Economia
Mediobanca, si avvicina l'assemblea. Ma la vera battaglia sarà per Generali
Con l'approvazione del Ddl Capitali cambierà la composizione dei cda: ecco perché è una vittoria per Caltagirone
Mediobanca è l'antipasto: la vera battaglia sarà in Generali (nel 2025)
Spiace dover contraddire Giorgia Meloni nella sua distinzione tra goccia (che sarebbe solo acqua) e pietra (che rimane tale): già i latini, infatti, celebravano “gutta cavat lapidem non vi, sed saepe cadendo”. Tradotto: la goccia scava la pietra non con la forza ma con il cadere costante. E dev’essere questa l’idea che frulla nella testa di Francesco Gaetano Caltagirone e – in passato – di Leonardo Del Vecchio. A tre giorni dall’assemblea di Mediobanca, infatti, il fondatore di Cementir può permettersi il lusso di osservare, senza avere l’urgenza di dimostrare nulla.
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È cambiato radicalmente il contesto rispetto alla “battaglia” per Generali che si consumò dalla seconda metà del 2021 fino all’aprile del 2022. Allora in molti sostennero che l’Ingegnere si fosse lanciato in una lotta improba da cui non poteva uscire vincitore pur essendo uno degli imprenditori più liquidi d’Italia. A guardarlo oggi, però, quello fu il primo passo di un tentativo di scardinare il Salotto buono della Finanza. Nel consiglio di amministrazione di Generali siedono tre membri diretta emanazione di Caltagirone (che tra l’altro si dimise a luglio del 2022 lasciando spazio a Stefano Marsaglia): oltre al già citato Marsaglia anche Marina Brogi e Flavio Cattaneo.
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Ora in Mediobanca il nuovo round. Con l’astensione annunciata di Enpam e di Gavio, con la scelta di Poste di non partecipare all’assemblea, il quorum progressivamente si sta abbassando. L’assunto è semplice: più alta sarà la partecipazione, migliore sarà il risultato per la lista del cda uscente che, come previsto, ha incassato l’endorsment di quasi tutti i proxy advisor (i “consiglieri” dei fondi che danno indirizzo su come votare nelle assise) pur con qualche rilievo sul presidente Renato Pagliaro. Che, secondo alcuni, non sarebbe il profilo più indicato per ricoprire quel ruolo visto che non può essere indicato come indipendente.
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La scelta di Delfin di presentare una lista di soli cinque membri (e non di sette come a un certo punto si era pensato), senza indicazioni su amministratore delegato e presidente lascia dunque le cose come stanno nell’impianto manageriale di Piazzetta Cuccia: Nagel, Pagliaro e il direttore generale Vinci rimangono al loro posto. Ma i conti si faranno dopo il 28: al momento la lista di Delfin può avere il supporto di un 30% di capitale derivante dagli eredi di Del Vecchio e da Caltagirone. Da decifrare la posizione di Edizione Holding, che detiene il 2%, che se dovesse esprimersi come in Generali andrebbe a rimpinguare le azioni a favore dei dissidenti.
Se davvero, come sembra, dovesse presentarsi il 70% delle azioni ci sarebbe quindi un 30-33% che voterebbe a favore della lista di Delfin e un 37-40% a favore del board, con l’incognita Assogestioni che, nel caso ottenesse più del 2% avrebbe diritto a un seggio. Nella peggiore delle ipotesi, dunque, la lista di Delfin chiuderebbe con il 42-43% dei votanti. Meglio di quanto avvenne con Generali, dove Mediobanca aveva anche azioni "in prestito" (procedura che questa volta non sarà impiegata). Ma è chiaro che l’obiettivo di Caltagirone, nonostante gli 80 anni suonati, rimane di lungo periodo. Intanto, inizia a schierare le truppe in vista dell’assemblea di Generali di aprile 2025. Già pregusta la sua rivincita, riuscendo a defenestrare quel Philippe Donnet che – pare – a Trieste è sempre più un uomo solo al comando avendo avocato a sé diverse funzioni gestionali.
A supporto di questa tesi c’è anche il Ddl Capitali. Fortemente voluto dal duo Meloni-Fazzolari per impedire altre fughe di quotazioni all’estero – dove il voto plurimo è contemplato e incentivato (citofonare Bombassei, Berlusconi o Elkann per chiarimenti) – questo dispositivo permette anche di sistemare un altro tema, assai caro a Caltagirone e non solo: dal 2025 la lista del cda dovrà essere approvata dai due terzi del consiglio uscente e contenere una rosa di componenti pari al numero da eleggere aumentato di un terzo, in modo da consentire all'assemblea di votare uno per uno i candidati. Un’autentica rivoluzione. Caltagirone ha scelto di ritagliarsi il ruolo di spettatore interessato nella partita di Mediobanca. Come ribadito anche da Francesco Milleri, sia Delfin che il costruttore romano hanno interesse a mantenere la propria posizione a lungo all’interno del capitale di Mediobanca. Ma è su Generali che, progressivamente, si stanno schierando le truppe. Mancano esattamente 18 mesi, ma c’è da scommettere che non ci sarà di che annoiarsi.