Economia
Sud, Zone economiche speciali per rilanciarlo ma il governo nicchia
Zone economiche speciali nel ventaglio delle politiche di coesione che riescano a superare la crisi dell’unione monetaria europea
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Gianfranco Chiarelli*
La Fondazione Svimez in un documento elaborato per il Parlamento europeo in vista del seminario organizzato per il 10 febbraio a Napoli con la partecipazione del commissario europeo per gli Affari regionali Corina Cretu, del ministro per il Mezzogiorno Claudio De Vincenti e dei Presidenti delle Regioni del Sud, ha messo in evidenza la necessità di politiche di coesione che riescano a superare la crisi dell’unione monetaria europea, la quale ha aggravato gli squilibri esterni e ha allargato le disparità regionali. Tra le proposte di intervento capaci di dare risposte concrete vi è, ancora una volta, la istituzione delle Zone economiche speciali (Zes).
Però, sull’argomento il governo italiano (si tratti di quello guidato da Renzi o da Gentiloni) continua a dare risposte scarsamente operative, come è emerso dall’intervento pronunciato alla Camera dal ministro De Vincenti mercoledì 8 febbraio durante il dibattito sul decreto che contiene “Interventi urgenti per la Coesione territoriale”, anche noto come Decreto Sud. A fronte di emendamenti presentati dai gruppi di opposizione (in particolar modo dai Conservatori e Riformisti/Direzione Italia) per ottenere nel Decreto Sud l’istituzione delle Zes il ministro ha detto no e rinviato il tutto a un confronto con l’Unione europea che si dovrebbe svolgere con procedure e in tempi a tutti ignoti. Tra le Zes degne di considerazione vi sono certamente quella relativa all’area retro portuale di Taranto e l’altra collegata a Matera Capitale europea della cultura 2019.
Il ministro De Vincenti ha spiegato: “Il Governo non è affatto contrario all'istituzione delle zone economiche speciali, nel Mezzogiorno in particolare: anzi, è un tema che è fortemente all'attenzione del Governo. Il punto è che, prima di poter introdurre una norma che definisca zone economiche speciali, sia in generale sia le singole zone economiche speciali, è assolutamente necessario concordare con la Commissione europea il tipo, le modalità, le caratteristiche delle zone economiche speciali che noi vogliamo introdurre, perché questo è il modo con cui poi possiamo, senza alcuna esitazione, procedere all'istituzione di zone economiche speciali stesse”. E ha aggiunto che “l’interlocuzione con la Commissione europea è in corso”. Prendiamo atto che l’interlocuzione è in corso. Ma chi se ne occupa e con quale impegno non è dato sapere.
Certo è che i tempi sono fondamentali per dare risposte a territori in evidente crisi e per i quali bisogna cercare nuovi modelli di sviluppo. Subito. Soprattutto mettendo in campo risorse pubbliche, quelle risorse che sono mancate negli ultimi anni. Per la Svimez alcuni numeri sono emblematici al riguardo: tra il 2009 e il 2013 gli investimenti pubblici si sono ridotti del 51% nei paesi periferici del Sud dell’Europa quali Grecia, Spagna e Portogallo, del 24% in Italia e del 7% nei nuovi Stati membri che hanno aderito all'UE tra il 2004 e il 2007. Nel documento elaborato dalla Fondazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno e presentato all’Unione europea si evidenzia ancora come “le differenze di aliquote fiscali tra i diversi Paesi implichano uno svantaggio strutturale per le regioni meno sviluppate appartenenti alle economie nazionali con elevati oneri tributari. Allo stesso modo la mancanza di armonizzazione fiscale implica una concorrenza impari tra territori disposti ad attrarre risorse dall'estero”.
La risposta alla mancata armonizzazione e “in assenza di un'immediata prospettiva di armonizzazione dei sistemi fiscali e di compensazione, un limitato ambito di intervento, percorribile in tempi brevi, può essere rappresentato dall’impiego dello strumento operativo delle Zone Economiche Speciali”. Ecco, la Svimez sottolinea la possibilità di introdurre le Zes e di intervenire in tempi brevi in attesa di riforme più ampie per superare gli scompensi strutturali che mettono in seria discussione il futuro dell’Europa unita.
Per dare forza a una vera politica di coesione a livello europeo è necessario: mantenere o addirittura incrementare le risorse destinate alle aree meno sviluppate rispetto ad altri obiettivi; semplificare non solo procedure ma l'architettura della politica di coesione, puntando sui due Fondi, il primo per le infrastrutture materiali e immateriali, urbane e ambientali, per lo sviluppo economico e produttivo e l’altro per rafforzare il capitale umano e sociale per dare a tutti i cittadini una vera uguaglianza delle condizioni di partenza, in particolare ai giovani; costruire una politica di coesione "amica" delle nuove generazioni, che si ponga l'obiettivo della piena e buona occupazione per i giovani europei.
*deputato Direzione Italia (Cor)