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Economia
Stop all'auto a benzina e diesel dal 2035, l'Ue è nella morsa cinese?

Ue, stop alle auto a benzina e diesel dal 2035: per l'Italia significa nuovi disocuppati, fabbriche e officine chiuse o ridimensionate 

La decisione appena presa a maggioranza dall’Ue sullo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035 è, oltre che senza senso, una guerra che produrrà vincitori e vinti. Fra i vincitori c’è soprattutto la Cina. Con l’Europa, in particolare l’Italia e il fior fiore del suo “Made in Italy”, a subire l’ennesima sberla economica e sociale, con fabbriche e officine chiuse o ridimensionate, nuovi disoccupati.

L’unica deroga riguarda proprio l’Italia, con l’approvazione dell’emendamento “salva Ferrari” proposto dai parlamentari di tutti i partiti del Belpaese: di fatto un allungamento di 6 anni alle regole Ue sugli standard di emissione di gas serra di cui beneficiano i piccoli produttori di auto (da 1000 a 10 mila veicoli prodotti ogni anno) e di furgoni (da 1000 a 22 mila veicoli). Nessuno contesta l’esigenza di fare qualcosa, subito e di importante, per salvare il pianeta dall’inquinamento.

Ma le decisioni prese dall’Ue con il “Fit for 55” sembrano davvero senza senso, fuori dalla realtà, come se la terra non fosse rotonda e non ci si accorgesse quello che succede altrove e quello che già accade nella stessa Europa (oltre che in America ecc.) con la riapertura delle centrali a carbone, con i ripensamenti sull’energia nucleare “buona”, con l’attivazione di ogni canale per portare a casa le “terre rare” con cui fabbricare le batterie, peraltro fingendo di non vedere che quelle materie prime così preziose sono estratte da bambini-schiavi in Paesi inquinati sul piano ecologico, politico e sociale. Fra i vincitori, però, non c’è solo la Cina che, comunque, con questo ulteriore “regalo” ha modo di allungare ancora le sue fauci in Africa e dintorni proseguendo con i suoi disegni egemonici.

Godono, infatti, anche i petrolieri (una volta si chiamavano così) dato che almeno l’80% delle centrali elettriche sono alimentate proprio con i derivati del petrolio. Quel petrolio che servirà in misura maggiore di oggi perché, con gli stessi km di percorrenza, se ne consumerà di più rispetto a quel che serve oggi per i motori termici. Le case produttrici, per ora, stanno con un piede di qua e uno di là: comunque continueranno a produrre come oggi auto a benzina e diesel per il resto del mondo pronti a incassare dalla Ue e dai singoli Stati montagne di soldi per rottamare le nuove auto termiche e per produrre quelle elettriche.

La decisione dello stop alla vendita di auto nuove a benzina, diesel e gpl dal 2035 presa l’altro giorno a maggioranza (339 voti a favore, 249 contro, 24 astenuti) rientra in un più ampio pacchetto di misure per contrastare il cambiamento climatico.

Ma qui si è fuori dalla realtà: non si tiene conto che il traffico su strada (camion e mezzi pesanti compresi) rappresenta solo l’11% e, in particolare, quello delle auto il 7,14% delle emissioni di CO2 nell’aria di fronte al doppio di emissioni prodotte ad esempio dal riscaldamento di case, uffici, fabbriche, scuole, ospedali e prodotte dall’agricoltura.

Ancor meno si tiene conto che le emissioni di CO2 di origine umane sono assai inferiori di quelle naturali, come mari, piante, vulcani. Forse i solerti legislatori della Ue non sanno che in Europa la produzione di carne, latticini, uova ha un impatto climatico superiore a quello di auto e furgoni a benzina e diesel. Perché non proibire anche la vendita di alimenti di origine animale?

La rivoluzione elettrica comporta forti sacrifici ai consumatori e ai produttori, un durissimo colpo all’economia, specie in Italia dove si prevedono almeno 75 mila posti di lavoro cancellati, circa la metà dell’intero settore e mezzo milione di disoccupati in Europa. Il nuovo non compensa il vecchio sistema. Per realizzare un motore diesel servono 10 persone, per il benzina 3 e per l’elettrico solo 1. La componentistica dei motori endotermici conta oggi (dati Anfia) 2200 imprese, 161 mila addetti, 105,8 miliardi di fatturato, per il 6,5 del Pil.

Con l’avvento dell’elettrico buona parte di questi volumi salterebbero. Si può recuperare producendo batterie? Oggi il 70% delle batterie è prodotto in Asia con la Cina che ne produce da sola il 45%. Poi Corea del Sud e Giappone. Chi, come Salvini, parla di “gran regalo alla Cina”, in questo caso non ha torto soprattutto

Perché, come già detto, le materie prime con cui vengono prodotte le batterie, le “terre rare” sono sempre più monopolizzate dai cinesi, non solo nel suo territorio e in Asia, ma anche in Africa. Controllando il 70% delle forniture globali di terre rare, la Cina è un quasi- monopolista. Se per renderci indipendente dal petrolio e dai suoi fornitori, a dir poco inaffidabili, ci mettiamo nella tagliola della Cina, non faremo certo un cambio vantaggioso.

Anche da questo punto di vista, l’Ue rischia di commettere un suicidio strategico. Comunque, si dice alla Ue e non solo lì, le auto elettriche consumano meno e non inquinano. È così? Non proprio. Per essere “carbon neutral” l’auto dovrebbe essere ricaricata al 100% da fonti rinnovabili, cosa ancora impossibile. Inoltre i processi di estrazione delle materie prime che servono a produrre le batterie utilizzano moltissima acqua e sono inquinanti.

Infine, l’ultima domanda inquietante: come verranno smaltiti i miliardi di batterie che in futuro diventeranno vecchie e inutilizzabili? Ad oggi, si stima che fino a 80mila chilometri un’auto endotermica (a benzina o diesel) e una elettrica producano pari emissioni. Di fronte a questi e ad altri interrogativi non sarà bene approfondire e rivedere tutta la questione prima di infilarsi in un buco nero da cui sarà assai difficile uscirne?

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