molto forte. Ci sono molte opportunità per il nostro Paese. Sarebbe imperdonabile se invece di occuparsi di questi problemi, lo dico anche e di nuovo al mio partito, invece di cercare alleanze per una svolta della politica economica, ci si impantanasse in uno sterile scontro politico, in un dibattito politico interno che è fine a se stesso e non ci permette di metterci come dobbiamo in comunicazione con le persone e con i loro problemi".
In conclusione?
"In conclusione penso che sia essenziale discutere, approfondire, guardare alla realtà senza paraocchi, senza accontentarsi di continuare a sopravvivere nel presente. Dovremmo imitare quanti nel mondo cercano di alimentare nuovi fermenti, di studiare questa realtà tanto complessa. Ridare con forza un significato a parole che fanno parte della nostra cultura: coesione, solidarietà, partecipazione, giustizia. Ma fare di quelle parole, una via da tracciare. Per ritrovare sintonie con i giovani, i lavoratori, gli anziani. E per avere un ruolo da giocare evitando di finire a fare solo gli spettatori di un mondo che cambia".