Economia
Ex Ilva Taranto, dallo Stato ai Riva fino ad ArcelorMittal. Ora l'ombra degli Azeri sul futuro dell’acciaieria
La storia dell’acciaieria più grande d’Europa: dall’inizio del procedimento penale fino al coinvolgimento di ArcelorMittal. La gara a due tra Baku e Jindal

Ex Ilva, ecco la storia dell’acciaieria di Taranto
La storia dell’acciaieria di Taranto, uno dei più grandi complessi siderurgici d’Europa, è lunga e tormentata. I lavori per costruire lo stabilimento iniziarono nel 1959 e terminarono nel 1965. Taranto non era la prima scelta: inizialmente si pensava a Vado Ligure, in Liguria, o a Piombino, in Toscana, dove c’era già uno stabilimento siderurgico. Alla fine, però, si optò per la città pugliese, grazie alla posizione vicino al mare, al terreno pianeggiante e alla grande disponibilità di calcare, un materiale essenziale per la produzione dell’acciaio. La scelta rientrava in realtà in un piano più ampio del governo per investire nel Sud Italia, creando posti di lavoro e riducendo il divario con il Nord. Nel 1981, l’Ilva dava lavoro a circa 43.000 persone.
Gli inizi e gli anni d’oro
Nel 1961 entrò in funzione il Tubificio. Il 24 ottobre 1964 fu acceso il primo altoforno, e il 10 aprile 1965 lo stabilimento fu inaugurato ufficialmente dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. L’impianto, gestito dall’Italsider, rimase sotto il controllo dello Stato per trent’anni, diventando un vero e proprio pilastro dell’industria italiana. Negli anni, l’acciaieria fu anche visitata da molte personalità di spicco, da Papa Paolo VI, che celebrò una messa di Natale dentro lo stabilimento nel 1968, o anche dal presidente Sandro Pertini, che pranzò con gli operai durante la crisi del mercato dell’acciaio nel 1980.
La privatizzazione e l’era Riva
Nel 1995, lo Stato privatizzò l’Ilva, vendendola al gruppo Riva, uno dei maggiori produttori di acciaio al mondo. Negli anni successivi, la produzione raggiunse livelli record, ma iniziarono anche a venire fuori anche i primi problemi legati all'ambiente. Nei primi anni 2000, in Europa si diffondeva sempre di più il discorso sullo sviluppo sostenibile, e furono man mano introdotte norme stringenti e severe per ridurre l’inquinamento. L’Ilva, però, non riuscì ad adeguarsi in tempo. Nel 2011, la Corte dell’Unione Europea condannò l’Italia per non aver rispettato le norme ambientali, in particolare la Direttiva 2008/1, che obbligava le industrie inquinanti a ottenere autorizzazioni specifiche (AIA). E l'Ilva non aveva presentato un piano completo per ridurre l’impatto ambientale.
La crisi ambientale e il sequestro
Nel 2012, esplose il caos sulla questione ambientale. Il 26 luglio, il Gip di Taranto, Patrizia Todisco, sequestrò gli impianti dell’area a caldo nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente Svenduto”. Il governo intervenne con il primo “decreto Salva Ilva” per permettere alla produzione di continuare, ma le indagini rivelarono presto gravi carenze nella gestione ambientale. Nel 2013, il governo Letta nominò Enrico Bondi commissario straordinario per gestire la crisi. Intanto, emersero ulteriori scandali, tra cui tangenti pagate per influenzare le indagini e tentativi di nascondere informazioni sull’inquinamento.
Il piano ambientale e la ricerca di nuovi investitori
Nel 2014, il governo approvò un Piano ambientale per migliorare gli impianti, ma questo per molti non fu abbastanza. Il Tar di Lecce, ad esempio, ritenne insufficienti i fondi stanziati per risarcire i danni alla salute causati dall’inquinamento. Nel 2017, il governo Gentiloni lanciò così un nuovo Piano Ilva, che prevedeva la riduzione delle emissioni e l’adeguamento alle norme europee. Tuttavia, la situazione rimase comunque critica, e lo Stato iniziò a cercare nuovi investitori.
Nel 2018, ArcelorMittal, un colosso siderurgico franco-indiano, acquisì l’Ilva, rinominandola Acciaierie d’Italia, con l’obiettivo di risanare l’azienda e ridurre l’impatto ambientale.
La recente crisi
Nonostante gli sforzi, la gestione di ArcelorMittal si rivelò molto complicata. Nel 2019, il governo cancellò lo “scudo penale” che proteggeva i dirigenti dell’Ilva da procedimenti giudiziari, e ArcelorMittal minacciò di abbandonare il progetto. Dopo lunghe trattative, nel 2020 lo Stato rientrò nell’azionariato attraverso Invitalia, acquisendo una quota del 38%. Tuttavia, i rapporti tra ArcelorMittal e lo Stato rimasero tesi, e nel 2024 la crisi raggiunse il culmine: ArcelorMittal si rifiutò di versare la sua quota per sostenere l’azienda, e Invitalia chiese l’amministrazione straordinaria.
Oggi, l’ex Ilva "giace" in una situazione di completo stallo, con impianti spesso spenti o ridotti al minimo, proteste dei cittadini di Taranto e difficoltà nel trovare nuovi investitori. Al momento però la partita è aperta e si è ridotta a due contendenti: Baku Steel Company CJSC, con il supporto di Azerbaijan Investment Company OJSC, e Jindal Steel International, rispettivamente provenienti da Azerbaigian e India, entrambe attive nel settore siderurgico. La posizione di favore, al momento, resta quella di Baku Steel anche se è ancora tutto da vedere.