Economia
Tre motivi per ripensare le sanzioni europee contro la Russia
Le misure economiche non stanno producendo il danno sperato ma anzi si rivelano un elemento di debolezza per l’Europa
Tre motivi per ripensare le sanzioni europee contro la Russia
Le misure economiche non stanno producendo il danno sperato ma anzi si rivelano un elemento di debolezza per l’Europa. Tre buoni motivi per rivedere alcune scelte, a partire proprio dalle sanzioni.
A seguito delle elezioni europee e alla vigilia del voto americano, le discussioni sulle scelte di politica estera dell’Unione, per quanto riguarda le sanzioni contro la Russia, stanno assumendo sempre più centralità. Queste sanzioni, che avrebbero dovuto causare gravi danni a Mosca, limitando la sua capacità di condurre la guerra e, dunque, modificando il suo comportamento sullo scacchiere internazionale, mostrano di non essere state efficaci nel loro intento. Ci sono almeno tre buoni motivi per ripensarle.
Il primo motivo: le sanzioni non hanno indebolito l’economia russa, che anzi cresce a tassi doppi di quelli europei. L’apparato industriale russo, riconvertito secondo i paradigmi di un’economia di guerra, si è mostrato particolarmente reattivo e in grado di andare oltre le misure sanzionatorie occidentali. Stando alle stime del Fondo monetario internazionale, il prodotto interno lordo russo registrerà, nel 2024, una crescita del 3,2%, il triplo del tasso di crescita europeo. Dati che possono destare stupore se si pensa che il congelamento di beni, associato all’interruzione dei rapporti commerciali con la Russia, avrebbe dovuto indebolire notevolmente l’economia russa. L’economia del Cremlino, al contrario, ha rafforzato le relazioni di partnership con le economie emergenti del sud del mondo, che ora svolgono un ruolo centrale nella strategia di compensazione del commercio internazionale russo.
Il secondo motivo: non si tratta solo di misure inefficaci ma addirittura dannose, per i paesi europei e in particolare per l’Italia, un “boomerang”. Nicholas Mulder, professore presso la Cornell University in un recente libro (“Armi economiche: l’ascesa delle sanzioni come strumento di guerra moderna”), ha spiegato il funzionamento e l’evoluzione delle sanzioni evidenziando le conseguenze negative che ha prodotto sull’economia degli stati che le hanno imposte. Secondo le stime dello scorso agosto del Financial Times, le imprese della regione europea hanno perso più di 100 miliardi di euro dall’inizio della guerra e, all’interno dell’Unione, le imprese italiane sono al terzo posto per volume dei danni subiti dopo la Germania e la Francia.
Gli investimenti diretti esteri, anche quelli russi, hanno sempre costituito una importante possibilità di crescita per il nostro paese anche perché, per molti imprenditori stranieri, l’Italia rappresenta uno dei paesi più attraenti. Il settore turistico, immobiliare o artistico sono solo alcuni degli ambiti in cui imprenditori di origine russa hanno investito nel passato.
In Italia, dal febbraio 2022, un’inchiesta del quotidiano Domani ha rivelato come siano stati congelati beni per circa due miliardi di euro. Andrey Melnichenko, fondatore del produttore globale di fertilizzanti EuroChem, e Ališer Usmanov, mecenate famoso in Italia e insignito dell’ordine al merito della Repubblica Italiana per queste attività, sono solo due dei miliardari colpiti dalle restrizioni dei paesi dell’Unione. Ališer Usmanov nelle sue interviste ha sottolineato più volte il danno che le sanzioni hanno prodotto nei confronti dei destinatari delle sue opere di beneficenza e dei suoi parenti. Come, ad esempio, nel caso di sua sorella Gulbakhor Ismailova, ancora oggetto delle sanzioni nonostante abbia rinunciato in modo permanente al godimento di qualsiasi beneficio derivante dai trust creati dal fratello.
Infine il terzo. Ci sono molti dubbi per quanto riguarda la base giuridica delle sanzioni. Gli alleati di Kiev possono congelare beni di soggetti privati, anche se non sono direttamente coinvolti nella guerra russo-ucraina? Il criterio adottato dall’Unione europea, anche in considerazione del diritto internazionale, rimane pertanto relegato in uno spazio di ambiguità. Un’ambiguità che è destinata ad assumere dimensioni sempre maggiori vista la tendenza di rendere la giustizia europea una longa manus della politica. In soli due anni, l’UE ha contribuito all’indebolimento degli istituti di inviolabilità della proprietà privata e dello stato di diritto.
I doppi standard relativi alla revoca delle sanzioni rischiano, quindi, di diventare una consolidata realtà nella cronaca giudiziaria europea. Le storie dei fondatori del Gruppo Alfa Mikhail Fridman e Peter Aven e di Nikita, figlio dell’imprenditore sanzionato Dmitry Mazepin, sono piuttosto indicative da questo punto di vista. In entrambi i casi, la Corte di giustizia dell’UE si è schierata a favore delle persone sanzionate ma, nonostante questa decisione, il Consiglio dell’UE ha deciso di non revocarle. È importante sottolineare che questi ricorsi sono tutt’altro che casi isolati; da due anni, infatti, vengono presentate istanze presso gli organi di giustizia europea che dimostrano l’estraneità delle persone sanzionate e delle loro famiglie rispetto alla guerra. Ad oggi, però, solo alcune di loro sono state escluse dalle liste.
Inefficacia delle decisioni prese, perdite economiche, incertezza dei fondamenti giuridici, In sintesi, le sanzioni contro la Russia non stanno producendo il danno sperato a Mosca ma si rivelano un elemento di debolezza per l’Europa. Forse è venuto il momento di rivedere alcune scelte, a partire proprio dalle sanzioni.