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Economia
Intesa Sanpaolo e Prometeia: innovare la manifattura per competere
Innovazione

Fatturato in aumento dell’1.7% a prezzi costanti per il manifatturiero italiano nel 2018, ma in lieve rallentamento rispetto al 2017.

È questo il dato che emerge dal 94° Rapporto Analisi dei Settori Industriali a cura di Intesa Sanpaolo e Prometeia presentato oggi a Milano.

Secondo l’indagine, il rallentamento rispetto al +2.8% del 2017, è dovuto a una maggiore incertezza sul piano internazionale e interno, che continuerà a condizionarne la crescita anche nel prossimo biennio (+1.6% media annua nel 2019-‘20).

Essere una manifattura competitiva oggi

Nella prima parte del 2018, le esportazioni italiane di manufatti hanno mantenuto ritmi di sviluppo superiori a quelli dei principali competitor dell’Unione europea, conservando o guadagnando quote in un ampio ventaglio di mercati. La buona competitività sui mercati internazionali si confermerà nei prossimi anni e si rifletterà in un ulteriore incremento del saldo commerciale, atteso sfiorare i 98 miliardi di euro nel 2020, al netto delle materie prime e dei prodotti petroliferi.

Nel biennio 2019-‘20, il maggior contributo alla crescita del manifatturiero continuerà a giungere dalla Meccanica, che eserciterà un effetto traino su tutti i settori della filiera. In ripresa anche gli Autoveicoli e motocicli, dopo la battuta d’arresto dell’anno in corso. Aumenti contenuti si attendono anche per i settori produttori di beni di consumo e intermedi.

Dai bilanci 2017 emergono segnali di ulteriore miglioramento del profilo economico-finanziario del manifatturiero, con margini e redditività tornati sui livelli pre-crisi. L’industria italiana si mostrapiù capitalizzata e caratterizzata da una maggiore solvibilità rispetto al recente passato, potendo contare quindi su basi più solide per affrontare uno scenario non privo di rischi.

A spiegarlo ad Affaritaliani è stato, in apertura, Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo: “Il picco della crescita è stato superato ma manteniamo un trend positivo in un quadro molto cambiato, nel quale le imprese si sono rafforzate dal punto di vista del capitale e delle leve strategiche, e hanno puntato sugli investimenti immateriali, quali brevetti, certificazioni di qualità e registrazione di marchi”.

A rincarare la dose è Alessandra Lanza, Partner di Prometeia che ad Affaritaliani ha dichiarato: “Il rallentamento nel manifatturiero registrato nell’ultimo anno si può spiegare con un rallentamento del commercio globale il quale toglie spinta alle nostre esportazioni. I settori che performeranno sopra alla media saranno quelli a elevato contenuto tecnologico o con una forte componente di immaterialità”.

L’importanza degli investimenti immateriali per la competitività

La capacità di resilienza del manifatturiero deriva dunque dal recente progresso sul fronte degli investimenti immateriali. A indicare questa tendenza è Ilaria Sangalli, Ricercatrice del Servizio Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo che ad Affaritaliani ha spiegato: “Ci troviamo in una fase delicata dell’industria e i vantaggi competitivi si registrano sempre più in termini di fattori immateriali”. Negli ultimi 10 anni c’è stata una forte crescita in tale tipologia di investimenti; una crescita del 23% nel periodo 2008-‘17. “Ciononostante”, ha continuato Sangalli, “permane un gap con i principali competitor europei, ben visibile in termini di incidenza degli investimenti immateriali sul PIL: il 2.9% in Italia, contro il 5.3% in Francia e il 3.8% in Germania, condizionato anche dalla diversa specializzazione produttiva e, soprattutto, differente struttura dimensionale che caratterizza il nostro Paese rispetto ai maggiori partner europei”.

La produttività delle imprese risulta dunque positivamente correlata con l’adozione di alcuni comportamenti strategici, quali la registrazione di brevetti e marchi e l’ottenimento di certificazioni di qualità e ambientali; dato, questo, che i partecipanti al panel hanno confermato.

Aziende più competitive con investimenti in innovazione: le testimonianze

Le stime eseguite su un ampio campione manifatturiero evidenziano come la competitività delle imprese italiane, misurata in termini di Produttività Totale dei Fattori (TFP), risulti positivamente correlata con l’adozione di alcuni comportamenti strategici che sottendono la presenza di determinate competenze e conoscenze: brevetti (come misura delle conoscenze tecnologiche), marchi (come misura delle competenze di mercato e della reputazione d’impresa) e certificazioni (come proxy del concetto di know-how, ovvero l’insieme delle buone pratiche che consentono di gestire efficacemente i processi).

I vantaggi competitivi si basano dunque sempre più su fattori immateriali, necessari per fronteggiare sia le crescenti pressioni competitive sia la trasformazione digitale in corso.

A raccontarlo è Irene Rizzoli, Amministratore Delegato di Delicius Spa che ad Affaritaliani ha rivelato: “Nella nostra esperienza gli investimenti immateriali – certificazioni, deposito di brevetti e marchi – sono parte preponderante dello sviluppo. Ma è anche importante non tralasciare nella riflessione il mercato digitale che è il futuro”.

D’accordo è anche Marco Checchi, Amministratore Delegato di Pelliconi Spa per il quale: “Gli investimenti immateriali incidono tantissimo, permettendo un’ottimizzazione del processo produttivo e una migliore risposta in termini di sostenibilità ambientale”.

Per finire, anche Remo Giai, Presidente di Farmo Spa si è detto concorde: “Farmo è un’azienda che opera nel settore alimentare e risponde alle sfide del mercato e al cambiamento dei gusti alimentari con prodotti gluten-free. Gli investimenti immateriali sono per noi fondamentali perché incidono su ricerca e sviluppo e sul know-how, asset centrali per un’azienda che vuole fare innovazione e anticipare i bisogni del mercato”.

 

 

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