Esteri

Israele, ecco perché non è possibile sradicare Hamas con la forza militare

di Giacomo Costa

Mentre le Nazioni Unite si mobilitano per arginare il fuoco a Gaza, Israele continua a perseguire il suo obiettivo: eliminare Hamas. Ma è davvero possibile?

Guerra Israele-Gaza, due recenti voci della ragione sulla Palestina. Il commento 

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito d’urgenza venerdì 8 dicembre mattina, ora di New York, per discutere della situazione catastrofica di Gaza. Questo fa seguito alla lettera urgente di mercoledì del Segretario Generale Antonio Guterres – inviata avvalendosi dell’art. 99 dello Statuto dell’Onu – che sollecita l’organismo a contribuire a porre fine alla carneficina nell’enclave devastata dalla guerra attraverso un cessate il fuoco umanitario duraturo. Una risoluzione presentata nel tardo pomeriggio in aula che chiedeva un immediato cessate il fuoco umanitario è stata bloccata dagli Stati Uniti. La spiegazione data dall’ambasciatore Usa è semplice: un cessate il fuoco incondizionato sarebbe semplicemente “pericoloso” e lascerebbe Hamas al suo posto, in grado di attaccare di nuovo.

“Un cessate il fuoco che lasciasse il controllo ad Hamas negherebbe inoltre ai palestinesi la possibilità di costruire qualcosa di migliore per loro stessi,” ha aggiunto. Quindi i palestinesi sono bombardati per il loro bene. E’ per questo che Hamas va eliminato. Questo è, secondo gli Usa, l’obiettivo pienamente legittimo dell’azione militare israeliana che non può essere interrotta o arrestata. Credo che sia la prima volta nella storia dell’umanità che si intenda eliminare fisicamente e non sconfiggere il nemico: più efferatezza nichilistica, direi, che regressione barbarica.

Ma l’obiettivo di “distruggere Hamas”, anche ammesso che sia legittimo, è realistico? Ci sono stati nella settimana due interessanti interventi che vertono su questo problema e più in generale su una strategia per ricostruire la Palestina. Il primo è un editoriale di Nicholas Kristof, giornalista e scrittore due volte premio Pulitzer sul New York Times del 6 Dicembre, dal titolo “Troppi bambini muoiono a Gaza, e a che scopo?” Le osservazioni di Kristof vertono su tre problemi: se la lotta con Hamas condotta mediante l’invasione di Gaza abbia contribuito al suo fine dichiarato, la sicurezza dello Stato di Israele; se il tentativo dell’Amministrazione Biden di moderare e far rientrare in una politica costruttiva la reazione militare del governo israeliano stia riuscendo, e se tale reazione sia giustificabile eticamente. Sul primo punto, se lo scopo dell’invasione e dei bombardamenti era di distruggere (fisicamente) Hamas, dagli stessi recenti resoconti dell’esercito israeliano parrebbe che solo il 10% del personale di Hamas (chissà come identificato) sia stato ucciso; un numero troppo basso, secondo Kristof, in rapporto a quello complessivo delle vittime.

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Ma a rigore, secondo me, in termini assoluti non bassissimo. Gli israeliani potrebbero concludere e pare abbiano concluso che vale la pena di insistere. Sul secondo punto, Kristof nota che il Presidente Biden sta faticosamente cercando di tenere insieme il rispetto e la fedeltà all’alleato israeliano, avallando la sua invasione di Gaza, con il tentativo di ridurre i danni e l’emergenza umanitaria, ma non ci sta riuscendo: «Contrariamente alle affermazioni dell’amministrazione Biden secondo cui Israele sta ricevendo il messaggio di mostrare moderazione, le Nazioni Unite riferiscono che questa settimana “abbiamo visto alcuni dei bombardamenti più pesanti a Gaza finora" e che “se possibile, uno scenario ancora più infernale sta per svolgersi”. Del resto, fin quando Israele userà bombe da una tonnellata sarà difficile circoscrivere gli obiettivi. » Sul terzo punto Kristof è altrettanto chiaro e convincente che sul secondo: “Sul piano etico, poi, la questione è ancora più grave. Uno dei vanti della democrazia, dello Stato di diritto, della civiltà è non trattare gli assassini e i terroristi nello stesso modo in cui loro trattano noi. Quello che contraddistingue il terrorismo islamico è il disprezzo della vita umana.

Hamas ha dato ampia prova di non tenere in alcuna considerazione non solo le vite degli israeliani ma anche quelle dei palestinesi. Hamas è una formazione politica, ma è soprattutto un’organizzazione violenta, fanatica, misogina, che non ha esitato a torturare e uccidere i ragazzi israeliani, a stuprare e mutilare le ragazze e usa i bambini palestinesi come scudi umani. Ma questa indifferenza alla vita non significa che anche Israele o gli Stati Uniti debbano fare lo stesso, giustificando i massacri per un fine politico o di sicurezza.” E’ sconcertante che occorra un uomo del prestigio di Kristof per ricordare ai dirigenti del suo paese un postulato etico e politico così elementare. Ma parrebbe che i difensori dei “valori occidentali” si siano da tempo dimenticati cosa dovrebbero difendere.

Il secondo è l’intervista che Ami Ayalon, un militare israeliano comandante dei servizi segreti interni israeliani dal 1995 al 2000, deputato al Knesset per il partito laburista dal 2006 al 2009, ha rilasciato alla Stampa il 7 Dicembre. Ayalon lamenta non che il governo israeliano non riesca a conseguire i suoi obiettivi, ma che non ne abbia di politici. E’ un militare che propone al suo Stato una visione politica. Ayalon dice che l’obiettivo israeliano è di “smantellare Hamas, le brigate Ezzedin al-Qassam [l’ala militare di Hamas] e dare la caccia alla sua leadership.” Così facendo l’esercito dello Stato di Israele starebbe secondo lui compiendo una legittima difesa.

Ma, gli chiedono gli intervistatori, “crede che sia possibile sradicare Hamas?” Qui c’è la sorpresa: “No, non usando il potere militare. Bisogna prima di tutto capire che cos’è Hamas: un’ideologia religiosa, uno specifico tipo di Islam. Non si può far fuori un’ideologia usando l’esercito. L’unico modo per affrontarla è presentare un’ideologia alternativa.” Ayalon pensa che occorra puntare sui due stati. Primo, perché lo Stato di Israele non può vivere in guerra con i palestinesi per sempre; secondo, perché la comunità internazionale spingerà sempre di più in questa direzione; e terzo, e qui pensa in grande, perché nell’area del Golfo Persico gli Usa sono in competizione con la Cina, che “è qui, controlla molti porti, non può rinunciare al petrolio”. Dunque gli Usa devono fare delle concessioni ai paesi del Golfo se vogliono mantenere la loro necessaria buona volontà. “Quale accordo può accettare Hamas?” gli chiedono.

Qui viene un’altra risposta sorprendente e ottimistica. Il problema centrale, secondo Ayon, non sarebbe Hamas: “Sappiamo che il 70-80% dei palestinesi vuole uno Stato, per questa ragione sostiene Hamas, non perché ne sposi l’ideologia religiosa. Se vedranno un modo diverso per ottenere uno Stato, lo preferiranno, piuttosto che versare sangue.” Dunque Hamas si batte aggirandolo con la politica democratica, non con i bombardamenti su Gaza.