Esteri

Italia e Libano, il calcio balilla della Meloni

di Vincenzo Olita*

Per la politica è tempo di riflettere, non basta che il Paese stabilisca empatia con popolazioni bisognose o che distribuisca carinerie ai loro bambini. È il tempo della frantumazione delle certezze

Europa inesistente, sorda e grigia

No! Non ci occuperemo dell’Europa, della sua crisi, del suo tramonto, della sua rinascita, della più Europa e del suo Sol dell’Avvenire. Penseremo all’ONU, al suo cammino per il mantenimento della pace sul Pianeta, alle sue velleità, alla sua trasformazione, in effetti, alla sua critica impotenza.   

In questi giorni, è esploso il contrasto tra Israele e le forze di frapposizione ONU, diecimila militari, tra cui 1200 italiani e il ferimento di quindici soldati ha scatenato robuste reazioni europee e quindi italiane. Neanche una settimana è trascorsa da quando il ministro degli esteri Tajani chiese rassicurazioni all’omologo di Tel Aviv sull’incolumità degli italiani. Naturalmente, prontamente corrisposte ad un così tenero collega.

Nell’occasione, noi specificammo, Tajani, ridicolo Ministro degli Esteri, chiede agli israeliani di non coinvolgere militari italiani in Libano, in vacanza ben retribuiti, per poter dire Italia impegnata per la pace, ora anche come comici.

E sì, a seguito della risoluzione ONU 1701 questa missione dura da 16 anni, con regole d’ingaggio non chiare e del tutto utopiche, in particolare, il rispetto della Blue Line, prevenire la ripresa delle attività belliche tra questa e il fiume Litani, il disarmo di tutti i gruppi armati.

Oggi, oltre al rispetto del cessate il fuoco (Sic!), sono previsti check-points, pattuglie mobili e rapporti con l’esercito libanese, compiti di routine appena significativi in tempo di pace, assolutamente insignificanti nel conflitto in atto, il nostro contingente, infatti si vede costretto a trascorrere parte del tempo in protettivi bunker.

Non è più tempo delle pompose e soddisfatte visite alla truppa dei ministri della Difesa e degli Esteri, non è più tempo per la cordialissima Presidente del Consiglio per giocare a calciobalilla con militari estasiati per quando a casa ammireranno le decine di foto scattate da colleghi entusiasti.

Per l’Europa è tempo, invece, d’invocare autonomia e libertà per restare nei bunker o di far ritorno nei Paesi di provenienza sapendo che la decisione è demandata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Gli uomini sul campo? Dibattuti, tra un piacevole ritorno a casa e il dispiacere per la perdita degli introiti mensili, supplementari, superiori ai quattromila euro.

Lasciamo alla diplomazia e al peso politico dei vari fronti la decisione sul ritiro o meno del contingente internazionale, a nostro avviso, una presenza del tutto, pericolosamente, inutile considerando l’estesa insipienza dell’ONU e delle sue Agenzie, proiettate più sulle visioni globaliste dell’Agenda 30, dal cambiamento climatico, alla povertà, dalla salvaguardia del pianeta, alla pace.

Dal 1948, sono stati oltre 80 gli interventi condotti dalle Nazioni Unite, sia come osservazione che come missioni di interposizione. La prima operazione fu proprio nel 1948, attiva ancora oggi, in Medio Oriente, per e  la supervisione della Tregua tra Egitto, Siria Giordania e Israele.

Già, la pace e le tregue se dovessimo considerare e valutare, strategie, attività, impegni e indipendenza degli strateghi e dei vertici ONU, il consuntivo sarebbe oltremodo deludente.

Dalla crisi del Congo in cui la guerra civile (1960-65) causò quasi 200mila morti, all’Angola dove un lungo conflitto (1975-2002) procurò, solo di civili, 500mila vittime. A seguire il conflitto per l’indipendenza della Namibia e le guerre civili in Somalia 400mila, Liberia, Sierra Leone 200mila, Sudan 1,9milioni. Genocidio in Ruanda 950mila, 2° Guerra del Congo 5milioni, Guerra Eritrea/Etiopia 100mila, Guerra civile in Burundi 300mila, Conflitto del Darfur 700mila. Parliamo di milioni di vittime solo per queste crisi, in cui i numerosi fallimenti dell’ONU sono stati clamorosi, per non ricordare Haiti e Timor Est, i massacri di Sebrenica in (Bosnia Eerzegovina), il disastro dell’Afghanistan e il disinteresse per la guerra in Ucraina.

Solo le evangeliche anime candide oggi scoprono l’avanzato tramonto di un’istituzione nata per prevenire e, in seconda battuta, per interporsi, preventivamente, all’avvio dei conflitti. Erano strategia e azione da perseguire sul confine libanese, prima, tanto prima, negli anni che furono, dal contingente internazionale dell’ONU il cui totale fallimento era palese in quanto prescritto dall’ignavia del Palazzo di Vetro.

E l’Unione europea? Inesistente, con la sua governance, impegnata a progettare iniziative che possano modificare gli stili di vita degli europei. Oggi, è il tempo di ritornare a casa, per la politica è il tempo di riflettere che non basta che il Paese stabilisca empatia con popolazioni bisognose, che distribuisca carinerie ai loro bambini e via così. È il tempo della frantumazione delle certezze.

È anche il tempo in cui appaiono, con diffusa lucidità, le incertezze sul futuro, in un Pianeta troppo angusto per la condivisione di ingombranti leadership e il perdurare di grette visioni di molti inesistenti leader.

Il 10 agosto 2021 scrivevamo:

Martin Griffiths, sottosegretario generale ONU per gli affari umanitari, in questi giorni ha dichiarato che “si può arrivare a un futuro sicuro e sostenibile solo attraverso negoziati di pace”. Noi da tempo indichiamo l’effettiva inesistenza della NATO e la crisi sempre più evidente dell’ONU assente anche in quest’occasione.

Dopo 5 giorni, il 15 agosto i talebani entrarono a Kabul, ad ulteriore dimostrazione dello spessore degli uomini ONU. Ma tutto questo ormai attiene al mondo di ieri, l’oggi è il tempo del disordine e del turbamento e la persistenza della mediocrità della politica internazionale non prelude certo ad un rasserenamento dell’animo planetario.

*direttore Società Libera