Economia
Industria Italiana, Bonomi: “Ripresa al 2022. Rilanciamo la nostra competitività con Next Generation EU”
Con una quota di indebitamento delle imprese industriali stimata a +2,4%, il futuro della manifattura italiana sembra essere davvero la sostenibilità
Il futuro dell'industria italiana tra Governo nazionale ed Europa.
L’impatto della pandemia da COVID-19 sui livelli di attività della manifattura italiana è stato immediato e violento. Nei due mesi di lockdown (marzo e aprile) la produzione è diminuita mediamente di oltre il 40%, anche se con un profilo fortemente disomogeneo a livello settoriale (dal -92,8% della produzione di prodotti in pelle al -5,5% del farmaceutico). Il recupero dei livelli produttivi da maggio è stato pressoché istantaneo, così che nel giro di quattro mesi il livello di produzione è tornato intorno ai valori di gennaio con un incremento del 76% rispetto al minimo toccato in aprile. Ma le prospettive per i mesi autunnali sono tornate negative, in linea con l’aumento dei contagi a livello globale e con l’introduzione di nuove misure restrittive.
All'interno di questo quadro si inserisce il Rapporto annuale sull'industria “Innovazione e resilienza: i percorsi dell'industria italiana nel mondo che cambia” del Centro Studi Confindustria (CSC), presentato oggi.
Carlo Bonomi (Confindustria): "Di ripresa si potrà parlare solo nel 2022"
Il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha introdotto: “L’esigenza di sostenere reddito e produzione ha spinto i governi nazionali ed europei verso politiche interventiste, senza una riflessione adeguata e in un’ottica di lungo termine sulla strategia industriale. Il sistema industriale italiano ha mostrato resilienza e capacità di reazione, contribuendo al rimbalzo del terzo trimestre. Ma, a seguito della seconda ondata da COVID, di ripresa si potrà parlare solo nel 2022. Governance della sostenibilità ambientale critica, mobilità sociale, trasformazione del lavoro e competenze sono i problemi principali di questo quadro. L’investimento in capitale umano deve essere complementare a quello fisico. Next Generation EU è un piano senza precedenti. Rilancerà la competitività nel post pandemia e rafforzerà la sostenibilità. Il Rapporto Innovazione e resilienza: i percorsi dell'industria italiana nel mondo che cambia offre spunti di riflessione di pregio”.
Industria in Italia: “Innovazione e resilienza: i percorsi dell'industria italiana nel mondo che cambia”
L’Italia compare al settimo posto della graduatoria mondiale dei principali produttori manifatturieri, con una quota del 2,2%, davanti alla Francia (1,9%) e al Regno Unito (1,8). E compare tra gli esportatori mondiali con la performance migliore: secondo il trade performance index elaborato da wto e unctad il nostro Paese, occupa le prime tre posizioni al mondo in otto raggruppamenti settoriali su dodici, subito dietro la Germania.
Stefano Manzocchi (Centro Studi Confindustria): "L'industria italiana si sta trasformando"
“L’export è il perno del Sistema-Italia. I tassi di crescita sono in flessione a livello globale, nell’industria. Il commercio mondiale è in crisi. Continua il crollo delle importazioni americane dalla Cina. L’Asia è la macro-area che ha perso più attività manifatturiere estere, l’Europa quella che ne ha guadagnate. Il fattore distanza sembra riacquisire peso. In questo contesto, la manifattura italiana continua a fare bene: è il settimo produttore industriale a livello internazionale. Il sistema industriale italiano potrà competere a livello internazionale", ha spiegato il Direttore del Centro Studi Confindustria Stefano Manzocchi presentando il Rapporto.
La manifattura italiana ha mostrato una performance che non ha eguali in Europa, in termini di produzione del terzo trimestre. Urgono trasformazioni strutturali in termini di demografia e composizione dimensionale. Il saldo demografico manifatturiero è ancora negativo. C’è poi una tendenza a una minore frammentazione del tessuto produttivo. Questo ha conciso con la scomparsa di PMI. Il tema è accompagnare la transizione dimensionale in maniera graduale. Il rischio è di avere efficienza a scapito di un perimetro industriale che rischia di contrarsi.
L’industria si sta trasformando. Il percorso di transizione ad industria 4.0 ha comportato un aumento della maturità digitale del sistema produttivo. È un meccanismo che diffonde in tutto il sistema capacità di crescita. Questo programma sta aiutando ad elevare la competitività di tutte le imprese che hanno partecipato.
La trasformazione del sistema ha mostrato degli effetti anche in termini di sostenibilità: il sistema italiano è il terzo al mondo in termini di recupero di rifiuti speciali e ha un’impronta carbonica tra le più basse al mondo.
La quota indebitamento delle imprese industriali aumenterà di 2 punti e mezzo rispetto alle passività del sistema industriale.
L’industria italiana deve connettersi di più con i sistemi produttivi europei. Sarà importante avere le capacità per aumentare il grado di interconnessione con il sistema produttivo degli altri Paesi europei.
La capacità brevettuale green è ancora bassa”, ha concluso Manzocchi.
Il rallentamento produttivo dell’Italia, infatti, non costituisce una anomalia nel confronto internazionale. Rispetto alle altre grandi economie europee l’Italia mostra anzi una contrazione dei tassi di crescita relativamente contenuta, oltre che una maggiore reattività allo shock pandemico.
Il deficit di crescita è però ormai strutturale. Agisce su di esso – oltre a una incertezza divenuta ormai permanente – la graduale erosione della domanda interna, che limita la possibilità per i produttori nazionali di trovare spazio sul mercato domestico. Spicca in questo ambito il crollo della componente pubblica degli investimenti (in costante flessione dal 2011), mentre la componente privata si è risollevata, anche grazie agli effetti positivi del Piano “Industria 4.0. A partire dal 2014 si è avuta una fase di ripresa dei flussi di investimento, che ha riguardato i soli investimenti privati, arrivata fino al 2018 (tra 2014 e 2018 si registra una variazione positiva di quasi il 13%; ma il livello raggiunto è inferiore di quasi 20 punti percentuali rispetto al picco del 2007).
Il progressivo assottigliarsi dei livelli di attività non poteva essere senza conseguenze sulle dimensioni stesse dell’apparato produttivo. Una stima prudenziale della variazione cumulata del saldo per i soli anni 2017-2020 indica una contrazione del numero delle imprese superiore alle 32mila unità. Il numero delle entrate di nuove imprese sul mercato è divenuto di gran lunga inferiore a quello delle uscite, ovvero i processi di formazione di nuove imprese non sono più in grado – diversamente dal passato – di garantire l’espansione della base produttiva.
Al processo di selezione non ha corrisposto una riallocazione delle risorse verso le imprese rimaste: le imprese uscite dal mercato hanno portato fuori dall’economia le risorse e le competenze di cui disponevano, riducendo il livello del potenziale produttivo e aprendo vuoti all’interno dei territori (specie meridionali) in cui operavano.
Gian Maria Gros-Pietro (Intesa Sanpaolo): "Il cambiamento climatico produrrà effetti irreversibili"
Gian Maria Gros-Pietro, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Intesa Sanpaolo, ha sottolineato: “L’Italia è il settimo Paese manifatturiero mondiale e il secondo europeo. Il Rapporto riconosce l’origine antropica del cambiamento climatico in atto e la riconduce alle emissioni di CO2 e all’effetto serra. Viene citato il picco raggiunto e si riconosce che i cambiamenti che si produrranno potrebbero essere irreversibili. L’industria italiana è all’avanguardia nel risparmio energetico, ed è un fatto storico. Abbiamo un vantaggio competitivo: subiamo meno il costo della transizione. L’esigenza, ora, è di tracciare una road map. Se affrontiamo il problema a livello mondiale, gradualmente, il punto di arrivo dipenderà dalla disponibilità di tecnologie nuove e di messa in pratica attraverso gli investimenti”.
Fabiano Schivardi (Luiss Guido Carli): "Aumentiamo il capitale immateriale"
“Con la pandemia, le imprese e le banche sono arrivate alla crisi in condizioni economiche finanziarie migliori. La politica economica è stata più espansiva. L’UE ha dato una prospettiva di sostegno di lungo periodo. Per la politica economica, il difficile viene ora, con il Next Generation EU. Le imprese con pratiche manageriali più strutturate, si sono distinte per la maggior capacità di riorganizzarsi. Serve aumentale il capitale immateriale presente nel nostro sistema produttivo. Serve, in particolare, una strategia basata su tre pilastri: competenze, offerta di capitale di rischio ed eventi di policy sul capitale immateriale”, ha approfondito Fabiano Schivardi, Professore di Economia Università Luiss Guido Carli.
Stefano Patuanelli: "Superiamo gli egoismi dei singoli Paesi"
Il Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli ha aggiunto: “Lunedì mattina ci sarà in Gazzetta un decreto che sospenderà tutte le scadenze fiscali di qui a fine anno, per tutti. Il meccanismo di liquidità di prestiti garantiti ci parla di 110mld di euro di liquidità erogata dallo Stato. Se guardiamo alla globalizzazione, la prima cosa da fare è garantire indipendenze produttive europee. SI risolverebbe il cruccio della dimensione aziendale. Vanno superati gli egoismi dei singoli Paesi ne proteggere i propri comparti. Serve una risposta comune a livello europeo. Quattro sono i temi su cui riflettere: management, innovazione, ricerca e sviluppo e flessibilità dei nuovi modelli produttivi”.
Maurizio Marchesini (Confindustria): "L'Italia ce la farà anche questa volta"
Il Vice Presidente per le Filiere e le Medie Imprese Confindustria, Maurizio Marchesini, ha concluso: “La crisi è esogena rispetto all’economia. È violenta e transitoria, lascerà segni profondi. L’Italia, però, storicamente reagisce meglio ai casi di grandi difficoltà. Abbiamo bellissime imprese con limiti che non nascondiamo. Troviamo il modo di avviare anche il governo nazionale ed europeo verso soluzioni che aiutino le imprese. Ce la faremo anche questa volta”.
L’uscita dalla pandemia, dunque, coinciderà con cambiamenti importanti negli stessi driver dello sviluppo, nell’ambito dei quali un ruolo importante sarà svolto dalla transizione green. L’industria italiana affronta la sfida della sostenibilità ambientale potendo contare su un vantaggio strategico da first mover rispetto a molti dei suoi partner internazionali, avendo già da tempo introdotto un approccio “responsabile” alla produzione e al consumo di risorse. Presenta infatti un ridotto impatto in termini di rifiuti solidi prodotti, grazie ad un approccio circolare rispetto all’utilizzo delle risorse (grazie alle attività di riciclo e recupero è stato infatti possibile re-immettere nel sistema economico l’83% circa dei rifiuti speciali prodotti in Italia, contro l’81% registrato in Germania, il 71% in Francia, il 60% del Regno Unito e una media UE del 53%) e un ridotto impatto in termini di emissioni di gas serra prodotti dalle attività di trasformazione. Infatti, secondo le stime del Centro Studi Confindustria, la manifattura italiana si colloca al quarto posto tra le principali economie globali, al terzo nella UE, per minor intensità di CO2 (CO2 in rapporto al valore aggiunto), su livelli equivalenti a quelli registrati dalla manifattura tedesca. Rispetto alla media UE, l’intensità delle emissioni di CO2 della manifattura italiana è inferiore del 31%. La bassa impronta di carbonio della manifattura italiana nel confronto internazionale è spiegata soprattutto da livelli di efficienza ambientale dei processi industriali tra i più elevati al mondo.