Economia

Salvatore Ferragamo si rianima, ora i broker vedono rosa per la Cina

Luca Spoldi

Proprio i timori sulla tenuta del mercato cinese, che rappresenta oltre un terzo dei ricavi del marchio italiano,aveva innescato un deciso calo delle quotazioni

Salvatore Ferragamo in evidenza a Piazza Affari, dove il titolo del gruppo del lusso guadagna oltre il 4% a seguito della decisione di Main First di alzare il target price da 19 a 24 euro per azione (con un potenziale rialzista implicito di circa il 20% rispetto ai livelli attuali di borsa) e soprattutto dopo che uno studio di Jefferies (che su Ferragamo ha un giudizio di “hold”, mantenere, e un prezzo obiettivo di 19,68 euro, inferiore alle quotazioni correnti) ha sottolineato come l’andamento della Cina influenzi il settore del lusso mondiale.

Proprio la Cina è da qualche mese un osservato speciale dei mercati per via delle lunghe trattative con l’amministrazione Trump per evitare una guerra commerciale con gli Usa. Trattative che il segretario al Tesoro Usa, Steven Mnuchin, ha sottolineato essere alla “battute finali” dopo i “molti progressi fatti” e con entrambe le parti che hanno “il desiderio di raggiungere un accordo. Non solo: da mesi i dati macro cinesi alternano sorprese positive e negative. Quelli diffusi oggi inducono ad esempio a una certa cautela, con l’indice dei direttori acquisti del settore manifatturiero cinese che ad aprile è calato a 50,1 punti dai 50,5 punti di marzo.

Un dato di sotto delle attese (50,7 punti) ma ancora al di sopra di quota 50 che separa le fasi di espansione dell’attività da quelle di contrazione. D’altra parte i dati del primo trimestre 2019 hanno mostrato un incremento del Pil di Pechino del 6,4% annuo, superiore al 6,3% previsto dagli analisti ed in linea con l’obiettivo proposto dal premier Li Keqiang (crescita 2019 fra il 6% e il 6,5%) anche grazie alla riprese delle esportazioni, salite a marzo del 14,2% rispetto allo stesso mese del 2018.

Proprio i timori sulla tenuta della crescita della Cina, mercato in cui Ferragamo realizza oltre un terzo dei suoi ricavi, avevano contribuito al deciso scivolone registrato dalle quotazioni di Ferragamo nel dicembre dello scorso anno che aveva portato il titolo dai 21 a 17,5 euro, livello da cui poi Ferragamo ha iniziato a recuperare terreno, in attesa dei dati del primo trimestre dell’anno (che saranno pubblicati il prossimo 14 maggio).

Nel frattempo il mercato sembra essersi lasciato alle spalle le suggestioni circa la possibile cessione del controllo, magari sulla base di una “supervalutazione” di 30 euro per azione, dopo che ancora nell’assemblea di metà aprile il presidente Ferruccio Ferragamo ha ribadito ancora una volta come la famiglia non abbia alcuna intenzione di vendere la propria quota di maggioranza (complessivamente pari a quasi il 65%) e che non vi sono mai state trattative o offerte di acquisto, nonostante voci di borsa circolate fin dallo scorso settembre relative a un possibile interesse di alcuni fondi di private equity.

Le smentite, per quanto ripetute, non modificano peraltro un quadro che ha visto da un lato il calo della (finora elevata) marginalità e un rallentamento della crescita, dall’altro una notevole frammentazione della proprietà all’interno dei vari membri della famiglia (sei rami familiari) a cui fa capo anche un consistente patrimonio immobiliare tramite la holding Ferragamo Finanziaria che potrebbe un domani tornare a costituire il bersaglio ideale per qualche grande fondo del settore.

Più in generale il settore piace sia a fondi come Blackstone (già socio al 20% di Trussardi) o Mayhoola (fondo del Qatar che nel 2012 ha rilevato la maison Valentino) sia a gruppi come Kering o Richemont, sempre pronti ad andare a caccia di qualche nome italiano di prestigio.

Ferragamo resta dunque una preda appetibile, tanto più che il rinnovo dei vertici, apertosi con la nomina del nuovo Ceo Micaela le Divelec Lemmi, ex top manager per Gucci prima e Richard Ginori poi (entrambe controllate di Kering), entrata come in Ferragamo come direttore generale nell’aprile dello scorso anno, si è di fatto concluso con l’avvicendamento sulla poltrona di Cfo tra Ugo Giorcelli (considerato l’ultimo manager della squadra del precedente Ceo, Eraldo Poletto) e Alessandro Corsi, in Ferragamo sin dal 2003. Un rinnovo degli uomini incaricati di gestire il gruppo che rischia di rallentare il recupero di redditività, cosa che induce analisti e investitori alla prudenza. La prossima trimestrale potrà segnalare che il turnaround sta già ottenendo i primi effetti positivi?