Economia
Bosch, Siemens, Sap, Thyssen, Basf: c'era una volta la Germania felix
La Germania non è più il motore d’Europa, lunga la lista di chi licenzia
C’era una volta la Germania motore d’Europa, ma ormai da troppi mesi quel motore si è inceppato. Ad agosto (ultimo dato disponibile), a fronte di una produzione industriale in calo del 2,8% nella Ue19 (e del 2% nella Ue28), la Germania ha registrato una caduta del 5%. Si è trattato del quarto mese consecutivo in cui la produzione industriale tedesca è calata di almeno il 5% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, al confronto persino l’Italia fa bella figura, con cali tra lo 0,6% e l’1,8% su base annua a seconda del singolo mese.
Una crisi così marcata, soprattutto nel settore automobilistico su cui pesa anche l’eredità del “dieselgate” e la non semplice transizione verso le motorizzazioni elettriche, non poteva non avere ripercussioni anche sul mercato del lavoro. Guardando ai grandi gruppi industriali, Bosh, il maggior produttore di componenti per auto al mondo, dopo aver annunciato 620 esuberi presso lo stabilimento di Modugno (Bari), ha fatto il bis in patria con 800 licenziamenti preannunciati per quest’anno. Ma altrettanti lavoratori potrebbero perdere il posto entro il 2021 ed entro il 2022 gli esuberi in Germania potrebbero superare quota 2 mila.
Il gruppo chimico Basf di lavoratori ne vuole tagliare 6 mila entro il 2021, altrettanti esuberi ne ha annunciato il produttore di acciaio ThyssenKrupp. Schaeffler, produttore di cuscinetti volventi per i settore industriali, automotive e aerospaziale, dopo aver già licenziato 900 dipendenti (700 dei quali in Germania) la scorsa primavera, ora ha annunciato altri 1.300 esuberi.
Continental (pneumatici) già a settembre aveva messo le mani avanti spiegando: se la crisi continuerà, nei prossimi 10 anni verranno tagliati 20 mila posti di lavoro (l’8% della forza lavoro attuale) di cui 7 mila in Germania. Non solo: di questi i primi 5 mila rischiano di essere lasciati a casa entro il 2023. Brose Group (motori elettrici) ne licenzierà 2 mila tutti in Germania, stessa cifra per Leoni, produttore di fili e cavi elettrici e sistemi di cablaggio per l’automobile e altri settori.
Non sono migliori le prospettive in casa Volkswagen, che in vista della transizione verso l’auto elettrica ha già messo in cantiere un taglio tra 5 e 7 mila posti di lavoro entro il 2023, anche se la gran parte dovrebbe poter essere ottenuta attraverso prepensionamenti e uscite incentivate, strada che sembra voler seguire anche Bmw (4 mila esuberi annunciati) e forse Daimler (10 mila possibili esuberi, per ora non confermati ufficialmente).
Non si pensi che la crisi sia solo la crisi dell’auto: il colosso industriale Siemens, dopo aver preannunciato a fine 2017 che “nel corso dei prossimi anni” avrebbe eliminato circa 10 mila posti di lavoro metà dei quali in Germania, a giugno di quest’anno ha poi annunciato 2.700 tagli (1.400 in patria) nella divisione energetica. Il gruppo del gas Linde secondo l’agenzia Reuters intenderebbe invece tagliare oltre l’11% della propria forza lavoro dopo la fusione con l’ex rivale Usa Praxair, eliminando così oltre 800 dei 7 mila posti di lavoro impiegati in Germania.
E poi ancora: il colosso informatico Sap ha parlato di 3 mila esuberi, il gruppo farmaceutico Bayer ne ha indicati 4.500 solo in Germania (12 mila in tutto il mondo), il gruppo chimico Covestro ne annuniò 900 (400 in Germania) a fine 2018, il produttore di generatori eolici Vestas intende invece lasciare a casa 590 persone, in particolare in Germania e in Danimarca.
Persino il settore dei servizi, in particolare della finanza, non è immune alla crisi: Deutsche Bank a luglio ha annunciato 18 mila posti di lavoro in meno entro il 2022 (un migliaio dei quali già eliminati), mentre la mancata “promessa sposa” Commerzbank ha parlato di 5.300 esuberi entro la fine del prossimo anno. In tutto sono state annunciate riduzioni per 76 mila posti di lavoro e questo prima che entrassero in vigore i dazi americani: nei prossimi mesi se la ripresa non si rafforzerà le cose rischiano di peggiorare ancora. Cosa che potrebbe far male anche ai molti gruppi italiani che finora hanno visto i grandi gruppi tedeschi tra i propri clienti.