Economia

Pensioni, il divario tra uomo e donna è preoccupante: nel 2023 vale 533 euro. E non fa che aumentare

Le cause sono molteplici, ma nonostante questo il rapporto evidenzia un problema oggettivo del nostro Paese

di redazione economia

Pensioni, Fabi: divario di genere preoccupa. Vale 533 euro (+7,17%)

Il divario di genere nelle pensioni vale 553 euro. Il dato è relativo al 2023 ed è più alto di 37 euro (+7,17%) rispetto ai 516 euro dell’anno precedente. Il gap pensionistico tra uomini e donne si conferma preoccupante. Le donne che hanno svolto un lavoro dipendente percepiscono in media 1.008,3 euro al mese, gli uomini, invece, ricevono 1.561,3 euro, registrando una differenza del 35,4%. E' quanto emerge da un'analisi della Fabi.

Più marcata la situazione nell’ambito del lavoro autonomo: gli assegni rosa sono pari a 730 euro, contro i 1.285,8 euro dei maschi, con un divario pari al 43,2%. Tali disuguaglianze, misurate sulla base di dati Istat, è il risultato di una combinazione di fattori economici, sociali e normativi, che si accumulano lungo tutta la carriera lavorativa e si riflettono nel sistema previdenziale pubblico e privato.

Più nel dettaglio, pensioni di anzianità e pensioni anticipate del settore privato vedono un divario del 23,5%, con un importo medio di 1.728,7 euro per le donne e 2.259,1 euro per gli uomini. Le pensioni di invalidità presentano una differenza del 28,7%, con le donne che percepiscono in media 610 euro al mese contro gli 855,3 euro degli uomini.

Nelle pensioni di vecchiaia il divario raggiunge il 45,8%, con un importo medio di 754,7 euro per le donne rispetto ai 1.392 euro degli uomini. Unica eccezione è rappresentata dalle pensioni di reversibilità (superstiti), con le donne che percepiscono mediamente 978 euro, il 91,7% in più degli uomini, ai quali vanno 510,1 euro.

Per i lavoratori autonomi, le pensioni di anzianità e anticipate mostrano una differenza del 30,5%, con le donne che ricevono 1.029 euro rispetto ai 1.425 euro degli uomini. Anche per le pensioni di invalidità il divario è significativo, con una differenza del 26,5% a sfavore delle donne). Le pensioni di vecchiaia registrano un gap del 27,6%, con le donne che percepiscono 747 euro contro i 1011 euro degli uomini. Anche in questo caso, l’unico valore superiore per le donne è nelle pensioni di reversibilità, dove ricevono 694 euro, il 44,1% in più rispetto agli uomini (433 euro).

Nel settore pubblico, il divario pensionistico complessivo è del 26,5%, con le donne che percepiscono mediamente 1.815 euro al mese rispetto ai 2.468,6 euro degli uomini. Il divario nelle pensioni di anzianità è del 22,4%, (2.184 euro contro 2.816 euro) in quelle di invalidità del 25,3%, mentre per le pensioni di vecchiaia il divario raggiunge il 35,6% e nelle pensioni di riversibilità il 63,4%, questa volta a favore del genere femminile.

Le cause di questa disparità sono molteplici. Le donne guadagnano mediamente meno degli uomini in molti settori economici, riducendo l’ammontare dei contributi versati durante la carriera lavorativa. A ciò si aggiunge un’occupazione più discontinua: quasi il 48% delle lavoratrici ha un impiego part-time, a fronte di meno del 18% degli uomini, una scelta spesso dettata da esigenze familiari. Inoltre, gli uomini beneficiano più frequentemente di pensioni anticipate, che garantiscono assegni più elevati, mentre le donne accedono più tardi alla pensione di vecchiaia ordinaria.

Anche la tipologia di contratto influisce: nel settore privato, i contratti a tempo indeterminato riguardano il 59,9% degli uomini contro il 40,1% delle donne, mentre i contratti a tempo determinato, che prevedono una contribuzione più frazionate e discontinua nel tempo, sono quasi equamente distribuiti (48,3% donne e 51,7% uomini). Nei contratti a tempo indeterminato, inoltre, salta agli occhi il gender gap tra le figure di quadri e dirigenti. Solo il 21,1% delle donne, infatti, ha contratti da dirigente contro il 78,9% dei colleghi uomini.

Nei contratti da quadri le donne raggiungono il 32,4% mentre gli uomini rappresentano il 67,6%. Ne consegue una minore capacità di versamento dei contributi previdenziali e, di conseguenza, in assegni pensionistici più bassi, con effetti significativi sulla qualità della vita delle donne anziane, che risultano più esposte al rischio di povertà rispetto agli uomini.

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