Economia
Telecom, Cdp mollerà Elliott. Così l'Italia porta a casa la rete veloce
Lo scenario in vista della decisiva assemblea del 29 marzo per il futuro di Tim e della rete unica. Ecco perché i francesi di Vivendi non sono più i nemici
Telecom Italia avanti piano in borsa, dove il titolo dell’ex monopolista telefonico sale poco sopra la chiusura di venerdì scorso dopo l’emergere di indiscrezioni circa il possibile esito delle trattative per arrivare a un’integrazione tra le reti di Tim e OpenFiber. Un’ipotesi quest’ultima che finora aveva visto molto fredda Vivendi, primo socio col 23,94% ma in minoranza nel Cda con 5 consiglieri su 15, mentre erano apparsi sin dall’inizio favorevoli l’investitore miliardario Paul Singer (il fondo Elliott è socio al 9,55%) che sta continuando a comprare con l’obiettivo di salire oltre il 14% entro l’assemblea del 29 marzo prossimo, e Cassa depositi e prestiti, appena salita al 7,1% dal 5% iniziale e con l’obiettivo di arrivare al 10% entro il 29 marzo.
Proprio l’assemblea del 29 marzo potrà rivelarsi fondamentale per capire le prospettive future di Tim e dei rapporti tra i suoi soci. Nessuno dei tre soci può guadagnare da una situazione di stallo come l’attuale: Vivendi ha svalutato progressivamente la partecipazione sino a 80 centesimi per azione, ma anche così segna oltre 1,3 miliardi di minusvalenza potenziale, Cdp a sua volta ha svalutato a 63 centesimi per azione ma perde comunque una decina di milioni mentre Elliott facendo trading e coprendosi con derivati ha i titoli in carico a 51 centesimi ma guadagna meno di una cinquantina di milioni di euro alle quotazioni attuali.
Serve dunque una svolta ma difficilmente potrà essere clamorosa: Vivendi sta mandando segnali sempre più chiari a Cdp di essere interessata a trattare un’integrazione a livello di fibra come potrebbe essere una messa in comune, in una Netco, degli asset di FlashFiber (80% Tim, 20% Fastweb) e OpenFiber (50% Cdp e 50% Enel), nonché di essere pronta ad accettare la conversione delle azioni di risparmio in ordinarie, lasciandosi dunque diluire al 17% (mentre Elliott scenderebbe nuovamente attorno o sotto il 10% e Cdp tra il 6% e il 7% circa).
Soprattutto Luigi Gubitosi, amministratore delegato di Tim nominato dalla lista sostenuta da Elliott e Cdp lo scorso anno, si è ormai dichiarato pronto ad arrivare a una soluzione “unica” per lo sviluppo della fibra ottica in Italia. Un’ipotesi quest’ultima che è il vero obiettivo di Cdp, certamente più a suo agio nel medio termine con un partner che ha un obiettivo industriale compatibile col suo: rifocalizzare Tim nell’acquisizione, da Vivendi ma non solo, di contenuti per la piattaforma Tim Vision, destinata da fungere come nucleo per la più volte ventilata (da Vivendi) “Netflix del Sud Europa”. Obiettivo compatibile in quanto non strettamente dipendente dal possesso al 100% dell’infrastruttura, a patto che il governo Conte e l’Agcom concedano i sospirati incentivi Rab (ritorno sugli investimenti) o quanto meno un ulteriore alleggerimento normativo.
Se i primi sembrano difficili, visto che come ha notato anche il presidente di Agcom, Marcello Cardani, in Italia vi sono una cinquantina di gestori di infrastrutture di rete (mentre gli obiettivi verrebbero concessi solo nell’ipotesi di un gestore unico), il secondo obiettivo che potrà essere raggiunto solo se nella Netco la partecipazione di Tim sarà sufficientemente diluita, ossia al di sotto della maggioranza, anche nell’ipotesi in cui non si arrivasse ad uno scorporo, tanto più a fronte di una governance che garantisca l’indipendenza del Cda della Netco dai suoi azionisti e in questo senso sono giunte ulteriori aperture da parte di Vivendi.
Tutto questo potrebbe essere sufficiente a Cdp per lanciare un primo segnale importante, astenersi il prossimo 29 marzo nel momento della votazione sulla risoluzione di Vivendi di rimozione di 5 consiglieri della lista Elliott (sostenuta a suo tempo da Cdp stessa che per questo è molto difficile possa votare a favore della rimozione). Astensione che segnerebbe la fine dell’alleanza con Elliott ma non comporterebbe una sconfessione della strategia sinora seguita visto che l’astensione equivale da statuto a voto contrario.
Di fatto il Cda di Telecom Italia resterebbe l’attuale, il management avrebbe modo di trattare un’alleanza a tutto campo nella fibra ultraveloce, Cdp manterrebbe una sufficiente pressione nei confronti dei francesi potendo tornare a sostenere pienamente Elliott nel caso di ulteriori ripensamenti di Vincent Bollore e dei suoi uomini, mentre Elliott potrebbe comunque vedere il titolo apprezzarsi, e la sua plusvalenza farsi più consistente, grazie all’approssimarsi di una rifocalizzazione sui contenuti, di un alleggerimento del debito (a fine 2018 ancora superiore ai 25 miliardi), che verrebbe deconsolidato per quanto attiene agli investimenti per la fibra nel caso, appunto, Tim scenda sotto la maggioranza nella Netco, e degli organici.
(Segue...)