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Mediobanca: le medie imprese performano meglio rispetto al pre-Covid

di Redazione Corporate

Barbaresco (Area Studi Mediobanca): "L’IA interviene come possibile fattore mitigante e si sta facendo strada nelle agende degli imprenditori"

Area Studi Mediobanca, XXIII Rapporto sulle medie imprese industriali italiane: performance migliori rispetto al pre-Covid

Sprint delle medie imprese, punta di diamante della manifattura italiana. Tra il 2019 e il 2021, ovvero rispetto al periodo pre-Covid, hanno registrato un aumento medio del 5,6% del fatturato (contro il +4% del resto delle manifatturiere), del 4,6% delle esportazioni (contro il +4,2%) e dell’1,1% della forza lavoro (contro il +0,01%).

Nel 2022 la crescita è proseguita a conferma di un trend che dura da 27 anni. Esse sono già avanti sul cammino della transizione digitale: l’82,6% ha investito o investirà dal 2021 al 2026 in tecnologie 4.0 e il 37,9% adotterà l’Intelligenza Artificiale nei prossimi tre anni, soprattutto per migliorare l’efficienza interna; mentre il 69,6% ha investito o investirà in green nel periodo considerato. Stiamo parlando di eccellenze del made in Italy alle prese con un contesto competitivo oggi particolarmente sfidante: dopo un 2023 all’insegna della stabilità (+0,1% le vendite), per quest’anno le attese sono di un calo dell’1,2%.

Alcune medie imprese rimangono ottimiste: quelle che operano nell’alta gamma – ovvero il 37,1% del totale – stimano una crescita delle vendite nell’ordine dell’1,8% in linea con il 2023. Mismatch tra domanda e offerta di lavoro, riduzione dei margini, competizione sui prezzi, approvvigionamento delle materie prime sono tra le principali difficoltà lamentate dalle imprese. Anche per questo una media impresa su due chiede all’Unione Europea di garantire la sicurezza energetica.

È quanto emerge nel XXIII Rapporto sulle medie imprese industriali italiane e nel Report “La competitività delle medie imprese tra percezione dei rischi e strategie di innovazione” realizzati dall’Area Studi di Mediobanca, dal Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere e presentati oggi a Modena. Si tratta di una realtà produttiva composta nel 2022 da poco più di 4.000 imprese che da sole rappresentano il 16% del fatturato dell’industria manifatturiera italiana, il 15% del suo valore aggiunto, il 14% delle esportazioni e il 13% degli occupati totali.

Le medie imprese spingono la transizione digitale e green del Paese: al 2026 quasi la totalità avrà investito nella digitalizzazione, rispetto alla quale crescerà molto nei prossimi anni l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, e nella sostenibilità ambientale, puntando in larga parte sulle tecnologie finalizzate al raggiungimento di una neutralità delle emissioni”, ha dichiarato Andrea Prete, Presidente di Unioncamere, “ma ci sono anche dei rischi che le medie imprese ci segnalano fortemente: la difficoltà di reperire e trattenere talenti, la complessità del quadro normativo e la mancanza di sicurezza informatica”.

L’incertezza del momento impone alle medie imprese obiettivi chiari e selettivi, ad esempio in termini di posizionamento su mercati e linee di prodotto. Ciò richiede Capitale Umano di qualità, arduo da reperire e trattenere, una difficoltà che, un po’ sorprendentemente, riguarda anche i siti produttivi all’estero. L’IA, sotto questo profilo, interviene come possibile fattore mitigante e si sta facendo strada nelle agende degli imprenditori, ma a sua volta richiede competenze specialistiche. Quelle meno sofisticate possono invece essere soddisfatte da lavoratori provenienti da oltre confine: in questo senso le medie imprese si candidano anche a svolgere un preziosissimo ruolo di integratori culturali”, ha commentato Gabriele Barbaresco, Direttore dell’Area Studi Mediobanca.

Il territorio ancora oggi continua ad essere un importante fattore di accumulazione e di know how anche per le medie imprese, al punto che oggi più del 40% di queste aziende ha sede nei distretti industriali o in sistemi produttivi locali", ha dichiarato Giuseppe Molinari, Presidente del Centro Studi Tagliacarne, “pur trattandosi di realtà molto aperte ai mercati internazionali dove esportano il 42% del fatturato, la base produttiva resta radicata ai territori di origine. Solo l’11% delle medie imprese disloca, infatti, la produzione all’estero e una grande maggioranza preferisce rifornirsi da suppliers nazionali, a testimonianza della forte affidabilità e reputazione che, anche per queste aziende, riveste la componentistica italiana”.

La forza lavoro delle medie imprese conta 555.580 dipendenti (il 25,8% sono donne e il 18% under 30). La difficoltà a reperire profili professionali adeguati è per il 51,6% delle medie imprese in cima alle criticità incontrate nel 2023. Anche per questo, il 52,5% ha assunto o assumerà entro i prossimi tre anni lavoratori extra-UE. In particolare, la richiesta di stranieri è orientata principalmente all’acquisizione di operai specializzati (68,7%).

Tra le altre principali difficoltà fronteggiate nel 2023 dalle imprese, il 43,5% ha subìto una riduzione dei margini, il 36,1% la competizione sui prezzi, il 33% il mancato utilizzo della propria capacità produttiva a causa del ridotto potere d’acquisto dei clienti, il 26,2% problemi dovuti all’approvvigionamento di materie prime. Proprio per superare le problematiche legate alla supply chain, più della metà delle medie imprese punta a diversificare i fornitori, mentre circa una su tre intende rafforzare la collaborazione con i fornitori attuali (30,7%).

Per superare alcune delle principali criticità, le medie imprese vedono nell’Unione Europea un importante alleato. In particolare, il 51,2% di queste realtà produttive ritiene che l’UE debba garantire la sicurezza energetica, il 45,5% una maggiore tutela dalla concorrenza sleale dei Paesi extra-UE, il 32,2% accordi internazionali per la sicurezza dell’approvvigionamento delle materie prime. Mentre un’impresa su quattro vorrebbe che l’Unione potenziasse il mercato unico facilitando gli scambi tra gli Stati membri.

Dal 1996 le vendite delle medie imprese sono cresciute del 187,7%, superando nettamente le grandi (+130,8%). Il loro prezioso contributo allo sviluppo del Paese è ancor più evidente se si considera che il recupero medio sul pre-Covid (2019-2021) è stato migliore di quello messo a segno dal resto della manifattura italiana, tanto nel fatturato (+5,6% vs il +4%), quanto nelle esportazioni (+4,6% vs +4,2%), nel valore aggiunto (+5,6% vs +4,4%) e nella forza lavoro (+1,1% vs +0,01%). Il 2022 ha visto crescere ulteriormente il fatturato (+17,1% nominale, +2,9% a valori reali) con le vendite oltreconfine in aumento del 16,2% (3,6% deflazionato). Esse confermano dunque la grande capacità di adattamento che le ha rese meno sensibili agli shock, ma guardano al futuro con cautela.

Le incertezze del contesto competitivo hanno portato il 2023 a chiudere con vendite invariate (+0,1%) ed esportazioni in lieve incremento (+0,5%). Le prospettive per il 2024 sono invece di un calo contenuto del fatturato (-1,2%), più acuto sui mercati esteri (-4%) soprattutto per alcuni comparti dell’alimentare, per il metallurgico e per i settori diversificati. Note positive vengono dagli operatori dell’alta gamma (il 37,1% del totale) che hanno congedato il 2023 con vendite in incremento dell’1,8% e che si attendono una crescita di pari entità per il 2024.

Il 41,6% del fatturato delle medie imprese italiane è realizzato oltreconfine: Unione Europea, America del Nord e Regno Unito sono le principali destinazioni dei loro prodotti. Proprio dal mercato europeo proviene la principale minaccia alle esportazioni: per il 36,1% delle medie imprese la crisi economica della Germania produrrà effetti sfavorevoli, più di quanto non abbia fatto la Brexit che ha pesato negativamente solo sul 5,5% del totale. In particolare, a causa della recessione tedesca, l’83,4% prevede una riduzione dell’export, soprattutto di beni finali di consumo e materie prime o semilavorati e, in misura minore, di servizi.

La gestione dei rischi riveste un ruolo fondamentale, ancor più in un contesto carico di incertezze. Il 70,1% delle medie imprese attribuisce un’alta e medio-alta rilevanza al rischio connesso alle difficoltà di reperimento e trattenimento delle competenze professionali; preoccupano inoltre la complessità del quadro normativo e legale (68,8%) e il cyber risk (64,1%). I rischi inerenti alla sicurezza e agli infortuni sul lavoro destano apprensione al 58,8% delle medie imprese e sono seguiti a breve distanza da quelli derivanti dall’instabilità geopolitica e macroeconomica (58,5%).

Osservando la sinistrosità dei rischi sopra riportati registrata negli ultimi 24 mesi, si rileva che il 44,7% delle medie imprese ha subìto eventi avversi legati alle difficoltà di reperimento e trattenimento del personale e il 35,2% ai danni da infortuni e alle problematiche connesse alla sicurezza sul lavoro. Benché percepita come mediamente meno rischiosa, l’esposizione a eventi meteo di tipo catastrofale ha interessato il 29,2% del totale. Occorre infatti segnalare che il 7,3% dei comuni in cui sono localizzate le medie imprese è esposto a un rischio idrogeologico elevato e un ulteriore 16,7% presenta una media pericolosità.

In aggiunta, il 5,4% delle aree di insediamento delle Mid-Cap è associato a un’alta probabilità di eventi franosi. Infine, il 33% dei territori in cui hanno sede le medie imprese è classificato in zone ad alto rischio sismico. La gestione del rischio aziendale è affidata per lo più al proprio management (69,2%). La formazione sulla gestione dei rischi è quindi un driver di competitività importante, tanto che il 47% delle medie imprese ha già provveduto a investire in tal senso nel triennio 2021-2023 e il 47,8% lo farà nel 2024-2026. Il 33,7% delle imprese che ha svolto tale attività prevede un aumento del fatturato nel 2024 contro il 27,2% che non vi ha ancora provveduto.

Prosegue il cammino verso la transizione digitale delle medie imprese: l’82,6% ha investito in tecnologie 4.0 nel triennio 2021-2023 o lo farà entro il 2026. Tra i principali investimenti in innovazione si segnalano quelli in macchinari, attrezzature e impianti tecnologicamente avanzati che hanno riguardato il 77,7% delle medie imprese, seguiti dalle migliorie di prodotto e processo (69,6%) e dallo sviluppo di software e database operativi (51,3%). Ma ancora una volta il principale ostacolo all’innovazione è rappresentato dalla mancanza di personale competente: se ne lamenta il 42,7% delle aziende.

Al momento sono ancora poche le imprese che utilizzano l’Intelligenza Artificiale (solo il 5,8%), ma il 37,9% prevede di cominciare ad adoperarla nel prossimo triennio. Nello stesso arco di tempo, l’80% delle Mid-Cap prevede di investire in attività innovative volte all’efficienza e al risparmio energetico, confermando un ruolo primario anche nella transizione verde. In particolare, il 49,8% delle imprese green sta investendo in tecnologie strategiche per la neutralità climatica (Net-Zero).

Avvalersi delle risorse del PNRR è fondamentale per una buona parte degli imprenditori che puntano alla duplice transizione. A dirlo è il 41,2% delle società che intendono investire in digitale e il 34% di quelle che hanno in programma di puntare sul green. Ma l’eccessiva burocrazia è per il 59,1% un ostacolo all’utilizzo del Piano. Anche per questo, un quinto delle medie imprese dichiara la necessità di dover ricorrere all’assistenza tecnica da parte delle istituzioni.