Esteri

Da Sant'Anna di Stazzema a Gaza: di strage in strage, la politica è sempre assente

di M. Alessandra Filippi

Come la memoria delle stragi di allora cammina di pari passo col silenzio sulle stragi di Gaza

Da Sant'Anna di Stazzema a Gaza

All’alba di 80 anni fa, oggi, si consumava una delle più atroci stragi nazifasciste della Seconda Guerra Mondiale: quella di Sant’Anna di Stazzema, un piccolo e pacifico borgo del lucchese, tagliato fuori dalla storia fino a quel 12 agosto 1944 quando, con il supporto di alcuni italiani della Repubblica Sociale, sul far del giorno il paese venne circondato da tre compagnie tedesche delle SS e in tre ore, con ferocia inaudita, 560 civili inermi furono massacrati, fra loro molti bambini. Fra l’estate del 1943 e la primavera del 1945 furono 5872 le stragi compiute dai nazisti nell’allora Regno d’Italia, nel corso delle quali vennero assassinate 24.409 persone, fra loro molti bambini fra 0 e 10 anni. Al termine della guerra, la magistratura militare italiana accertò che lo sterminio fu premeditato, un’azione terroristica curata nei minimi dettagli per “annientare la volontà della popolazione e soggiogarla col terrore”. L'obiettivo era “distruggere il paese e sterminare la popolazione per rompere ogni collegamento fra i civili e le formazioni partigiane presenti nella zona”. Ennio Mancini, uno dei pochi sopravvissuti viventi, aveva sei anni quel giorno. Si salvò perché graziato da una delle SS. Da adulto non ha mai smesso di impegnarsi per la trasmissione della memoria dell’eccidio. Per questo ruolo, nel 2020, è stato nominato Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, insieme a Enrico Pieri, un altro scampato. Eppure, oggi, al Memoriale del “Campo della Pace”, nessun membro del Governo era presente. Un’occasione persa, una latitanza che non fa onore a nessuno di loro.

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In pochi la ricordano, oltre ai discendenti dei sempre più sparuti sopravvissuti, e ai ragazzi italiani e tedeschi che da otto anni partecipano alle iniziative promosse dal “Campo della Pace”. Come quella in cui, insieme, percorrono i sentieri della pace incontrando i superstiti dell’eccidio; o i workshop pianificati durante l’anno, come quello del prossimo novembre a Stoccarda, dove i ragazzi tratteranno temi sulla giustizia (fallita) in Germania, dove in ben due tribunali sono stati archiviati i processi a carico di alcune SS, condannate invece all’ergastolo in Italia dal tribunale militare di La Spezia. Due sentenze clamorose che fanno il paio con quella di pochi giorni fa, emessa da un tribunale di Berlino che ha condannato Ava Moayeri per apologia di reato. Lei, studentessa tedesco-iraniana e attivista filo-palestinese, è stata giudicata colpevole per aver gridato “From the river to the sea, Palestine will be free” (dal fiume al mare, la Palestina sarà libera).  Secondo Birgit Balzer, il giudice che ha presieduto il processo, lo slogan va inserito nel contesto del «più grande massacro di ebrei dopo la Shoah», e sarebbe chiaro che «nega il diritto all’esistenza dello Stato di Israele». Secondo la difesa di Moayeri, la sentenza rappresenta invece una pericolosa limitazione della libertà di espressione. Non è il primo caso in Germania, dove la risposta delle autorità al movimento a favore del popolo palestinese è fra le più dure d’Europa.

La memoria delle stragi di allora cammina di pari passo con l’assenza di consapevolezza delle stragi del presente, complice la latitanza dei giornalisti che invece di fare il loro dovere tacciono, sorvolano, omettono, edulcorano. In pochissimi in Italia sono al corrente di quello che realmente sta accadendo nella Striscia. In almeno la metà di quelli “edotti” è radicata la strana idea che tutto sia iniziato il 7 ottobre 2023. A loro andrebbero mostrati i video girati da soldati israeliani che circolano nel web, dove i crimini di guerra diventano una “sorta di blog giornaliero nel quale vengono divulgate uccisioni e distruzioni” con la stessa leggerezza con le quali si condividerebbe una guasconata fra amici. Nei i filmati, che riprendono bombardamenti di case e moschee, ce ne sono alcuni girati da militari con la doppia cittadinanza israelo-americana. Dettaglio che mette gli Stati Uniti in una posizione ancora più scomoda e che obbliga a interrogarsi, una volta di più, sulla complicità e responsabilità degli USA nel genocidio in corso a Gaza.

In tutte queste dimenticanze della Storia, occultamento di notizie, manipolazione della realtà e dei fatti, limitazione della libertà di parola, frutto della deriva morale dell’Occidente, il “democratico” governo israeliano, nel silenzio delle altre moribonde “democrazie”, ieri ha approvato la proposta del ministro delle telecomunicazioni, Shlomo Karhi, di vietare ogni attività dell’emittente televisiva Al Mayadeen, dando ordine di sequestrare tutte le sue apparecchiature e bloccare i suoi siti Web. Il governo israeliano aveva già preso la decisione di bloccarla all'inizio di novembre. Tuttavia, la nuova proposta include il sequestro di tutte le apparecchiature del canale televisivo satellitare panarabo libanese, con sede nella città di Beirut. Fin dalla sua fondazione, nel 2012, Al Mayadeen ha documentato e riportato le atrocità israeliane commesse a Gaza, nella Cisgiordania occupata, a Gerusalemme Est, dunque molto prima che l'operazione Al-Aqsa Flood iniziasse il 7 ottobre 2023. La decisione del governo israeliano, che ha già oscurato Al Jazeera, e ancora prima ha vietato l’ingresso a Gaza a tutti i giornalisti internazionali, prende di mira lo scopo principale del giornalismo: documentare la verità, informare il pubblico e smentire la disinformazione diffusa.

In un romanzo di Philip Roth, Operazione Shylock, uscito nel 1993, lo scrittore fa dire a uno dei suoi personaggi, che essere un ebreo folle significa “Appellarsi ad un padre pazzo e violento, e farlo per tremila anni”. In effetti, Yahweh ha insegnato agli Ebrei il disprezzo per le divinità dei popoli circostanti. Secondo l’egittologo e storico tedesco Jan Assmann, il Dio della Bibbia è essenzialmente un dio teoclasta. Nella sua teoria, nota come “Distinzione mosaica”, definisce l'imposizione del monoteismo come «il più radicale e violento manifestarsi di una contro-religione nella storia dell'umanità». Nel libro del Deuteronomio si legge: “Distruggerete completamente tutti i luoghi, dove le nazioni che state per scacciare servono i loro dèi: sugli alti monti, sui colli e sotto ogni albero verde. Demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete nel fuoco le statue dei loro dèi e cancellerete il loro nome da quei luoghi.” (Deuteronomio 12, 2-3). Non fa una piega. D’altra parte, lo stesso Netnyahu crede di essere il redivivo Golem degli ebrei, lo strenuo difensore di Yisra'él. Con in mano la Bibbia, che non manca di citare ricordando le profezie del Deuteronomio, di Giosuè o Isaia - e guardando a quel che accade a Gaza, vien da pensare le stia applicando alla lettera -, Netanyahu sta portando avanti il disegno superiore al quale ha dedicato tutta la sua vita: l’annientamento del nemico. Quello che lo stesso Gallant, il 9 ottobre 2023, ha definito “l’animale umano”: il popolo palestinese.

Nessuno di noi, nato in questo angolo di mondo dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha mai assistito a un orrore più disumano e mostruoso di quello che si sta consumando a Gaza. Lì ormai i cadaveri si contano a peso, mettendo un tanto di carne in un sacchetto di plastica: 70 kg per un adulto, 30 per un bambino. Un genocidio reso ancora più aberrante dal fatto che a commetterlo sia il Governo e l'esercito della Nazione alla quale è stato dato diritto di esistenza sulle ceneri dell'olocausto. E la pulizia etnica dei palestinesi non è iniziata il 7 ottobre 2023. Va avanti ininterrottamente dalla primavera del 1948, ben prima della nascita ufficiale di Israele, a distanza di soli tre anni dalla scoperta dei campi di sterminio nazisti. Il che significa che quegli stessi stati che hanno permesso l’Olocausto allora, hanno poi causato e avvallato quello degli arabi palestinesi dopo. La Storia, come la memoria, è maestra di vita, una bussola senza la quale si perde trebisonda e direzione. Senza di lei non si capisce un bel niente di quel che accade oggi, qui in Europa così come dall'altra parte del Mare.

C’è di buono che la guerra di annientamento contro i “neo amaleciti” palestinesi ha rivelato, malgrado tutte le censure e gli sforzi per nascondere la verità, il vero volto di Israele: quello di uno stato criminale, intriso di pericolose ideologie di stampo razzista e religioso. Uno Stato che, come ho già scritto, ha trasformato la Bibbia in un atto notarile e Dio in un broker immobiliare. La Bibbia può essere tante cose, di certo però non è, e non sarà mai, un documento che possa legittimare un solo essere umano a vantare diritti su una terra o su un’altra. Sarebbe come se i romani si svegliassero una mattina e, in nome dell’Impero e degli dei dell’Olimpo, rivendicassero la proprietà dei territori che vanno dalla Spagna al vallo di Adriano, dalla Dalmazia all’Asia, dalla Siria all’Egitto, per il solo fatto che un tempo gli Dei gli hanno concesso la vittoria su quei popoli e la proprietà di quei territori. O come se i greci, in nome di Agamennone e Achille, rivendicassero il possesso di Troia. La richiesta verrebbe subito liquidata dall’intera comunità internazionale come assurda, oltre che ridicola e folle.

Quanto al "famoso sogno dei due popoli, due stati", non serve dire che non è mai stato quello del milione e quattrocentomila palestinesi che vivevano da millenni in quel territorio. Per tutti loro, fin dal principio, quella spartizione venne considerata "Un atto mostruosamente iniquo perpetrato dall'imperialismo occidentale, per porre riparo a un delitto al quale loro, gli arabi - e in special modo i palestinesi - non avevano partecipato”. Quando con abili tattiche il 29 novembre 1947 l’allora Movimento sionista riuscì a far approvare la Risoluzione 181 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, partendo da una posizione di svantaggio, stando agli analisti di allora, la carta geografica della spartizione era stata "Tracciata con la penna della disperazione”, ed era il risultato di “un miscuglio di compromessi accettabili e mostruosità inconcepibili: il 57% della Palestina era assegnato agli ebrei, mentre la maggior parte del territorio del futuro Stato ebraico e quasi due terzi della sua popolazione era arabo". Oggi, di fronte ai frutti di quell’atto “mostruosamente iniquo”, torna in mente un vecchio adagio di saggezza popolare nostrana: “Quel che nasce male finisce peggio”. Al quale gli fa eco un antico proverbio arabo: “Se intrighi per ottenere benefici, quel beneficio ottenuto con raggiri prima o poi ti si ritorcerà contro”.