Economia

Lehman Brothers 10 anni dopo. Fratini: "Le banche oggi sono un supermercato"

Buddy Fox

Lehman Brothers a 10 anni dal crack, "La lezione non è stata imparata", spiega Marco Fratini. L'intervista

"Le banche non sono un istituto di beneficenza, ma sono un'azienda commerciale", questo era l'assunto principale di un bestseller uscito con timing perfetto proprio il giorno del crack di Lehman Brothers.

"Vaffabanka" (pubblicato da Rizzoli) non racconta dei mutui subprime né della vicenda Lehman, ma è un manuale di autodifesa utilissimo per sapere come comportarsi in situazioni di crisi finanziarie come quella coincisa il 15 settembre.

Un libro sempre attualissimo, 10 anni fa con la crisi del 2008, 3 anni fa con il bail in e oggi con l'ossessionante questione dello spread. I due autori Marco Fratini e Lorenzo Marconi hanno la capacità e la bravura di rendere i termini complessi in mondo comprensibile, ma soprattutto le questioni più spinose addirittura divertenti. "Le buoni azioni" non le hanno fatte solo il libro, ma anche educando molti piccoli risparmiatori settimanalmente in quella che una gloriosa rubrica del settimanale oggi.

Marco Fratini oggi come allora è uno di quei giornalisti con la rara capacità di essere al tempo stesso, autorevole, comprensibile e addirittura spiritoso anche in temi per loro natura barbosi.

Conduttore nel weekend di Omnibus (La7) è stato sia al Tg3 e sia alla tv del Sole24Ore, una vita sempre dedicata a conoscere e raccontare i fatti finanziari.

Oggi è nel consiglio di indirizzo della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, un ruolo importante e di responsabilità perché di tutela del territorio e di conservazione del piccolo ma diffuso risparmio.

Un motivo e una speranza in più per credere che la finanza non è solo avida e spregiudicata come abbiamo scoperto 10 anni fa, ma ha anche il volto gentile, onesto e responsabile di persone come Marco Fratini.

Sono passati 10 anni esatti dal giorno in cui Lehman è fallita, e a guardare l’atteggiamento delle banche internazionali, delle borse (Wall Street su massimi assoluti) e in generale dell’industria finanziaria sembra già tutto dimenticato. E’ una mia impressione o è veramente così?
"Abbiamo fisse nella memoria (spero) quelle immagini degli ex dipendenti che lasciavano la banca con gli scatoloni in mano. La speranza era che, insieme con le loro memorabilia da scrivania, si portassero dietro anche gli errori. Ma non è stato così. La storia insegna ma purtroppo, come si sa, ha pochi scolari. Sarebbe sbagliato dire che non è cambiato niente: ci sono normative nuove, alcune buone, alcune no. Il problema è il rapporto che abbiamo con i soldi e con le banche. Da quel fatidico giorno, in cui ne vedemmo andare gambe all’aria una delle più celebrate, il nostro cervello ha registrato che le banche possono fallire. E lo hanno fatto. Puntualmente anche nel nostro Paese, anni dopo. Segnale che la lezione non è stata imparata. E che forse è impossibile impararla perché c’è sempre qualcuno che si crede più bravo o più furbo. E non paga mai il conto".

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Dieci anni fa, come si dice in gergo tecnico finanziario, con il suo successo, il libro “Vaffabanka” ha avuto un timing perfetto. Per la cronaca fu pubblicato a cavallo dei giorni del disastro. Si criticava apertamente, e giustamente, un sistema. Secondo Lei è cambiato qualcosa?
"In quel momento la crisi era dovuta al fatto che le banche non si fidassero più una dell’altra. Quando scrivemmo il libro con Lorenzo Marconi avevamo la certezza che qualcosa sarebbe successo. E successe. Il libro uscì lo stesso giorno del fallimento di Lehman e per mesi restò l’unico in commercio che parlava di banche, di come imparare a difendersi da loro, direi di come “trattare” con loro. Fu copiato, inserito nella lista dei libri consigliati per la formazione di molte aziende del credito (e, ci svelarono, anche della Banca d’Italia), ma a un certo punto venne bloccato. Ci invitavano a “Domenica In”, eravamo pop, troppo pop, mietevamo ristampe e cominciavamo a fare paura". 

Paura a chi?
"Con Lorenzo siamo stati pionieri, i primi a spiegare, raccontare, svelare gli arcani segreti del nostro capitalismo bancario da cortile. Lo facemmo con la semplicità degli “scappati da casa” come spesso ci autodefinivamo. Non eravamo “nessuno”, ma eravamo “tutti”. Eravamo come tutti. Facemmo decine e decine di presentazioni in giro per l’Italia, la gente ci metteva in mano i propri soldi, praticamente. Ci chiedeva di spiegare, aiutare. Un altro pezzo forte dei nostri slogan era: da ignoranti siamo ottimi clienti. C’era un sistema fatto di giornali, telegiornali, mezzi di comunicazione che ci teneva proprio così, ignoranti. Me li ricordo bene quelli che ci criticavano dai piani alti, me li ricordo per nome e cognome. Alcuni di loro adesso vanno in giro a spiegare il benchmark, la rava e la fava, a fare educazione finanziaria, sono anche entrati in Parlamento e hanno fatto i direttori di giornale. Solo gli stupidi non cambiano idea. Meglio così. In fondo, ve lo immaginate uno che ha nella fedina l’aver scritto Vaffanbanka? Può fare forse il direttore? Preferisco lottare insieme a voi. (Smile)".

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Mi ricordo nelle conferenze ci teneva a ripetere che “la banca non è un santuario, ma un negozio”, oggi è ancora così?
"Peggio. E’ diventata un supermercato. C’è stata una concentrazione di potere che ha spesso cancellato il rapporto con il territorio. E’ vero che le banche popolari andavano in qualche modo riformate, ma è vero anche che ne è stato frettolosamente dimenticato un valore che in quegli anni di crisi rappresentarono per un Paese come il nostro. Senza fare nomi, ma solo esempi semplici, iperbanche come Intesa e Unicredit tendevano a chiudere i rubinetti del credito e non prendevano più rischi, al contrario delle piccole banche che invece continuarono in qualche modo a dare sostegno al territorio. Se non ci fossero state loro, ora staremmo peggio. Eppure le hanno asfaltate senza un briciolo di gratitudine".

Dieci anni dopo, ricostruendo la storia di Lehman, la domanda è sempre la stessa: giusto farla fallire? Sarebbe cambiato qualcosa se Lehman fosse stata salvata?
"Non lo sapremo mai. Chi dice il contrario sta tra quelli che erano a libro paga e ora insegnano educazione finanziaria". 

Gli Usa dalla crisi dei mutui, dai titoli tossici, dal salvataggio di Aig e altre istituzioni, negli anni sono riusciti non solo a recuperare i soldi spesi, ma anche a guadagnarci. Noi invece dieci anni dopo ci ritroviamo ancora una crisi bancaria che non sembra avere fine, dove abbiamo sbagliato?
"Le banche sono fatte di persone. Dal più piccolo dei dipendenti al più grande dei manager, gli errori sono un fattore umano. Non si può pretendere di cambiare un sistema se al suo vertice si riciclano le stesse persone. Non si può pretendere siano loro a cambiare quel che hanno contribuito a creare. Poi, va onestamente riconosciuto: in giro, qualche banchiere discreto ora c’è. Più di allora. E la crisi ora è diversa: l’infezione parte dagli Stati. Il nostro è un malato grave in cura con l’aspirina".

Il bail in è stato un errore? C’è chi si ostina a dire che le banche, essendo centrali nel sistema, non dovrebbero mai fallire. Non si favorisce la reiterazione del “reato”?
"Aver fissato a 100mila euro il tetto oltre il quale i comuni mortali correntisti devono contribuire al salvataggio di una banca è da idioti: una cifra di questo genere sul conto ce l’hanno anche famiglie modeste, che magari hanno venduto la casa per sostenere un parente che ha perso il lavoro. Va aumentata la cifra. Ma va anche ricordato che buona parte dei nostri eurodeputati ha votato quella norma così. Senza conoscere il Paese che rappresenta. Farei un bail in ristretto ai loro conti in banca e glielo farei pagare. Tutto".

Se gli Usa hanno avuto i titoli tossici dovuti ai mutui subprime, noi abbiamo avuto gli Npl, le sembra un paragone assurdo? Npl che invece di svendere, avremmo potuto pazientare, magari con la creazione di un istituto apposito, e farne un’opportunità di guadagno per la comunità come hanno fatto gli americani?
"La cessione degli Npl è una necessità ma fa ribrezzo. L’Italia si trasformerà nei prossimi mesi in un’immensa nuova Equitalia dove il recupero crediti sarà quotidiano. Cedere un debito a un londinese, a un cinese o anche solo a un investitore lontano dal luogo dei nostri beni in garanzia, come una casa o un capannone, significa che prima o poi ce li chiederà. Più prima che poi"

Il sistema bancario italiano è di nuovo sotto assedio? Saremo colonizzati da istituti che, più o meno aiutati, hanno superato la crisi?
"Sì, ma i soldi non hanno né puzza né odore". 

Sempre in tema Italia, sono tornate di stretta attualità le agenzie di rating, complici del disastro di 10 anni fa, oggi mantengono l’autorevolezza per essere le artefici, attraverso le loro pagelle, del destino di Stati e inevitabilmente dei cittadini. Com’è possibile che il sistema dia loro ancora tutta questa credibilità e potere?
"Prendiamo il calcio: si gioca con l’arbitro in campo e ora anche la Var. Ce ne lamentiamo ugualmente, ma è la regola. Immaginare il mercato del debito senza agenzie è come immaginare il calcio senza arbitro. Il tentativo di dare alle agenzie la colpa di un “rigore” mancato è infantile. E inutile. I mercati funzionano così. Punto. Basta con la storiella degli incappucciati che ti friggono lo spread. Uno può mettere l’Italia sotto pressione magari per un po’, ma non raddoppiarle il differenziale senza un motivo. Lo spread sale perché dal punto di vista delle prospettive economiche, e dunque di affidabilità, noi siamo come la Colombia e la Bulgaria. Facciamo pietà".

Non crede che le Banche Centrali e quindi anche il “nostro” super Mario Draghi, con l’immissione di liquidità infinita, tassi perpetuati a zero nonostante la crescita economica considerati un doping, stiano più o meno consapevolmente alimentando la prossima bolla finanziaria?
"Se Draghi non ci fosse stato e non fosse italiano (anche se tutti negano), il nostro Paese sarebbe uno di quelli con il piattino in mano e la scimmietta che balla".

L’allora ministro all’economia Tremonti, durante i tempi bui della crisi, disse che l’attuale sistema finanziario è fatto di mostri, se ne abbatti uno ecco che subito ne compare uno nuovo, ancora più grande. Le chiedo, non è che dopo i dominatori dell’Universo, gli avidi banchieri di Wall Street, il prossimo problema sarà l’eccessivo monopolio e il gigantismo dei “mostri” della Silicon Valley?
"Tremonti chi, il commercialista? Bravo eh. Però…"

Si dice che l’origine della crisi sia stata quando Clinton annullò la legge bancaria del 1933 nota come “Glass-Steagal Act”. Dunque una crisi creata dalla politica e risolta dalle banche centrali che oggi per voce di Draghi richiamano l’attenzione sulle “shadow banking” da regolamentare. Banche a cui Trump sta già togliendo i piccoli bavagli dell’era Obama, e poi ci sono i giganti tecnologici che crescono a dismisura senza essere tassati. Le autorità di vigilanza sono sempre latitanti, la politica conta ancora qualcosa?
"La politica, se fatta bene, conta sempre qualcosa. Ma è l’economia che la domina. Sono i soldi che la fanno girare. Chiediamoci sempre, davanti a ogni accadimento, chi ci guadagna. Se a guadagnarci sono i politici, a me fa paura. Se a guadagnarci sono le banche idem. Se a guadagnarci siamo noi, semplicemente, sarebbe un miracolo. Ma bisogna credere nei miracoli e, fino a prova contraria, né Trump né Putin, i banchieri o i nostri governanti somigliano a Padre Pio".

Vi piace come racconta la finanza? Se sì, lo potete  trovare la sera nel telegiornale delle 20, perché lui a La7 fa il caporedattore di Economia ed Esteri. "Il denaro non dorme mai" recita un adagio a Wall Street, una delle sue citazioni preferite, proprio come il suo direttore Enrico Mentana. Lui ogni tanto riposa, meritatamente.

@paninoelistino