Economia
Mediobanca/ Rothschild, Lazard e Jefferies: le ipotesi del mercato sul piano
Sta per alzarsi il sipario sul nuovo piano industriale. I sogni proibiti del mercato si chiamano Banca Generali e Fineco. Ma Nagel potrebbe guardare all’estero
Strategia che paga, non si cambia: con un Rote (ritorno sul capitale tangibile) superiore al 10% ed un utile netto sui massimi dell’ultimo triennio, in crescita del 10% annuo alla fine del primo trimestre fiscale 2019/2020 (al 30 settembre scorso), è difficile pensare che domani Alberto Nagel, numero uno di Mediobanca, possa annunciare una rivoluzione nella strategia che Piazzetta Cuccia seguirà nel prossimo triennio.
Ma con alcuni azionisti come Leonardo del Vecchio (che ha approfittato dell’uscita di scena di Unicredit, in precedenza primo socio individuale con l’8,84%, per salire a ridosso del 10%) che scalpitano perché i risultati del gruppo non dipendano solo dal credito al consumo (da Compass deriva attualmente circa il 41% degli utili di Mediobanca) e dai dividendi di Generali (che pesano per un ulteriore 38% abbondante sugli utili), molti analisti a Piazza Affari prevedono che Nagel vorrà accogliere almeno in parte le richieste puntando con maggior decisione sulle attività di banca d’investimento.
Del Vecchio al 9,889% di Mediobanca/ Leonardo Del Vecchio ha il 9,889% Del capitale di Mediobanca. L'ufficialità arriva dalle comunicazioni alla Consob sulle partecipazioni rilevanti, che confermano la salita dell'imprenditore a ridosso della quota Del 10% di Piazzetta Cuccia lo scorso 6 novembre, giorno in cui UniCredit ha completato l'uscita dal capitale con un accelerated bookbuilding. La partecipazione è così suddivisa: il 9,371% è in mano a Delfin, lo 0,203% è controllato da Aterno e lo 0,316% da Dfr Investment. Parallelamente, UniCredit è passato dal precedente 8,848% allo 0,258%. La partecipazione residua, ha precisato a Consob l'istituto guidato da Jean Pierre Mustier, è detenuta dalla controllata UniCredit Bank Ag "a titolo di negoziazione a breve termine". |
Altrettanto vero è che Nagel in questi anni ha comprato con molta oculatezza in Europa, ad esempio (lo scorso aprile) il 66% della banca di investimento parigina MessierMaris&Associés, una delle tre principali boutique di corporate finance francesi da 10,4 milioni di euro di commissioni annue, rispetto ai 57 milioni di commissioni segnate nel primo trimestre fiscale da Mediobanca (per le sole attività di investment banking), acquisizione tra l’altro pagata interamente in azioni di Piazzetta Cuccia. E che al momento gli è valsa l'advisoring a Peugeot nel mega-matrimonio dell'auto con Fca.
Pare difficile dunque pensare che il manager si lascerà trascinare in una costosa campagna acquisti, con mercati finanziari e multipli vicini ai massimi storici e timori di un rallentamento della crescita all’orizzonte. Nagel potrebbe poi puntare a rafforzare anche il settore del private banking e del wealth management, dove nel periodo luglio-settembre le masse gestite o sotto advisory sono già salite rispettivamente a 17,5 miliardi (+6% su base annua, +4% rispetto al trimestre precedente) e 39,8 miliardi (+6% annuo, +2% sul trimestre precedente).
Se oltre alla crescita organica Mediobanca provasse la strada delle acquisizioni, i nomi su cui punta il mercato sono sempre quelli: Banca Generali, se Trieste acconsentirà a cedere in tutto o in parte il suo 51%, ovvero FinecoBank, di recente uscita dal perimetro Unicredit. Ma se Banca Generali, che a Nagel pare “stia bene nel portafoglio di Generali e abbia successo”, capitalizza poco più di 3,5 miliardi, FinecoBank ne vale quasi il doppio, 6,7 miliardi.
Certo, come già sottolineato ad esempio dagli analisti di Deutsche Bank qualche settimana fa, una integrazione tra FinecoBank e CheBanca! (controllata di Mediobanca) potrebbe generare sinergie importanti, ma non è detto che possano essere tali da portare a cedere il 3% di Generali, che in borsa vale circa 900 milioni di euro, per poter finanziare un’operazione che, nel caso si volesse arrivare ad un 30% di FinecoBank, finirebbe per costare circa il doppio.
Questo comporterebbe la necessità quanto meno di ridurre le attività di tesoreria, peraltro salite da 4,8 a 5,3 miliardi netti a fine settembre con 1,51 miliardi di euro mantenuti in liquidità proprio per via dell’elevata incertezza su tassi e spread.
Se però Nagel volesse cogliere tutti di sorpresa, annunciando una grande acquisizione proprio nel campo dell’investment banking, con 1,5-2,4 miliardi a disposizione (a seconda che usi solo la cassa o proceda anche al collocamento del 3% di Generali), cosa potrebbe comprare al momento? Guardando alle capitalizzazioni di mercato e secondo i nomi che si fanno nelle sale operative, la britannica Rothschild vale poco più di 2 miliardi di sterline (2,3 miliardi di euro), l’americana Lazard 4,3 miliardi di dollari (3,9 miliardi di euro), la connazionale Jefferies 5,8 miliardi (5,3 miliardi di euro).
Per il momento, tuttavia, i rispettivi azionisti di controllo non hanno mai dato segnali di voler fare un passo indietro, quindi Nagel potrebbe dover utilizzare la cassa per operazioni di portata più piccola e per accelerare per quanto possibile la crescita organica. Basterà a Del Vecchio?