Economia
Salvini s'improvvisa mago del fisco. Ma la manovra trumpiana non si può fare
In Italia regole Ue, alto debito pubblico e bassa crescita
Hai voglia ad esaltare le politiche economiche di The Donald e ad invocare una “manovra trumpiana” per l’Italia, incentrata sulla forte sforbiciata alle tasse con l’introduzione della "flat tax" per imprese e famiglie (anche se lì le aliquote sono rimaste sette) com’è stato fatto negli Stati Uniti a fine 2017. Perché nel nostro Paese quanto varato fiscalmente dall’amministrazione del tycoon newyorkese e che tanto piace al vicepremier Matteo Salvini, ceteris paribus dicono gli economisti e cioè a condizioni costanti, non si può fare.
Nè più né meno quanto ha spiegato oggi il ministro del Tesoro Giovanni Tria a Londra di fronte ad esponenti della finanza internazionale, quando ha liquidato l’argomento quasi con una battuta. Considerazioni, poi, a cui vanno aggiunte anche quelle sulla peculiarità tutta italiana: il Moloch del debito pubblico, il secondo debito pubblico in rapporto al Pil più alto in Europa. Quasi 2.400 miliardi di euro, il quarto più alto al mondo in valore assoluto e in continua crescita, non controbilanciato però dal quarto tasso di crescita più alto al mondo. Proporzione che ne mette fortemente in discussione la sostenibilità.
“Una manovra ‘trumpiana' 'implica avere il dollaro e noi abbiamo l’euro. Però a parte questo la nostra manovra è quella scritta nel documento di economia e finanza: una politica fiscale prudente, ma compatibile con la necessità di crescere di più”, ha tagliato corto infatti il ministro dell’Economia all’Euromoney in un grande albergo londinese a chi gli chiedeva conto delle dichiarazioni di Salvini.
Oltre al fatto di non possedere sovranità monetaria, avere l'euro, la moneta comune con cui si regolano le transazioni nei 19 Paesi dell’eurozona, e non il dollaro significa avere dei limiti per quanto riguarda la manovrabilità del deficit che una riduzione delle aliquote, con in dote ammanchi di gettito al momento del varo di un'imponente manovra fiscale, giocoforza impone. Leva non certo azionabile nell’Eurolandia del Fiscal Compact (regola che impone il contenimento del debito pubblico di ciascun Paese) e del Patto di Stabilità europeo così com’è configurato.
La riforma fiscale trumpiana, che per quanto riguarda la corporale tax si basa fondamentalmente sulla scommessa che minore pressione fiscale sulle aziende si traduce in automatici aumenti salariali (effetto che non è automatico), ha ridotto a partire dal primo gennaio 2018 le imposte societarie dal 35% al 21% e abbassato le sette aliquote sulle persone fisiche a partire dalla massima, che scende dal 39,6 al 37 fino ai redditi da un milione di dollari annui. Costo complessivo per le casse federali: 1.500 miliardi di dollari in dieci anni, in media 150 miliardi l’anno.
In Italia, come calcolato dal Ministero dell’Economia, attivare lo shock fiscale salviniano post-flat tax costerebbe quasi 60 miliardi di euro. Lasciando stare la scommessa sulla bomba espansiva di lungo periodo sull’economia quando, per dirla alla John Maynard Keynes, saremo tutti morti (e con noi, ceteris paribus, il debito, da ristrutturare), c’è altro da aggiungere, considerando il fatto che in Italia stiamo facendo i salti mortali per raschiare il fondo del barile, attendendo i nuovi dati sulle entrate tributarie, e trovare nove miliardi in sette giorni per compensare la spesa in deficit del 2018 ed evitare così lo spettro della procedura d’infrazione? Il realista Giovanni Tria ha ben sintetizzato la questione.