Economia
Visco (Banca d'Italia), avanti con riforme e diminuzione rapporto debito-Pil
Visco: "Governo non lasci dubbi su equilibrio conti pubblici". Assiom Forex, l'intervento del governatore della Banca d'Italia
Visco: governo non lasci dubbi su equilibrio conti pubblici
Il governo non deve "lasciare dubbi agli investitori sulla determinazione a mantenere l'equilibrio dei conti pubblici". Lo ha affermato il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, oggi al Forex di Verona. Inoltre, aggiunge, non si deve "deviare dal percorso di riforma avviato in questi anni"
Visco (Banca d'Italia), avanti con riforme e diminuzione rapporto debito-Pil
Occorre preoccuparsi della credibilita' e dell'efficacia delle riforme e non della normalizzazione della politica monetaria della Bce. Lo ha detto il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, all'Assiom Forex a Verona. Il rialzo dei tassi - ha spiegato Visco - non impattera' se le politiche economiche nazionali avranno saputo consolidare la ripresa in atto". "Il prossimo governo - ha ammonito il governatore - non dovra' lasciare dubbi agli investitori sulla sua determinazione a mantenere l'equilibrio dei conti pubblici e non dovra' deviare dal percorso di riforma avviata in questi anni". "Non bisogna ritardare in alcun modo la diminuzione dell'incidenza del debito sul Pil", ha sottolineato Visco.
UE: VISCO "ITALIA PROSEGUA IMPEGNO A MIGLIORARE POTENZIALE CRESCITA"
"Le difficolta' di procedere congiuntamente sulla strada della riduzione e della condivisione dei rischi sono evidenti; gli ostacoli da superare sono notevoli, sia nel raggiungimento di un consenso, sia nell'attuazione pratica di riforme destinate a modificare nel profondo l'identita' europea. Si sostiene spesso che i tempi per un'unione politica non siano maturi. Ma con lungimiranza si possono compiere passi importanti in quella direzione". Cosi' il governatore della Banca d'Italia, Ignazio VISCO, nel suo intervento al Congresso Assiom Forex. "L'Italia e' chiamata a contribuire con autorevolezza al dibattito in corso in Europa. La sua posizione - ha aggiunto - sara' tanto piu' forte e la sua azione tanto piu' efficace quanto piu' sara' continuo e credibile l'impegno a migliorare il potenziale di crescita e ad assicurare la stabilita' finanziaria. L'azione di vigilanza della Banca d'Italia, anche nell'ambito del Meccanismo unico, continuera' a spingere le banche a sfruttare l'occasione offerta dall'attuale clima congiunturale per proseguire con decisione nel rafforzamento dei bilanci, nella riduzione dei prestiti deteriorati, nell'innalzamento della redditivita'. Lo impongono la diffusione delle nuove tecnologie, il crescente grado di concorrenza sui mercati finanziari, una regolamentazione sempre piu' prudente". Secondo VISCO "per irrobustire la crescita nel medio periodo occorreranno passi ulteriori nelle riforme di struttura, nel miglioramento dei servizi pubblici, nella razionalizzazione e stabilizzazione della normativa fiscale. Non e' questione di vincoli europei, riguarda lo sviluppo equilibrato, la forza stessa della nostra economia: un aumento del disavanzo pubblico non puo' sostituirsi alle riforme; rischierebbe di essere controproducente, visto che il problema del debito non puo' essere eluso. Anche senza i vincoli del Patto di stabilita', resta per noi l'esigenza di compiere scelte responsabili".
Assiom Forex, l'intervento di Ignazio Visco
Nell’ultimo anno la crescita dell’economia globale si è decisamente rafforzata;
rimangono le incertezze legate alle politiche commerciali degli Stati Uniti e a possibili aumenti
dei premi per il rischio sui mercati finanziari. Nell’area dell’euro la politica monetaria ha
scongiurato il pericolo della deflazione ma l’inflazione resta distante dai valori coerenti con la
stabilità monetaria.
In Italia l’attività economica appare ora meno dipendente dall’orientamento espansivo
delle politiche monetarie e di bilancio. Il consolidamento della ripresa richiede di procedere
nello sforzo di riforma dell’economia. Politiche di bilancio prudenti contribuiranno a rafforzare
la fiducia dei mercati nella riduzione dell’incidenza del debito pubblico sul prodotto.
I prestiti bancari a famiglie e imprese sono in espansione e la loro qualità è in
miglioramento, anche grazie al superamento delle situazioni più critiche tra gli intermediari. La
riduzione dei crediti deteriorati deve proseguire approfittando della favorevole fase
congiunturale. Le pressioni concorrenziali e l’impegnativo contesto regolamentare rendono
urgente continuare a perseguire la riduzione dei costi e il pieno recupero della redditività delle
banche, anche con operazioni di aggregazione. Queste esigenze sono particolarmente pressanti
nel credito cooperativo, dove va attuata, nella sua interezza, la riforma varata nel 2016.
Nonostante i progressi segnati dall’avvio della crisi, gli assetti istituzionali dell’Unione
europea e dell’area dell’euro restano un cantiere aperto. La minore fiducia tra gli Stati membri
ha portato a una sterile contrapposizione tra le richieste di riduzione e quelle di condivisione dei
rischi. Riduzione e condivisione sono invece complementari. Solo riconoscendolo si potranno
individuare soluzioni che portino benefici a tutti i paesi.
La congiuntura
L’espansione dell’economia è diffusa a livello globale. Secondo le stime delle principali
istituzioni internazionali nel 2017 il prodotto mondiale è tornato a crescere a un ritmo superiore
al 3,5 per cento; nell’anno in corso dovrebbe salire di quasi il 4. Queste favorevoli prospettive
potrebbero risentire dei contraccolpi di eventuali misure di restrizione commerciale e di un
aumento, anche repentino, dell’avversione al rischio nei mercati.
Nell’area dell’euro la domanda interna è sostenuta dall’incremento dell’occupazione
e da condizioni di finanziamento molto accomodanti; le esportazioni continuano a
migliorare, trainate dalla favorevole dinamica della domanda estera. Secondo le previsioni
dell’Eurosistema quest’anno il prodotto si espanderà del 2,3 per cento, un ritmo analogo a
quello del 2017. L’inflazione rimane tuttavia bassa, pari all’1,3 per cento in gennaio; resta
debole la componente di fondo, anche per la moderazione salariale che si registra in molte
economie.
La politica monetaria sta producendo gli effetti desiderati. L’espansione economica e il
crescente grado di utilizzo delle risorse hanno rafforzato la fiducia del Consiglio direttivo della
Banca centrale europea nella progressiva convergenza dell’inflazione verso l’obiettivo di un tasso
prossimo al 2 per cento nel medio periodo. Lo scorso ottobre abbiamo quindi ricalibrato gli
interventi di politica monetaria, pur mantenendo condizioni molto espansive, volte a garantire il
ritorno duraturo alla stabilità dei prezzi. Abbiamo esteso la durata del programma di acquisto di
titoli almeno sino al mese di settembre di quest’anno, riducendone l’importo mensile a 30
miliardi; l’Eurosistema reinvestirà i proventi dei rimborsi di titoli in scadenza per un periodo
prolungato di tempo dopo la conclusione degli acquisti netti e seguiterà a fornire al sistema
bancario abbondante liquidità almeno sino alla fine del 2019. Il Consiglio si attende di mantenere i
tassi di interesse sugli attuali livelli ben oltre l’orizzonte degli acquisti netti di titoli.
L’inflazione, dopo un lieve calo all’inizio dell’anno in connessione con l’effetto
meccanico del temporaneo aumento dei prezzi dei beni energetici nel 2017, dovrebbe
gradualmente salire, portandosi su livelli in linea con l’obiettivo nella seconda parte del 2020.
Il rischio di deflazione è stato scongiurato, ma rimane arduo spingere al rialzo le attese di
inflazione.
La volatilità dei tassi di cambio è tra le principali fonti di rischio per le prospettive dei
prezzi, anche alla luce della forte reattività dei mercati valutari ad annunci delle autorità
monetarie e di governo. Il cambio dell’euro non è di per sé un nostro obiettivo ma il suo
andamento può avere importanti conseguenze sulla trasmissione della politica monetaria;
sviluppi disordinati, specie se generati da fattori slegati dall’evoluzione dei fondamentali
macroeconomici, possono rendere più difficile il raggiungimento della stabilità dei prezzi.
Le decisioni del Consiglio direttivo seguiteranno a essere guidate dall’evoluzione del
quadro congiunturale e dalle prospettive dei prezzi nel medio periodo. Continueremo a
perseguire l’obiettivo d’inflazione con pazienza, perseverando nell’azione di politica monetaria
intrapresa.
In Italia il PIL ha nettamente accelerato nel 2017. Secondo prime stime la crescita è
salita dallo 0,9 per cento nel 2016 all’1,5 lo scorso anno. L’occupazione ha continuato ad
aumentare (0,8 per cento nel 2017), mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 10,8 per cento
in dicembre, il valore più basso dall’agosto del 2012; anche le ore lavorate per occupato hanno
mostrato, dal minimo del primo trimestre del 2015, una moderata tendenza al rialzo (0,5 per
cento nei primi nove mesi del 2017).
Il rafforzamento dell’attività produttiva è sospinto dalla favorevole congiuntura mondiale
e dalle politiche economiche espansive, ma beneficia anche delle riforme attuate negli ultimi
anni. I progressi conseguiti sul fronte dei mercati del lavoro, del capitale e dei servizi hanno
iniziato a dare frutti; hanno consentito all’Italia di agganciare la ripresa globale ed europea e
fatto sì che il consolidamento della crescita non sia più sostenuto solo da fattori ciclici.
Dai mesi estivi gli investimenti hanno segnato un’accelerazione. Agli effetti della
politica monetaria, che ha mantenuto il costo di utilizzo del capitale su livelli molto bassi, si
sono affiancati quelli degli incentivi fiscali all’acquisto di beni strumentali e di tecnologie
digitali. Sebbene l’incertezza sul rinnovo di tali incentivi per l’anno in corso possa avere indotto
le imprese ad anticipare al 2017 parte dei loro investimenti, le prospettive restano favorevoli: le
nostre indagini prefigurano un’ulteriore espansione dell’accumulazione per il 2018, sostenuta
soprattutto dalle attese sulla domanda.
La vitalità delle imprese italiane è confermata dal forte aumento delle start-up innovative
iscritte nel registro delle imprese (attualmente oltre 8.000, un numero più che quadruplo rispetto
al 2014), dal buon andamento delle esportazioni, che si stima siano cresciute di oltre il 5 per
cento lo scorso anno, e dell’avanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, che nel
2017 sarebbe salito a quasi il 3 per cento in rapporto al PIL. La dinamica favorevole dei conti
con l’estero contribuisce al miglioramento della posizione debitoria netta del Paese, scesa in
poco più di tre anni dal 25 a meno dell’8 per cento del prodotto, il livello più basso dal 2002.
Quest’anno la crescita del prodotto dovrebbe proseguire a un ritmo prossimo all’1,5 per
cento; resterebbe al di sopra dell’1 per cento anche nel prossimo biennio. Rispetto al passato, si
sta rafforzando il circolo virtuoso tra domanda e offerta: l’aumento del reddito disponibile delle
famiglie e la riduzione della capacità inutilizzata delle imprese fanno sì che il miglioramento
delle prospettive si traduca in misura crescente in un incremento dei consumi e degli
investimenti.
Questo scenario presuppone il mantenimento di condizioni finanziarie accomodanti.
Quando l’andamento positivo del prodotto e dell’inflazione nell’area dell’euro sarà tale da
giustificare un rialzo dei tassi di interesse, la nostra economia non ne risentirà se le politiche
economiche nazionali avranno saputo consolidare la ripresa in atto, senza lasciare dubbi agli
investitori sulla determinazione del governo a mantenere l’equilibrio dei conti pubblici e senza
deviare dal percorso di riforma avviato in questi anni: un percorso da proseguire con decisione
per migliorare i servizi pubblici, accrescere la concorrenza in quelli privati, intensificare gli
investimenti in capitale umano.
Ai ritmi di crescita attualmente previsti, il basso livello del debito delle famiglie e la
notevole riduzione di quello delle imprese rendono sostenibili incrementi, anche significativi,
del costo dei finanziamenti. Le banche e le compagnie di assicurazione sono a loro volta poco
esposte alle conseguenze di un aumento dei tassi. Il debito pubblico è ancora troppo alto in
rapporto al prodotto ma la sua vita media residua, superiore a 7 anni, assicura che la
trasmissione del rialzo dei tassi al costo medio sarà molto graduale.
La dinamica del rapporto tra debito e prodotto dipende, oltre che dall’avanzo primario,
dal differenziale tra il costo medio del debito e la crescita nominale del PIL, cosicché l’impatto
del rialzo dei tassi sarà tanto minore quanto più sarà contenuto il premio per il rischio sui titoli
pubblici italiani e quanto più la crescita della nostra economia sarà in linea con quella del resto
dell’area. Non è della normalizzazione della politica monetaria che ci si deve preoccupare, ma
della credibilità e dell’efficacia delle riforme e del processo di riduzione dell’incidenza del
debito sul prodotto.
Le banche
È ripresa in Italia l’espansione del credito al settore privato. L’andamento dei prestiti alle
famiglie resta vivace; quelli alle imprese stanno accelerando nel comparto manifatturiero e sono
tornati a espandersi lievemente in quello dei servizi; la flessione dei finanziamenti nel settore
delle costruzioni rimane marcata, ma si sta attenuando. Le condizioni dell’offerta di credito sono
nel complesso favorevoli; la domanda da parte delle imprese è frenata dall’ampia disponibilità
di risorse interne e dal maggiore ricorso a finanziamenti non bancari.
In rapporto al totale dei finanziamenti, il flusso di nuove partite deteriorate è sceso su
livelli inferiori a quelli precedenti la crisi finanziaria; nel terzo trimestre dello scorso anno è
stato pari all’1,7 per cento (1,2 per le famiglie, 2,6 per le imprese). Si sta riducendo, ormai da
due anni, anche la loro consistenza, con un’accelerazione dovuta alle rilevanti operazioni di
cessione di sofferenze portate a compimento lo scorso anno. Rispetto ai massimi del 2015 il
totale dei crediti deteriorati al netto delle rettifiche diminuisce da 200 a 140 miliardi (il 7,8 per
cento dei prestiti totali), le sole sofferenze scendono da 86 a 60 miliardi (il 3,5 per cento).
Il contesto economico consente alle banche di proseguire nell’azione di rafforzamento
dei bilanci e di riduzione dei prestiti deteriorati, un’azione che dal 2012 è al centro dei nostri
richiami e degli interventi di vigilanza. Vi sono ancora ampi margini per migliorare l’efficienza
del processo di gestione e di recupero delle sofferenze, in particolare accrescendo la
disponibilità di informazioni sullo stato delle procedure. Le banche più efficaci su questo fronte
conseguono tassi di recupero nettamente più alti della media. Una gestione più attiva può anche
favorire il rientro in bonis di una larga parte delle “inadempienze probabili”, che rappresentano
la metà dei prestiti deteriorati netti complessivi.
Nelle prossime settimane saranno definite le proposte della Commissione europea e del
Meccanismo di vigilanza unico sull’introduzione di un approccio temporale alla svalutazione
dei prestiti deteriorati (noto come calendar provisioning). La proposta della Commissione
intende introdurre requisiti minimi, cosiddetti di “primo pilastro” che tutte le banche
dell’Unione saranno tenute a rispettare; quella del Meccanismo di vigilanza unico, invece,
stabilisce le aspettative del supervisore sui tassi di copertura delle esposizioni deteriorate
secondo un approccio di “secondo pilastro”. La riduzione dei crediti deteriorati è necessaria
per ridurre i rischi e i costi di finanziamento delle banche. Va ottenuta con interventi che
tengano conto delle condizioni di partenza, siano sostenibili e non producano effetti prociclici
potenzialmente destabilizzanti; va assicurata la parità di trattamento tra intermediari che
operano in contesti diversi, in particolare per efficienza e rapidità della giustizia civile, che in
Italia vanno ancora accresciute.
La Commissione europea presenterà inoltre una proposta per l’istituzione di società
nazionali, anche con supporto pubblico, specializzate nella gestione di attivi deteriorati.
Queste società potrebbero ottenere economie di scala nei processi di recupero e disporre di un
forte potere contrattuale nella cessione dei crediti deteriorati sul mercato, anche attraverso la
loro cartolarizzazione. Perché la proposta della Commissione raggiunga questi obiettivi vanno
previsti adeguati incentivi all’adesione volontaria allo schema di trasferimento degli attivi da
parte delle banche e condizioni che non lo rendano eccessivamente rigido e di fatto
impraticabile.
Con la pubblicazione della metodologia e degli scenari macroeconomici, nei giorni
scorsi ha preso avvio un nuovo “stress test” europeo, i cui risultati saranno resi noti all’inizio di
novembre. L’esercizio riguarda 48 banche, tra le quali vi sono 33 gruppi significativi dell’area
dell’euro, inclusi quattro italiani. In parallelo, il Meccanismo di vigilanza unico condurrà un
analogo esercizio sulle altre banche significative, tenendo conto della dimensione più contenuta
e della minore complessità di questi intermediari.
Rispetto a quelle utilizzate nei precedenti esercizi la metodologia dello stress test è
stata adeguata al nuovo principio contabile IFRS 9. Il passaggio al nuovo standard, in vigore
dall’inizio di quest’anno, contribuirà ad accrescere trasparenza e prudenza nella
contabilizzazione dei prestiti da parte delle banche; costituisce un’occasione da cogliere per
innalzare le svalutazioni e fornire un impulso allo sviluppo del mercato degli attivi
deteriorati. Allo stesso tempo, l’adozione del nuovo principio rende più complessa la
metodologia dello stress test; bisognerà tenerne conto nell’interpretare e valutare i risultati
dell’esercizio, anche nel confronto con quelli precedenti. Come nel 2016, non sarà prevista
una soglia prefissata di superamento della prova; i risultati verranno utilizzati nell’ambito
del processo di revisione prudenziale condotto dalle autorità di vigilanza.
Sebbene ancora bassa, nei primi nove mesi dello scorso anno la redditività delle maggiori
banche italiane è migliorata. Il rendimento del capitale e delle riserve è stato pari al 4,4 per cento,
a fronte dell’1,4 nel periodo corrispondente del 2016. Nelle attese delle banche la profittabilità nei
prossimi anni sarebbe sostenuta dalla riduzione delle rettifiche di valore sui prestiti, dall’aumento
delle commissioni sui servizi di gestione del risparmio, dalla flessione dei costi operativi.
Ma una profonda revisione dei modelli di operatività delle banche, in Italia come in
tutta Europa, resta inevitabile. Non vanno sottovalutati importanti elementi che potrebbero
frenare la redditività. Sulla dinamica delle rettifiche potranno incidere sia gli interventi
normativi sia eventuali maggiori svalutazioni connesse con operazioni di cessione. La
concorrenza nel mercato del risparmio gestito è destinata a crescere, così come la scala
dimensionale necessaria per operarvi con profitto. I costi delle banche, su cui gravano spese
ancora elevate per il personale, risentiranno degli improrogabili investimenti nelle nuove
tecnologie digitali, finora contenuti. Inoltre, l’entrata a regime di nuove regole europee – sui
requisiti di passività in grado di assorbire le perdite in caso di crisi e sulla prestazione di
servizi di investimento e di pagamento – tenderà ad accrescere il costo della raccolta
all’ingrosso, la concorrenza per alcuni servizi, gli oneri di compliance e quelli connessi con la
necessità di assicurare la piena tutela dei clienti.
Gli intermediari devono quindi agire su più fronti per recuperare redditività e capacità
competitiva: comprimere ulteriormente i costi; realizzare operazioni di aggregazione o iniziative
di tipo consortile che consentano di sfruttare sinergie di costo e di ricavo; investire per cogliere
efficacemente sfide e opportunità connesse con gli sviluppi del comparto Fintech. Accrescere la
trasparenza verso i clienti deve essere visto non come un onere imposto dalla legge o dai
regolatori, ma come un fondamentale strumento di competitività. L’offerta di nuovi prodotti e
servizi richiede di assicurare alla clientela una comprensione piena e immediata delle
informazioni essenziali per valutarne correttamente il rischio e la convenienza.
Il recente accordo sul completamento delle riforme previste da Basilea 3 – che
entreranno in vigore nel 2022 per andare pienamente a regime nel 2027 – rappresenta la
conclusione degli interventi di risposta alle debolezze del quadro regolamentare poste in luce
dalla crisi finanziaria globale. Senza aumentare significativamente i livelli complessivi di
capitale richiesti, l’accordo contribuisce a ridurre l’incertezza regolamentare sul sistema
bancario. Un suo importante obiettivo è contenere la variabilità tra le banche delle attività
ponderate per i rischi; se ingiustificata, infatti, essa impedisce la comparabilità tra i coefficienti
di capitale e mina la fiducia degli investitori sulle metodologie di calcolo dei requisiti
patrimoniali degli intermediari.
Per le banche di credito cooperativo (BCC) i coefficienti patrimoniali continuano a
essere più elevati di quelli medi di sistema, ma il divario è andato riducendosi per la
compressione della redditività e l’impossibilità di raccogliere capitale di rischio sul mercato. Le
misure adottate per fronteggiare il grave deterioramento della qualità dei prestiti sono state meno
incisive di quelle varate dalle altre banche; le BCC, quindi, si trovano oggi a fronteggiare
un’incidenza dei prestiti deteriorati maggiore di oltre due punti percentuali rispetto alla media,
con tassi di copertura significativamente minori. L’attuazione della riforma del comparto, con la
nascita dei gruppi bancari cooperativi, sarà essenziale per consentire alle BCC di superare gli
svantaggi della piccola dimensione e continuare a sostenere l’economia locale preservando i
valori della cooperazione e della mutualità.
La preparazione della costituzione dei gruppi cooperativi va accelerata, con il pieno
sostegno alle future capogruppo da parte delle affiliate. I piani industriali dovranno garantire il
rapido raggiungimento degli obiettivi che la riforma si è prefissa: apertura al mercato dei
capitali, robustezza degli assetti di governo societario e di controllo interno, efficienza allocativa
e operativa, riduzione dei crediti deteriorati. Ritardi o resistenze al cambiamento finirebbero con
il compromettere il successo della riforma.
La Banca d’Italia sta esaminando la richiesta presentata dalla Cassa Centrale
Raiffeisen per la costituzione di un gruppo bancario provinciale, mentre è in corso un
confronto con Iccrea e Cassa Centrale Banca in vista della presentazione delle istanze di
costituzione dei due gruppi significativi che saranno sottoposti alla vigilanza in ambito
europeo. Prima che ciò avvenga, i due gruppi saranno sottoposti a un esercizio di
valutazione approfondita dei bilanci. È necessario che le capogruppo predispongano
adeguati piani di rafforzamento del capitale, da attivare in caso di necessità.
L’Europa
Negli anni scorsi strumenti e riforme introdotti in condizioni economiche sfavorevoli
hanno accresciuto la capacità dell’area dell’euro di reagire a shock macroeconomici e
finanziari. È stato avviato il Meccanismo europeo di stabilità per l’assistenza finanziaria ai
paesi in difficoltà, sono state rafforzate le regole di bilancio, la BCE si è dotata delle
operazioni definitive monetarie, sono stati istituiti i meccanismi unici di vigilanza e di
risoluzione delle crisi bancarie, i primi due pilastri dell’unione bancaria. I progressi compiuti
sarebbero stati impensabili solo qualche anno fa: in poco tempo sono state superate difficoltà
formidabili di ordine politico, giuridico, economico e organizzativo.
Oggi, tuttavia, il processo europeo di riforma stenta ad avanzare. Anche se la discussione
non si è arrestata e i nodi centrali sono stati individuati, si è giunti a uno stallo tra le posizioni di
coloro che ritengono prioritaria un’azione volta a ridurre i rischi macroeconomici e finanziari
nei singoli Stati e quelle di coloro che invocano la rapida creazione di strumenti comuni di
protezione contro le conseguenze di tali rischi in considerazione della mancanza o della limitata
disponibilità di strumenti nazionali.
È, questa, una contrapposizione solo apparente, frutto di fraintendimenti e della
scarsa fiducia reciproca che è giunta recentemente a condizionare la definizione delle regole
europee per la gestione delle crisi bancarie e a bloccare il completamento dell’Unione
bancaria. Il risultato è un sistema privo di reti di sicurezza, in cui mancano i nuovi backstop
finanziari europei per il fondo di risoluzione unico e per l’assicurazione sui depositi, mentre
non sono più accessibili strumenti e procedure nazionali utilizzati da molti paesi, anche in
anni recenti, per la gestione delle crisi bancarie. In questo contesto, regole più stringenti e
meccanismi comuni di vigilanza e risoluzione non sono in grado di prevenire l’insorgere di
crisi – anche solo di liquidità – né di contenerne in maniera adeguata le conseguenze.
Occorre riconoscerlo e approntare i necessari correttivi. L’esperienza di questi anni
testimonia l’importanza di mantenere una via d’uscita per gestire nel modo migliore
situazioni potenzialmente dirompenti per la stabilità finanziaria.
Riduzione dei rischi e condivisione degli strumenti di protezione sono
complementari, in primis con riferimento alla finanza pubblica. Un debito elevato in
rapporto al prodotto è un elemento di vulnerabilità: scoraggia gli investimenti e ostacola la
crescita; espone alla sfiducia dei mercati e a fenomeni di contagio. La flessibilità di bilancio
è indispensabile nelle fasi negative del ciclo economico, ma lo sviluppo, cioè la crescita
sostenuta e duratura del prodotto, non si ottiene con disavanzi elevati. In Italia una
diminuzione continua e tangibile dell’incidenza del debito sul PIL non deve essere ritardata.
La riduzione dei tempi di rientro richiede innanzitutto disciplina di bilancio. Sono essenziali
le riforme strutturali volte a innalzare il potenziale di crescita dell’economia.
Bisogna però avere presente che in assenza di adeguati strumenti di protezione gli
sforzi di risanamento di un paese possono essere rapidamente vanificati da shock avversi.
Per evitare che ciò avvenga vanno considerate misure di condivisione dei rischi che
consentano di ridurre la sensibilità dei bilanci nazionali alle condizioni macroeconomiche,
evitando il rapido accumulo di debito nelle fasi congiunturali avverse e l’adozione di
politiche procicliche nel tentativo di contenerlo.
Questa minore sensibilità si può ottenere spostando a livello europeo alcuni importanti
stabilizzatori automatici e affidando a quello stesso livello la responsabilità di condurre gli
opportuni interventi di natura discrezionale, ad esempio con programmi per la realizzazione di
grandi infrastrutture, per la gestione dell’immigrazione o per la difesa comune. È tecnicamente
possibile introdurre questo “bilancio comune” senza che, come paventato da alcuni, esso si
trasformi in una fonte di trasferimenti permanenti a favore dei paesi strutturalmente più
indebitati. Sarebbe un contributo importante alla riduzione dell’asimmetria di una costruzione in
cui la politica monetaria è unica e quella di bilancio frammentata.
Ad accelerare la riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto possono
contribuire misure mirate al riacquisto dei titoli in essere. Iniziative nazionali in questa
direzione, finanziate ad esempio con programmi di privatizzazione, possono incontrare limiti
operativi e quantitativi. Una riduzione dei debiti pubblici nell’area dell’euro più veloce di
quella garantita da politiche di bilancio prudenti potrebbe essere realizzata con l’emissione di
titoli di debito europei finalizzata a ritirare dal mercato, con modalità ben definite e senza
trasferimenti di risorse tra paesi, una parte di quelli emessi dagli Stati membri, dando forma a
un’unione di bilancio da accompagnare con regole cogenti e poteri di controllo e intervento.
Come ho ricordato in altre occasioni, in questa direzione sono state avanzate diverse proposte
concrete. Il nuovo debito comune potrebbe svolgere quella funzione di “attività sicura”
propria dei titoli sovrani nei paesi avanzati dotati di una moneta nazionale; la riduzione dei
debiti dei singoli Stati eliminerebbe potenziali fonti di instabilità finanziaria; il rafforzamento
della sorveglianza sui conti pubblici che accompagnerebbe l’intervento metterebbe l’area
dell’euro al riparo dal rischio di nuovi aumenti di debito pubblico a livello nazionale.
Alcune proposte avanzate nel dibattito europeo sembrano confidare nella possibilità di
procedere sequenzialmente, dando priorità temporale alla riduzione dei rischi rispetto alla
creazione di strumenti comuni di protezione. Queste proposte individuano nel nesso tra banche
e debitori sovrani la principale fonte di vulnerabilità dell’area dell’euro e propongono di
spezzarlo scoraggiando l’investimento in titoli di Stato da parte degli istituti di credito e
predisponendo procedure ordinate per la ristrutturazione di debiti pubblici ritenuti non
sostenibili. Si tratta di una visione semplificata della genesi e della gestione delle crisi
finanziarie, che in ogni caso trascura i rischi che potrebbero derivare da movimenti di capitale
rapidi e ampi sul mercato dei titoli di Stato europei.
Questo argomento dovrebbe essere trattato in modo pragmatico. Modifiche del
trattamento prudenziale dei titoli di Stato detenuti dagli intermediari creditizi (quali la
ponderazione per il rischio o l’introduzione di limiti quantitativi), soprattutto se mal disegnate o
mal calibrate, rischiano di essere controproducenti. Specie in momenti di tensione a livello
sistemico, esse possono finire col generare le crisi che vorrebbero evitare, innescando fenomeni
di contagio finanziario o alimentando movimenti speculativi. In ogni caso, il nesso tra banche e
debitori sovrani non si esaurisce nei rapporti finanziari ma passa, soprattutto, attraverso gli
effetti che le une e gli altri esercitano sull’attività economica. È illusorio pensare che, per quanto
ordinata, la ristrutturazione di un debito pubblico di grandi dimensioni possa avvenire senza
pesanti conseguenze per l’economia nazionale e per il complesso di quella europea.
* * *
Le difficoltà di procedere congiuntamente sulla strada della riduzione e della
condivisione dei rischi sono evidenti; gli ostacoli da superare sono notevoli, sia nel
raggiungimento di un consenso, sia nell’attuazione pratica di riforme destinate a modificare
nel profondo l’identità europea.
Si sostiene spesso che i tempi per un’unione politica non siano maturi. Ma con
lungimiranza si possono compiere passi importanti in quella direzione. L’Italia è chiamata a
contribuire con autorevolezza al dibattito in corso in Europa. La sua posizione sarà tanto più
forte e la sua azione tanto più efficace quanto più sarà continuo e credibile l’impegno a
migliorare il potenziale di crescita e ad assicurare la stabilità finanziaria.
L’azione di vigilanza della Banca d’Italia, anche nell’ambito del Meccanismo unico,
continuerà a spingere le banche a sfruttare l’occasione offerta dall’attuale clima congiunturale
per proseguire con decisione nel rafforzamento dei bilanci, nella riduzione dei prestiti
deteriorati, nell’innalzamento della redditività. Lo impongono la diffusione delle nuove
tecnologie, il crescente grado di concorrenza sui mercati finanziari, una regolamentazione
sempre più prudente.
Per irrobustire la crescita nel medio periodo occorreranno passi ulteriori nelle riforme di
struttura, nel miglioramento dei servizi pubblici, nella razionalizzazione e stabilizzazione della
normativa fiscale. Non è questione di vincoli europei, riguarda lo sviluppo equilibrato, la forza
stessa della nostra economia: un aumento del disavanzo pubblico non può sostituirsi alle
riforme; rischierebbe di essere controproducente, visto che il problema del debito non può essere
eluso. Anche senza i vincoli del Patto di stabilità, resta per noi l’esigenza di compiere scelte
responsabili.