Esteri
Cina, la favola è finita: ecco perchè il Dragone non è più l’eldorado affaristico delle aziende occidentali
E il principale fattore di incertezza è legato all’evolversi delle relazioni tra Stati Uniti e Cina
Un tempo terra di affari facili grazie a un bassissimo costo della manodopera e a opportunità di smercio enormi, oggi la Cina non offre più le stesse opportunità
La Cina non è più l’eldorado affaristico delle aziende occidentali. A dirlo sono i numeri e soprattutto gli stessi manager, preoccupati dall’andamento dell’economia cinese e dalle politiche che attiverà Donald Trump. Eppure, Pechino continua ad alimentare la narrativa per cui il suo è un mercato in buona salute.
Un recente sondaggio condotto dalla Camera di commercio americana di Shangai ha fotografato i tormenti delle aziende. Solo il 47% degli intervistati è ottimista rispetto a come gli affari andranno nei prossimi cinque anni: sembra una percentuale alta, ma è la più bassa mai registrata dall’istituto.
Il principale fattore di incertezza è legato all’evolversi delle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Se la recente inchiesta aperta da Pechino nei confronti di Nvidia può far pensare ad azioni analoghe in futuro, a preoccupare sono in realtà soprattutto le responsabilità di Washington. Buona parte degli intervistati dalla Camera di commercio, infatti, ritiene che nell’ultimo anno da parte cinese ci siano stati miglioramenti nelle politiche nei confronti delle aziende straniere e una maggiore trasparenza nell'ambiente normativo. Dall’altra parte, il protezionismo statunitense viene visto come una palla al piede: alla domanda “Come il governo Usa può aiutare le imprese all’estero?”, il 48% ha risposto suggerendo un taglio dei dazi sui prodotti cinesi. Uno scenario, quest’ultimo, che non sembra all’orizzonte. Donald Trump ha già minacciato nuovi dazi verso la Cina, col rischio di innescare una reazione analoga da parte del governo di Xi Jinping che metterebbe in difficoltà proprio le aziende statunitensi.
In ogni caso, la riduzione della preponderanza del mercato cinese nel business delle imprese europee è già realtà. Secondo un’analisi del The Economist, le vendite combinate di aziende statunitensi ed europee hanno toccato l’apice nel 2021, fruttando 670 miliardi di dollari. Da allora, sono scese, toccando nel 2023 quota 650 miliardi. Un deficit di 20 miliardi che non sembra possa essere colmato nel 2024 e nemmeno negli anni a venire. La contrazione riguarda aziende di tutti i settori, da Apple a Volkswagen, da Starbucks al gruppo Louis Vuitton. “A questo punto, dovremmo aver cambiato pagina”, il commento di un manager regionale di una grossa azienda per indicare il mutato contesto.
Un tempo terra di affari facili grazie a un bassissimo costo della manodopera e a opportunità di smercio enormi, oggi la Cina non offre più le stesse opportunità. In primis perché l’economia sta rallentando e le misure deflazionistiche attivate dal governo non aiutano le aziende, non solo straniere. Più di un quarto (27%) delle imprese cinesi era infatti in perdita a fine ottobre. In secondo luogo, la sfida portata agli attori occidentali dai competitor locali è sempre più alta. La concorrenza è “estrema”, ha detto a ottobre il nuovo capo di Starbucks Brian Niccol agli investitori. In particolare, il gigante americano del caffè è stato costretto a cedere importanti quote di mercato al rivale cinese Luckin Coffee, che oggi conta più di 21mila punti vendita nel paese a fronte dei “soli” 13mila dell’anno scorso.
Inoltre, le aziende occidentali non godono più del vantaggio competitivo portato dalla tecnologia. I prodotti ormai si equivalgono o anzi sono più aggiornati quelli cinesi. Così, per esempio, Apple deve far fronte alla crescita di Huawei e altri attori, i cui costi più abbordabili sono preferiti dai consumatori locali. La partita relativa alle auto (elettriche e non), invece, è nota da tempo.
In tutto ciò, Pechino continua a presentarsi come un mercato salutare per le aziende straniere. Il futuro non è mai stato così roseo, ha comunicato recentemente il Consiglio per la promozione del commercio internazionale, istituzione controllata dal ministero del Commercio. Per il Consiglio, il 90% delle aziende straniere valuta la propria esperienza in Cina come soddisfacente, se non migliore, e ritengono che l'economia sia forte, i mercati locali attraenti e le prospettive promettenti. Uno scenario che però non sembra essere confermato da istituti indipendenti e manager.