Esteri

Non solo Ucraina e Medio Oriente, anche Africa e Sud America: tutto è pronto per una nuova guerra internazionale

di Mauro Indelicato

La particolarità del 2024 consiste nella costante emersione di vecchie e nuove crisi, segno di un mondo sempre più frazionato e di un sistema internazionale dove è sempre più ampio il ricorso alla forza

Non solo Ucraina e Medio Oriente, anche Africa e Sud America: tutto è pronto per una nuova guerra internazionale. La mappa dei fronti

È un giro di boa estivo molto turbolento quello a cui sta andando incontro il mondo in questo 2024. Il tutto nonostante si è in presenza dell'anno elettorale Usa, momento dove solitamente le tensioni rimanevano “congelate” in attesa di conoscere l'esito del voto a Washington. Quest'anno la situazione si presenta in modo diverso: il prossimo autunno erediterà le tensioni già scoppiate nei mesi precedenti e si potrebbe assistere all'apertura di nuovi fronti di guerra a livello internazionale.

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Ucraina e medio oriente, le due crisi più importanti

La particolarità del 2024 consiste proprio nella costante emersione di vecchie e nuove crisi, segno di un mondo sempre più frazionato e di un sistema internazionale dove è sempre più ampio il ricorso alla forza. I fronti principali da tenere in considerazione dopo il giro di boa agostano, riguardano ancora una volta l'Ucraina e il medio oriente.

Il conflitto ucraino, come ben noto, va avanti da due anni e oramai si è trasformato in un confronto molto simile a una guerra di attrito, dove le posizioni delle parti in causa appaiono stabili da diverso tempo. Se la scorsa estate ci si aspettava la controffensiva, poi fallita, da parte di Kiev, nelle prossime settimane l'incognita è rappresentata dall'efficacia o meno dell'arrivo delle armi occidentali sul versante ucraino. Dal canto suo, la Russia sta aumentando la pressione sul Donbass e continua gli sforzi nelle regioni occupate. Nella seconda parte del 2024, occorrerà capire l'influenza del voto negli Usa: il candidato repubblicano Donald Trump ha promesso una rapida risoluzione della vicenda, la candidata democratica Kamala Harris ha messo sul piatto la conferma del sostegno a Kiev. Il recente scambio di prigionieri tra russi e statunitensi potrebbe comunque portare a pensare all'esistenza di un dialogo sottobanco tra le parti, capace di avere conseguenze anche in Ucraina.

Ma è ovviamente il Medio Oriente la situazione di tensione capace di creare maggiore allarme. In autunno, la guerra a Gaza arriverà al primo anno di vita e non accenna a placarsi. Con lo spettro sempre più latente di un allargamento del conflitto. Lo si è visto ad aprile con lo scontro quasi diretto tra Israele e Iran e, a maggior ragione, lo si sta vedendo in queste ore dopo l'uccisione da parte israeliana del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuta proprio a Teheran. Il continuo scambio di colpi tra Tel Aviv e le forze del movimento sciita Hezbollah lungo il confine libanese, è un'ulteriore traccia della forte tensione che si respira nella regione. Una tensione cresciuta ulteriormente dopo l'uccisione, avvenuta nell'area delle alture del Golan, di dodici bambini drusi colpiti da un razzo che, secondo le autorità israeliane, è stato lanciato proprio dagli Hezbollah.

Dal Sahel al Sudan, anche l'Africa sotto i riflettori

Oltre i due fronti principali però, ci sono altre crisi in grado di incidere sulla già fragile (per non dire precaria) stabilità internazionale. Anche il continente africano presenta situazioni potenzialmente molto gravi. Il Sahel ad esempio è una regione subsahariana da anni preda di turbolenze e dove, da almeno un decennio, la piaga è rappresentata anche dall'avanzata delle forze jihadiste.

Nel giro di due anni, tra il 2021 e il 2023, i tre principali Paesi della regione hanno subito tre colpi di Stato: Mali, Burkina Faso e Niger sono infatti governati da giunte militari le quali, tra le altre cose, hanno nell'affrancamento dalla madrepatria francese e dall'occidente uno dei principali obiettivi. Un terreno fertile quindi per altre forze, a partire dalla Russia. Mosca è presente soprattutto nel Mali con le milizie paramilitari un tempo organiche alla Wagner. Di recente, i tre Paesi in questione hanno anche sottoscritto un'intesa volta a costituire una vera e propria federazione.

La situazione però è molto vicina al collasso. Nessuna giunta militare sta riuscendo a fermare l'avanzata jihadista e la guerra, soprattutto nel Mali, sta tornando a essere ad alta intensità. Lo dimostra il fatto che proprio qui, nel pieno del mese di luglio, un'imboscata tesa da un'altra forza in campo, quella dei Tuareg, ha ucciso decine tra soldati locali e mercenari della Wagner. Il Sudan invece, anch'esso posizionato in una regione strategica per via dei suoi porti sul Mar Rosso, da un anno è vittima di una sanguinosa guerra civile. Da una parte c'è l'esercito regolare guidato dal presidente Abdel Fattah Burhan, dall'altro le Forze di Intervento Rapido (Rsf) del generale Hemetti Dagalo. Un attentato fallito contro il presidente Burhan nei giorni scorsi, potrebbe comportare l'aumento dell'intensità del conflitto. Nel Sahel come nel Sudan, le tensioni sono destinate a incidere sulla più generale stabilità del Mediterraneo allargato e avere quindi ripercussioni anche in Europa, specialmente sul fronte migratorio.

Il possibile caos in Venezuela

Dall'Africa al Sud America: qui c'è un Paese che, subito dopo il voto del 28 luglio scorso, è entrato in una fase molto difficile. Il riferimento è al Venezuela, governato dal 2013 da Nicolas Maduro a sua volta erede di Ugo Chavez, autore nel 1999 della cosiddetta “rivoluzione bolivariana”. I dati ufficiali hanno attribuito a Maduro il 51% dei voti, ma le opposizioni guidate da Maria Corinna Machado parlano di cifre falsate e di brogli elettoriali.

La mancata pubblicazione di molti verbali relativi al voto elettronico e del secondo bollettino del Centro Elettorale Nazionale hanno acuito i dubbi sulla regolarità del voto, tanto a livello interno quanto all'estero. Sono quindi scaturite proteste di piazza e scontri molto duri, con molte città venezuelane diventate teatro di vere e proprie guerriglie urbane. L'incognita sta nel fatto che né Maduro e né l'opposizione vogliono fare passi indietro. Lo scontro potrebbe quindi deflagrare e diventare ben presto anche un caso internazionale: Maduro, come noto, è sostenuto dalla Russia, Usa, Ue e altri Paesi sudamericani, come ad esempio l'Argentina, sono molto vicini all'opposizione.

Le tensioni nel Pacifico e il confronto tra Usa e Cina

C'è poi un'area dove non insistono vere e proprie guerre, ma dove il confronto è a distanza e latente ma, non per questo, meno duro. Nel Pacifico a tenere banco è infatti sempre la questione relativa a Taiwan, l'isola rivendicata dalla Cina e sostenuta militarmente dagli Stati Uniti. La vicenda rientra, per la verità, nella più generale sfida tra Pechino e Washington per il predominio sull'area: i cinesi, in particolare, considerano quella una regione dove hanno il diritto ad espandere i propri interessi, per gli Usa la parola d'ordine è invece “contenimento” delle mire del dragone.

La Cina negli ultimi mesi ha lanciato diverse esercitazioni dinnanzi Taiwan, circostanza vista come sfida da parte dei dirigenti della stessa isola e ovviamente anche di Washington. Schermaglie sono poi state registrate tra la marina cinese e alcune imbarcazioni della guardia costiera filippina, a testimonianza della tensione in corso in tutta la regione. Per comprendere meglio le dinamiche del braccio di ferro tra le due potenze, occorrerà però in questo caso aspettare il voto Usa: Donald Trump, anche durante la sua presidenza, non ha mai fatto mistero di vedere nella Cina il principale nemico.