Esteri
Israele/Palestina, una guerra infinita
Dall’ormai triste 7 ottobre, dove lo shock per quanto avvenuto ha ormai lasciato spazio alla rabbia ed alla consapevolezza, si ode un coro unanime che prega per il rilascio degli ostaggi.
Benjamin Netanyahu è sconfitto sotto ogni punto di vista: politico, perché quanto avvenuto ha trovato come cornice un paese dilaniato dalle proteste che tentavano di bloccare l’intenzione del leader di “facilitare” la promulgazione di nuove leggi consegnando al parlamento un potere pressoché illimitato; storico, in quanto le gesta del fratello e di quanto avvenuto ad Entebbe non potrà più essere ricordato per arginare nuove tragedie, non basterà più la memoria appannata di un giovane per nobilitare le sue azioni; socialmente, è indubbio che i cittadini israeliani “attendisti” siano colpiti negativamente dalla reazione scarsamente diplomatica e, allo stesso tempo, gli “interventisti” reputano che attendere e non attaccare subito Gaza (addirittura il giorno seguente) sia stato un segnale di debolezza; securitario, le tanto decantate forze di sicurezza israeliane, celeberrime per le grandi gesta e le qualità di spionaggio hanno fallito ma, negli ambienti lontani dal “politicamente corretto” si vocifera che quanto avvenuto fosse previsto: a che pro? Poter scatenare una guerra? Tentare di “risolvere” una spinosa questione che ambascia entrambi i popoli da circa 70 anni?
Il futuro di Netanyahu è comunque segnato ed ogni tentativo posticcio di revisionismo storico è destinato a fallire miseramente: nessuno, neanche l’appoggio dei conservatori ortodossi israeliani potrà salvarlo dall’impietosa pagina di storia che gli verrà dedicata.
Il fronte palestinese
Hamas ha incontrovertibilmente vinto. Questo assunto non si basa sulla valutazione dell’eventuale sostegno popolare dato che i media riportano una narrazione “ondivaga”: i palestinesi sono vittime di un gruppo sanguinario che terrorizza il popolo stesso, negando anche legittime elezioni, o sono fiancheggiatori di individui senza scrupoli capaci di seviziare donne, bambini ed anziani? Nella dialettica comunicativa sembrano non esistere le “mezze misure”. La vittoria di Hamas, però, risiede nella capacità di monopolizzare l’attenzione: il mondo Lgbt, gli intellettuali, silenziosi politici, leader mondiali hanno dato loro sostegno, più o meno esplicitamente. Perché è successo? Nel caso europeo, non si può immaginare che il senso di colpa per quanto patito dal popolo ebraico nel corso del ‘900 sia improvvisamente scomparso, ma si può ipotizzare che quel “capo cosparso di cenere” non sia più stato tollerabile ed i costanti richiami negli ultimi due mesi alla Shoah non hanno intimido le piazze.
Esiste forse un controsenso logico: com’è possibile che le piazze più inclini a sostenere Hamas siano “popolate” da donne e gruppi Lgbt che, secondo quanto osservato fino ad ora, dovrebbero essere coloro maggiormente malversati (nel migliore dei casi) da gruppi di matrice ideologica islamica? Non è chiaro alle “persone comuni” quale sia la chiave di lettura di questo fenomeno, ma è indubbio che la comunicazione di Hamas ha saputo scompaginare ogni archetipo.
Nell’estrema polarizzazione di questo conflitto è degno di nota un libro, pubblicato il 2 novembre scorso: “Analisi del jihad: dalla tradizione orale al cyberwarfare” di Arianne Ghersi e Roberto Milani. Il testo spiega storicamente/antropologicamente il significato della parola jihad, tanto richiamata in questo periodo, in maniera neutrale ed ineccepibile e conduce il lettore a conoscere i rischi e le criticità del moderno mondo virtuale. Dona, grazie ad interviste a Davide Piccardo e Bill Warner, la possibilità di costruirsi un’opinione autonoma, fondata su dati di realtà, senza la malizia che connota il mondo moderno. I contributi forniti da Vasco Fronzoni, Fabio Bozzo e Fabrizio Fratus sono un corollario che traghettano il lettore verso una maggiore assunzione di consapevolezza che, alla luce di quanto avviene in medioriente, fornisce gli adeguati strumenti interpretativi.