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Economia
Ue, come nel 2011 è ancora il problema. Ora l'epilogo potrebbe essere diverso

Pochi ricordano Giambattista Vico. Lo studioso napoletano che visse e morì in ristrettezze intorno alla metà del Settecento. Il suo lavoro riguardò la ricerca di “princìpi“ capaci di dimostrare l'esistenza di leggi universali che si ripetono costantemente sempre nello stesso modo, e che pertanto costituiscono il punto di riferimento per la nascita e lo sviluppo delle nazioni. Non dobbiamo stupirci che pensatori come Vico considerassero la Storia alla stregua di scienza “esatta” capace di guidare le scelte degli uomini.

In quegli anni l’Europa era attraversata dalla rivoluzione scientifica tra Sei e Settecento contribuì alla nascita e allo sviluppo della società moderna. Apprezzatissimo da chi in seguito lo riscoprì, in particolare da Benedetto Croce secondo il quale “la storia del pensiero può essere intesa come un ricorso delle idee del Vico”, lo sfortunato filosofo napoletano mi è apparso in sogno l’altra notte. La causa credo vada ricercata nella lunga serata trascorsa a compulsare i dati macroeconomici dell’ultimo decennio, a onor del vero in compagnia di un eccellente Beaujolais del 2018. 

Il 2011 e il 2020, maledetto anno bisestile, sarebbero piaciuti parecchio a don Giambattista anche se non serve l’acume del grande napoletano per scoprire che condividono somiglianze, similitudini, parentele. E, come sempre accade in tali casi, anche il profumo acre di un sottile presagio su quando potrà infaustamente accadere.

Nel 2011 sul trono della Bce era assiso il severo Jean Claude Trichet, francese assai criticato per la miopia (eufemismo) delle sue capacità strategiche: la sua disastrosa gestione dei tassi è entrata negli annali. Ricordate? Spaventato dall’impennata del costo del petrolio – crescita che anticipò una delle più grandi crisi economiche e finanziarie della storia – l’astuto Jean Claude varò un deciso aumento dei tassi mentre tutte le Banche Centrali li tagliavano come Edward mani di forbice.

Un governo della Banca Centrale, mezzo della complessità di un’auto di Formula Uno affidato ad un conducente le cui capacità erano tutt'al più sufficienti per guidare un Ape car. Non solo: le cancellerie ricordano molto bene anche la famosa lettera firmata da Jean Claude il quale ci invitava ad una maggiore austerity di bilancio e che, tanto per cambiare, aumentò le nostre già notevoli difficoltà di mercato.

Sono passati dieci anni. Oggi sul trono della Bce siede un altro cittadino francese, la gentile signora Christine Madeleine Odette Lagarde, nata Lallouette, criticata quanto il connazionale per pensieri, parole e decisioni, per una qual certa frettolosa superficialità che pare negare l’immane impresa compiuta da Mario The Great. Parliamo chiaro: oggi – esattamente come nove anni fa -  stiamo attraversando una grave crisi. E, esattamente come nel 2011, l’Europa si fa matrigna confusa, incapace e indecisa.

Un’incapacità ricorsiva nel processo di comprensione dei problemi, come direbbe il nostro Gianbattista Vico. Un’Europa la cui incertezza non solo acuisce i problemi, ma si trasforma nel principale di essi; un continente diviso congelato dalla paralisi a cui conduce l’analisi infinita che non giunge mai a conclusione. Con una sola, ricorsiva in senso vichiano, certezza: la distinzione tra buoni e cattivi, quelli ligi al dovere e gli altri riottosi alle regole. Il Nord irremovibile nelle sue decisioni mantiene i privilegi, mentre il Sud (il più cencioso dei Club Méditerranée) sta di botte come si dice in gergo marinaro e l’Italia, bersaglio preferito dei baroni del Nord, fa la parte dell’orso nel gioco delle tre palle.

Oggi come nove anni fa il nostro debito è l’argomento preferito dalla speculazione per attaccare il nostro Paese. Chi arma, sostiene e incoraggia i cavalieri della speculazione pare essere, di nuovo come se fosse la prima volta, la Germania, la pallida madre d’Europa. 

Nel 2011 in prima fila c’era Deutsche Bank, sostituita oggi nella triste bisogna da Commerzbank. Due istituti bancari che in qualsiasi altro paese che non fosse la Germania – sottolineo: qualunque altro paese - sarebbero considerate fallite come il tentativo di vendere vino del Reno in una scuola coranica pakistana. Ma essendo le due poverette “Hergestellt in Deutschland”, ovvero fatte in Germania, l’accanimento terapeutico che le mantiene in vita è del tutto legittimo.

Tuttavia, in questa brutta storia c’è un però. Come noterebbe il sagace Vico, anche questa volta come nel lontano 2011 aleggia intorno a noi la presenza salvifica del più grande degli Jedi, quel Mario Draghi che nel novembre del 2011 diventò presidente della Bce modificando i pensieri le parole e (grazie a dio) pure gli atteggiamenti della banca centrale. La persona che in caso di crisi assumendo la presidenza del Consiglio potrebbe dare all’Italia quella credibilità, autorevolezza e peso politico che le è spesso mancata.

Una presenza, quella di Mario Draghi che servirebbe anche a portare l’irremovibile Merkel a più miti consigli, la stessa Merkel che nel 2012 dichiarò “nein Eurobond, finché sarò in vita non ci sarà nessuna condivisione del debito”.

Dimenticavo. Alla fine del sogno, il vecchio saggio filosofo napoletano scuoteva la testa. Credo di avergli chiesto il motivo. Sorridendo mi ha detto: “Buddy, la Germania è una grande e potente nazione. Ma deve stare attenta. I corsi della Storia a differenza del 2011 questa volta potrebbero prendere una direzione diversa. Non solchiamo le acque perigliose del mare in burrasca su navigli separati e diversi: questa volta la barca è la stessa. Se va a fondo, annegheremo loro e noi insieme”. 

@paninoelistino

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