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Economia
Petrolio, Arabia: "Possiamo vivere a 20$". L' uberizzazione del mercato

Mentre si allontana il miraggio di un congelamento della produzione come voluto (sulla carta) da Arabia Saudita e Russia, i prezzi del petrolio continuano a trattare in netto calo: il Brent cede l'1,83% a 32,66 dollari al barile, mentre il Wti scende del 2,92% a 30,87 dollari. Le dichiarazioni rilasciate dal rappresentante dell'Iraq all'Opec questa mattina, Faleh al-Amri (ha sottolineato che i livelli di produzione e le esportazioni di Baghdad continueranno a crescere in maniera costante), insieme alle parole pronunciate dal ministro del Petrolio dell'Arabia Saudita, Ali al-Naimi, hanno effettivamente compromesso il raggiungimento dell'equilibrio tra domanda e offerta di greggio. Così, l'ipotesi di un ribilanciamento del mercato del greggio nel breve periodo sembra essere sempre più lontana dal concretizzarsi.

Durante un convegno a Houston Ali al-Naimi ha detto che l’Arabia Saudita può convivere con un prezzo del petrolio ancora in calo fino a 20 dollari e che Riad si affida anche alle forze del mercato: l'offerta e la domanda riusciranno a equilibrare il mercato. Il ministro ha anche indicato che i bassi prezzi del petrolio spingeranno fuori dal mercato i produttori con prezzi di estrazione più alti.

Non sono solo le scaramucce fra Paesi Opec come Iraq, Iran e Arabia a remare contro il taglio dell'eccesso di offerta (di oltre un milione di barili al giorno) che in poco più di un anno ha portato il petrolio da circa 100 dollari al barile a quota 30. Anche l'ingresso sullo scenario dello shale oil americano che ha consentito agli Stati Uniti di diventare indipendente energeticamente ed esportatore netto superando lo scorso anno addirittura l'Arabia Saudita in un processo generale che, da qualche addetto ai lavori, è stato appellato come "l'uberizzazione del greggio", richiamando la rivoluzione che l'ingresso delle app nei dispositivi mobili come smartphone e tablet ha avuto sul servizio taxi. E' proprio la tecnologia infatti che ha allargato a tre attori principali (Opec, Russia e Stati Uniti) la possibilità di incidere strutturalmente sulla quantità complessiva di greggio riversata sul mercato da parte dei big fra i Paesi produttori.

Ma ci sono anche i giacimenti nelle profondità delle acque del mare del Nord che grazie alla sofisticate apparecchiature hi-tech è possibile esplorare, o i fondali al largo del Brasile o sotto la calotta polare artica. Ma anche le sabbie bituminose del Canada. Insomma, mentre lo shale oli americano sta mostrando una sorprendente capacità di resistenza a 35 dollari al barile (che per portare invece a breakeven le attività di estrazione a stelle e strisce dovrebbe viaggiare intorno a una media di 100 dollari),  il mercato è stato rivoluzionato dall'uberizzazione del greggio che, come primo effetto, ha consentito agli States di scalzare dal podio quella che prima era la banca centrale dell'oro nero.

Il progresso tecnico nell'esplorazione e nei processi di industrializzazione sta migliorando la produttività delle imprese attive nel settore, sostenendo l'offerta. Così, mentre sul mercato si affacciano nuovi-vecchi attori come l'Iran e altri non vogliono abbassare per primi la produzione finendo con il rimanere con il cerino in mano, il prezzo del barile va sempre più giù. Un'onda nera che si sta abbattendo anche sui mercati finanziari.

 

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