Economia

Legge di Bilancio, reddito cittadinanza in due tempi? Bocciatura di Giovannini

L'ex ministro del Lavoro del Governo Letta e presidente dell'Istat Enrico Giovannini analizza con Affaritaliani.it le misure che entreranno nella manovra

di Andrea Deugeni
twitter11@andreadeugeni

CERNOBBIO - Reddito di cittadinanza in due tempi quota 100 per il superamento della riforma Fornero e maggiori investimenti per le infrastrutture e il capitale umano. L'ex ministro del Lavoro del governo Letta e presidente dell'Istat Enrico Giovannini, intervistato da Affaritaliani.it, analizza le principali misure che entreranno a far parte della prossima legge di Bilancio. Poi, tocca il tema della frammentarietà del lavoro e gli effetti del decreto Dignità e al presidente Conte consiglia: "Imprenditori e investitori vorrebbero capire qual è l’idea che la politica ha del Paese e l'indirizzo generale per i prossimi cinque anni".

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E lo spread? Scampato pericolo? “Negli ultimi giorni il ministro dell’Economia Giovanni Tria è riuscito a far capire in maniera chiara ai due partiti di maggioranza che la compatibilità di bilancio delle misure di politica economica è nell’interesse del Paese", dice Giovannini. Che aggiunge: "Non è né una questione dell’Europa né dei mercati, di cui tutti noi facciamo parte. Negli ultimi mesi, l’andamento dello spread Btp-Bund segnala una correlazione molto forte tra l'allargamento del differenziale fra Btp e Bund decennali e annunci preoccupanti fatti da esponenti del governo. E’ importante che si sia trovata ora, invece, una coerenza fra le parti sugli obiettivi di governo. Permangono però delle diversità di vedute”. 

Quali?
“Tria insiste sulla necessità di un aumento degli investimenti. Altri, al contrario, sposano maggiormente l’idea che la crescita dipenda dai consumi, voce da spingere attraverso un taglio delle tasse o attraverso l’introduzione del reddito di cittadinanza. L’Italia ha bisogno di un piano molto importante di investimenti non solo nelle infrastrutture classiche, come strade e ponti, ma anche in quelle del futuro che incidono sulla competitività di un Paese”. 

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A cosa si riferisce in particolare?
“Siamo alle soglie di una grande rivoluzione verde. Penso, quindi, all’economia circolare. Allo stesso tempo, il governo deve affrontare anche il disagio sociale, perché oltre cinque milioni di poveri, fra cui un milione di minori, è un peso che un Paese moderno non può permettersi. Non è soltanto una questione di reddito, ma anche di servizi di accompagnamento come la scuola o al lavoro. La coperta è veramente molto corta. Pensare di fare tutto in un anno, magari per fini elettorali, sarebbe un grave errore, anche sul piano dell’attuazione”.

Può fare un esempio?
“Non è possibile riformare in maniera immediatamente efficace i centri per l’impiego o ridurre in poche settimane gli alti tassi di abbandono scolastico che caratterizzano Italia. In più, imprenditori e investitori vorrebbero capire qual è l’idea che la politica ha del Paese e l'indirizzo generale per i prossimi cinque anni: la persistenza nella direzione e nel perseguimento di obiettivi deve far premio rispetto al concentrare le misure tutte in un anno. Atteggiamento che prevale soltanto per fini elettoralistici e che, oltretutto, incontra dei vincoli contabili”.

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A fianco della riforma dei centri per l’impiego, prende corpo l’ipotesi del varo di un reddito di cittadinanza in due tempi: i primi provvedimenti nel 2019, le pensioni di cittadinanza, saranno indirizzati al sostegno degli oltre cinque milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà. Costano quattro miliardi, il primo anno e altri cinque il secondo. Lo condivide?
“Se questa fosse la linea definitiva, esprimerei dei dubbi sull’efficacia. Dei cinque milioni di poveri che abbiamo in Italia, circa 700 mila sono ultrasessantacinquenni, oltre tre milioni sono persone in età da lavoro e la restante parte sono minori. In questi ultimi 20 anni l’incidenza delle povertà, che in passato era concentrata nelle classi anziane, affligge soprattutto giovani e minori. Intervenire, dunque, sulla categoria che statisticamente ha meno incidenza sulla povertà (con le pensioni di cittadinanza, ndr) non è coerente con i dati reali. C’è poi una seconda considerazione da fare”.

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Quale?
“Alla fine degli anni ’90, insieme all’allora presidente dell’Inps Gianni Billia, costruimmo il primo archivio nazionale dei pensionati, strumento che consentiva di monitorarne il reddito per persona, tenendo conto dei diversi cumuli. L’obiettivo della rilevazione statistica finale dev'essere il pensionato, non il singolo assegno previdenziale. Alcuni dei pensionati che sono al minimo, in realtà cumulano più trattamenti. Quando si progettano le misure di welfare, bisogna pensare, non alla singola pensione, ma al reddito complessivo del nucleo familiare indigente. Da ministro, con decreto, ho reso operativo il casellario generale dell’assistenza, così da sapere se una singola persona, cumulando i soldi che riceve dall’Inps, Comune e Regione, raggranella cifre ragionevoli e riesce a vivere. Persona che statisticamente, al contrario, per ognuno degli erogatori, viene classificato come povero. Negli ultimi anni sì è fatto davvero poco per rendere operativo questo strumento, perché alcune Regioni e Comuni si sono rifiutati di fornire i dati. Reperire tutte le informazioni deve diventare obbligatorio per il policy maker, perchè altrimenti non è pensabile riformare il welfare in senso efficace”.   

Passiamo al tema del lavoro. Da ex ministro di quel Ministero, qual è il suo giudizio sul decreto Dignità licenziato dal governo a fine giugno? Centra l’obiettivo, che si è prefisso il ministro Luigi Di Maio, di ridurre la precarietà?
“Introduce alcuni cambiamenti positivi, altri meno significativi. E’ ancora troppo presto, però, per vedere gli effetti del provvedimento. Il mercato del lavoro si muove con estrema lentezza, anche in funzione di altri fenomeni ed è un sistema di vasi comunicanti. Non possiamo valutare gli effetti di una misura senza purtroppo considerare il rallentamento che sta avvenendo in Italia e nelle aspettative degli operatori. Penso in particolare a quelle delle famiglie sulla disoccupazione, aspettative che, secondo i dati Istat, sono cresciute. Anche il clima di fiducia delle imprese manifatturiere è peggiorato. In conclusione, è ancora troppo presto per tirare le fila ed esprimere un giudizio complessivo. Esiste poi un altro problema nel mercato del lavoro”.

Quale? 
“La frammentarietà del lavoro. Nel Paese si è salutato con grande enfasi il fatto che il numero degli occupati sia tornato ai livelli ante-crisi. Adeguandosi agli standard occupazionali, l'lstat però classifica una persona come occupata se lavora almeno un’ora. Se andiamo a vedere i dati delle unità di lavoro, riconducendo all’unità la quantità di ore lavorate, è possibile osservare che siamo ancora molto lontani dai livelli pre-recessione. Ciò significa che l’occupazione che è stata creata è molto frammentata. In totale, sono poche ore a persona, fattore che spiega anche il disallineamento fra la percezione delle persone sulla situazione economica generale e l'enfasi data ai risultati delle politiche economiche: è chiaro che un lavoro di poche ore non migliora le condizioni individuali. E, dunque, restano incertezza e insicurezza, lasciando inevaso il grande problema della dignità”. 

Sul fronte previdenziale, per quanto riguarda il superamento della riforma Fornero, tiene banco, secondo le ultime indiscrezioni, l’introduzione della quota 100 con limite di età a 64 anni. Cosa ne pensa?
“Vedremo quale sarà la proposta finale. Sono molto dispiaciuto che i precedenti governi abbiano impiegato tre anni a rendere operativo l’anticipo pensionistico, sia quello social sia quello volontario, strumento che avevo disegnato io in cui è prevista una forma di compartecipazione finanziaria delle imprese alla volontà delle persone di ritirarsi prima dal mercato del lavoro. Alla base dell’intervento c’era la logica di non scaricare tutto il peso del ritiro sulla finanza pubblica. Purtroppo è partito tardi, quest’anno e non siamo ancora riusciti a sondare e capire il reale appetito dei lavoratori per l’utilizzo di questo meccanismo. Se l'ape social fosse stato introdotto con tre anni di anticipo, probabilmente la discussione attuale sarebbe diversa. In definitiva, la riforma Fornero ha contribuito a mettere in sicurezza i conti pubblici nel lungo periodo l'Italia ha bisogno di spostare le risorse di bilancio dalle pensioni agli investimenti, sui giovani e sul capitale umano. Dev’essere la mission principale del governo per consentire al Paese di recuperare i ritardi, anche rispetto agli altri partner europei”.

Anche grazie alle ultime dichiarazioni rassicuranti dei ministri Di Maio e Salvini, lo spread Btp-Bund è ripiegato di circa 40 punti base: il trend è consolidato? I mercati sono ormai tranquilli? Non assisteremo più a repentine impennate del differenziale?
“Non è possibile dirlo. Certamente, però, il fatto che lo spread sia ripiegato a seguito delle recenti dichiarazioni di esponenti dell’esecutivo, dimostra l'estrema volatilità a cui sono soggetti i nostri titoli di Stato sul mercato secondario. La prima regola nell'affrontare le tematiche di finanza pubblica dev’essere quella di evitare tutto ciò che crea inutile incertezza. La volatilità è in agguato, anche perché gli investitori sono già agitati da molteplici fattori come i dazi americani ai prodotti cinesi ed europei, la Brexit e la crisi di alcuni Paesi emegenti come l'Argentina e la Turchia”.