Economia
Rcs, i video di Cairo? Ma quale cinismo. Timori per il disastro pubblicitario
Ricavi giù per il gruppo Cairo già nel 2019 in assenza di ogni fattore imprevisto come il Covid. La7 non produce utili nonostante l'audience. Il dato di marzo
Ha creato sorpresa, mista a indignazione, quel video in cui Urbano Cairo spronava i suoi venditori a raccogliere pubblicità per i suoi giornali e la sua Tv. I toni erano quelli dell’imbonitore stile Publitalia, con quel riferimento esplicito ai fasti del ’96 degli anni lontani del boom dei consumi. È apparso ai più come un messaggio cinico e opportunistico in un momento così tragico come quello epocale e drammatico che stiamo vivendo. E anche il video messaggio di risposta alle critiche è parso contradditorio.
Il Re Mida dell’editoria ha detto che fosse stato per lui avrebbe fatto come in Cina: chiudere tutto subito, per ripartire più veloci dopo. Tant’è. Ma c’è in realtà se si guardano i numeri del suo impero una chiave di lettura ben diversa. Più che l’ottimismo della volontà la cifra del video messaggio potrebbe essere in realtà il pessimismo della ragione.
Dietro a quella voglia di spronare la carica al suo esercito di venditori di advertising ci potrebbe essere una sorta di disperazione. O quanto meno di forte preoccupazione. Cairo da imprenditore attento e intelligente quale è, sa benissimo in realtà che la pubblicità, al di là del mezzo che la raccoglie, sarà una delle vittime illustri della pandemia di coronavirus. Se le attività economiche chiudono e i ricavi crollano la prima a farne le spese è proprio la pubblicità. Se non hai prodotti da vendere perché si ferma la produzione o perché la gente non può acquistare, perché investire in marketing e advertising? Se manca il contenuto, il contenitore è superfluo. Del resto Cairo stesso ha messo le mani avanti.
Nelle comunicazioni dei risultati di bilancio del 2019 sia di Rcs che di Cairo Communication è scritto che a marzo del 2020 si è verificato un rallentamento della raccolta pubblicitaria sia in Italia che in Spagna, i due mercati dove è attivo Cairo. Più che plausibile data la situazione. Certo nel comunicato di bilancio si evidenzia che il gruppo ha leve gestionale adeguate per fronteggiare l’emergenza sanitaria in grado di confermare le prospettive di medio lungo periodo.
E su questo Cairo, nella gestione di Rcs, ha dimostrato di saper sfruttare al meglio le efficienze di costo per compensare eventuali cali dei ricavi. Cali dei ricavi che il gruppo Cairo ha già sperimentato nel 2019 in totale assenza di ogni fattore imprevisto e drammatico come la pandemia. L’anno scorso Rcs ha patito un calo complessivo del giro d’affari di oltre 50 milioni pari a un -5,3% su base annua. Sia il fatturato da vendita di copie sia la pubblicità sono entrambe scese. E questo in un anno ancora “normale”.
Ovvio che la grave pandemia non potrà che avere ripercussioni. Il blocco e lo spostamento in là nel tempo delle manifestazioni sportive toglierà ricavi nei primi mesi al business sportivo gestito da Cairo a partire dal Giro d’Italia alla Milano Marathon.
La fame di informazione soprattutto online inciderà in positivo sull’audience e sulle diffusioni dei media. Ma non è detto che questo porti automaticamente a un incremento dei ricavi pubblicitari. Ne sa qualcosa l’altro gioiello di casa che è La7. Cairo continua a magnificare i dati di ascolto della sua emittente e dei talk show di successo che ospita. Tutto vero, ma fino all’anno scorso l’abbinata più audience più pubblicità non ha funzionato.
Lo share in più pare non riflettersi sui dati di bilancio. Nel 2019 la raccolta pubblicitaria sui canali La7 e La7d è stata pari a 148,5 milioni pressochè ferma sul 2018 dove fu di 149 milioni. E i ricavi netti sono stati l’anno scorso pur con ascolti in crescita a 105,8 milioni anch’essi fermi sul 2018. Il cruccio di Cairo è che La7 non produce utili. Nel 2019 la perdita netta è stata di 1,4 milioni, l’unico business insieme a Cairo Network che non produce utili. Vedremo se il copione si riprodurrà quest’anno nel pieno dramma dell’epidemia.
Sulla capacità dell’ex assistente di Silvio Berlusconi di risanare e gestire al meglio le aziende nessuno ha dubbi di sorta. Basti il capolavoro di Rcs, dove in pochissimo tempo Cairo ha ribaltato la situazione economica di un gruppo che sotto l’egida del “salotto buono” aveva cumulato perdite per oltre 1,3 miliardi.
Lui, il mago dei numeri ha riportato in utile un gruppo che pareva destinato alla fine. Chapeau. E l’ha fatto tagliando inefficienze di costo per centinaia di milioni, senza di fatto toccare il costo del lavoro. Solo tra il 2018 e il 2019 a fronte di ricavi scesi di oltre 50 milioni, il costo del lavoro complessivo di Rcs è rimasto stabile a 264 milioni, lo stesso livello del 2018.
La forbice Cairo l’ha usata sul resto dei costi operativi tagliati di 47 milioni tra il 2018 e il 2019 per pareggiare il calo dei ricavi. Ora però anche Cairo, consapevole che la caduta dei ricavi proseguirà e anzi si accentuerà nel 2020 è passato alla linea dura sui costi del lavoro.
Prima dello scoppio della pandemia ha infatti chiesto lo stato di crisi con la richiesta di prepensionamenti per il Corriere. Prepensionamenti pagati dallo Stato per un gruppo che comunque macina utili per 68 milioni l’anno scorso. Tutto lecito per carità. È una legge dello Stato cui anche Cairo ha deciso di appellarsi e di approfittarne. L’hanno fatto pressochè tutti gli editori italiani.
L’unico neo è che Rcs non è in crisi, fa utili, darà dividendi come ha deciso di darli la stessa Cairo Communication. Per chi ha sempre sostenuto il libero mercato e si è fatto vanto di non aver mai cacciato nessuno, la richiesta di aiuto pubblico appare come un pesante scivolone reputazionale.
Certo è che l’imprenditore alessandrino sa bene che per un business in crisi strutturale come l’editoria il taglio dei costi è la prima arma, ma scavato il fondo del barile poi occorre fare i conti con la discesa inarrestabile dei ricavi. E allora l’accetta sarà più profonda. Senza contare l’annus horribilis che ci si presenta davanti. Che rischia davvero a partire dal collasso della pubblicità ad accelerare l’agonia contabile del mondo dei media. Forse erano solo i grandi crucci (più che legittimi) ad aver spinto Cairo a trasformarsi per un giorno a imbonitore di piazza. Più che cinismo, grande preoccupazione.