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Esteri
Biden in Ue: nuova cortina (tech) anti Cina. Nel mirino batterie, 5G e porti
Joe Biden e Xi Jinping

LA CORTINA DI FERRO TECNOLOGICA DI BIDEN: IL NODO DELLE BATTERIE

Una vera e propria retromarcia. Ma Biden non si accontenta delle telecomunicazioni e vuole un'alleanza a 360 gradi sul comparto tecnologico, fondamentale per decidere i futuri equilibri geopolitici globali. Un tema cruciale della sua missione sarà dunque quello delle batterie, su cui gli Usa soffrono di un fortissimo ritardo rispetto a Pechino. Basti pensare che a oggi in Cina sono attive 93 gigafabbriche che producono batterie al litio di ultima generazione, contro le 4 degli Stati Uniti. Biden cerca il sostegno della European Battery Alliance, un consorzio lanciato anni fa con lo scopo di sviluppare la produzione autoctona di batterie. 

LA MANO DI PECHINO SUI PORTI EUROPEI

Altro tema che sta molto a cuore a Washington è quello delle infrastrutture ritenute sensibile, in primo luogo i porti. La presenza cinese sugli scali portuali europei è fortissima. Le aziende di Pechino, in primis Cosco (China Ocean Shipping Company) e China Merchants Group International (che gestisce 15 terminal in otto diversi nazioni europee) hanno investito oltre 5 miliardi di euro in 10 scali commerciali marittimi (e ferroviari) del Vecchio Continente. 

LA MAPPA DEI PORTI "CINESI" IN EUROPA. C'E' ANCHE VADO LIGURE

La mappa dei porti con capitali cinesi include Rotterdam (35% in mano a Cosco Shipping), Anversa (25% di Cosco Pacific), Zeebrugge (76% di Cosco Shipping), Bilbao (49% di Cosco Shipping), Valencia (49% di Cosco Shipping), Marsiglia (49% di China Merchant Group), Pireo (35 anni di gestione a Cosco Pacific). E poi c'è anche l'Italia, con il container terminal di Vado Ligure di cui Affaritaliani ha parlato più volte, col 40% di Cosco e il 9,9% di Qingdao Port International.

COSCO TRATTA PER AMBURGO, SULLO SFONDO IL PORTO DI TRIESTE

Una presenza già fortissima che la Cina ora intende ampliare. Cosco sta infatti trattando per acquisire il 30-40% di uno dei terminal container dell'importante porto tedesco di Amburgo. E, ancora una volta, c'entra l'Italia. Sì, perché la compagnia di logistica Hamburger Hafen und Logistik AG (HHLA), partecipata dall’ente amministrativo federale della città tedesca di Amburgo, ha concluso a gennaio un’operazione avviata a settembre per l’acquisizione del 50,01% della società triestina Piattaforma logistica Trieste.

L'accordo con Amburgo sembrava di fatto aver tolto Trieste dalle mire cinesi, visto che lo scalo della città giuliana avrebbe dovuto rientrare negli accordi sulla Belt and Road. Ma quello che sembrava un accordo che faceva tutti felici, sia l'Italia sia la Germania sia gli Stati Uniti, potrebbe rivelarsi un nuovo assist alla Cina. D'altronde, il presidente dell'Autorità portuale di Trieste Zeno D'Agostino, all'indomani dell'accordo con la tedesca HHLA, aveva affermato che si trattava di una “ottima soluzione per non rinunciare alla Via della Seta Sottolineo Via della Seta e non Belt and Road: il secondo è un progetto cinese, il primo è un corridoio trasportistico deciso dal mercato e non pianificato da nessuno che propone una soluzione europea. In questa, Amburgo e Trieste non sono soggetti passivi come accade quando si entra nella Belt and Road, ma sono soggetti propositivi che accettano la sfida".

Bisogna vedere però che cosa ne pensano gli americani, che ora arrivano in Europa per ricreare una nuova cortina di ferro tecnologica (che coinvolga però anche infrastrutture sensibili come i porti) con la Cina.

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