Esteri

Match-rissa tra Trump e Clinton: pareggio tra insulti e partita apertissima

E’ finito in pareggio il primo dibattito (sarebbe il caso di dire: la prima rissa) di questa notte tra Hillary Clinton e Donald Trump

Di Daniele Capezzone

SCENARI - A CALDO SUL MATCH-RISSA DI POCO FA TRA TRUMP E CLINTON. PAREGGIO TRA GLI INSULTI, E PARTITA ELETTORALE APERTISSIMA (EPPURE MESI FA VI AVEVANO RACCONTATO CHE TRUMP ERA SPACCIATO CONTRO LA CLINTON…)
 
ALTRO CHE “ACCETTABILITA’”. E’ STATO UN “DEMOLITION DERBY”. OBIETTIVO DI OGNUNO: NON CONVINCERE GLI INDECISI, MA SOLO MOBILITARE IL PROPRIO CAMPO, E SOPRATTUTTO APPICCICARE UN’ETICHETTA NEGATIVA SUL PETTO DELL’AVVERSARIO.
 
ETICHETTE NEGATIVE MESSE DA TRUMP ALLA CLINTON: SEI DA TRENT’ANNI IN POLITICA (CONCETTO RIPETUTO 5 VOLTE), VUOI AUMENTARE LE TASSE, HAI COSE DA NASCONDERE (OVAZIONE SU SCANDALO MAIL). TU E OBAMA AVETE LASCIATO CRESCERE ISIS. NON HAI TEMPRA E RESISTENZA. HAI ESPERIENZA, MA E’ UNA CATTIVA ESPERIENZA…
 
DA LEI A LUI: NASCONDI LE TUE DICHIARAZIONI DEI REDDITI PERCHE’ NON PAGHI LE TASSE, NON PAGHI I TUOI FORNITORI, HAI FATTO BANCAROTTA SEI VOLTE, SEI STATO INQUISITO ANCHE PER QUESTIONI RAZZIALI. HAI DETTO PER ANNI CHE OBAMA NON ERA AMERICANO. HAI DETTO CHE LE DONNE SONO SCROFE, LE HAI INSULTATE…
 
I PROFILI DISEGNATI DAI CANDIDATI PER SE STESSI. LUI VORREBBE PRESENTARSI COME EREDE ECONOMICO DELLA LINEA REAGANIANA: TAGLIO DI TASSE E BUROCRAZIA. PIU’ UNA POSIZIONE CHIARISSIMA SU LEGGE E ORDINE. LEI VERSO LA LINEA SANDERS: PIU’ TASSE, SALARIO MINIMO, E APPELLO DIRETTO A AFROAMERICANI E MINORANZE ETNICHE.
 
ENTRAMBI EFFICACI ALL’ATTACCO (NELL’INSULTO), MA FRAGILI IN DIFESA. E GOVERNARE DA QUELLE POSIZIONI SEMBRA FRANCAMENTE SURREALE…
 
 

E’ finito in pareggio il primo dibattito (sarebbe il caso di dire: la prima rissa) di questa notte tra Hillary Clinton e Donald Trump. E ora la partita elettorale è più che mai aperta: è il caso di ricordarlo a chi, ancora poche settimane fa, parlava di un Trump spacciato contro Hillary.
 
Si poteva pensare a un confronto centrato sul rendersi “accettabili” agli elettori, in particolare a quelli indecisi e indipendenti. Non è stato così. E’ stato invece un “demolition derby”, nel quale l’obiettivo di ciascuno è stato mobilitare il proprio campo, la propria “curva”, e appiccicare le etichette più sgradevoli sul petto dell’avversario. Solo in secondo piano, i due si sono dedicati a darsi un profilo in positivo: vedremo di che tipo.
 
Le etichette più negative efficacemente affibbiate da Trump alla Clinton sono state cinque. Primo: sei da trent’anni in politica (frase ripetuta ben cinque volte, ossessivamente), concetto ribadito nell’attacco finale (“Hai esperienza, ma è una cattiva esperienza”). Secondo: vuoi aumentare le tasse, anzi sarai responsabile del più grande aumento di tasse di sempre. Terzo: hai tanto da nascondere, a partire dalle mail (ovazione del pubblico sulla battuta: “Darò la mia dichiarazione dei redditi se lei tirerà fuori le mail che ha distrutto”). Quarto: tu e Obama avete creato il vuoto in cui Isis è cresciuta (“quando eri segretario di stato, Isis era un bebè, guardate com’è ora…”). Quinto: non hai tempra e resistenza.
 
Sul fronte opposto, pure le etichette di infamia che la Clinton ha indirizzato al suo rivale sono state cinque, anch’esse assai efficaci. Primo: nascondi le tue dichiarazioni dei redditi perché non paghi le tasse. Secondo, sulle imprese di Trump: non paghi i tuoi fornitori e hai fatto bancarotta sei volte. Terzo: sei stato inquisito anche per questioni razziali, sei razzista. Quarto: hai mentito per anni, accusando Obama di non essere americano. Quinto: hai insultato le donne, hai detto che sono come “scrofe”.
 
Non troppo paradossalmente, visto il tenore del battibecco, i candidati hanno dedicato meno energia a darsi un profilo in positivo, ad “autocaratterizzarsi”. Nella prima parte del dibattito, Trump ha cercato di presentarsi come erede economico della tradizionale linea reaganiana: meno tasse, meno burocrazia. E in più ha sottolineato un altro connotato: una chiarissima posizione “legge e ordine” in materia di sicurezza pubblica. La Clinton, con altrettanta decisione, si è posizionata sul fronte opposto, schiacciandosi (pericolosamente, a mio avviso) verso la linea di Sanders: aumento di tasse per i ceti più abbienti, salario minimo, partecipazione dei lavoratori ai profitti delle imprese. E in più, scegliendo (per lei è qui che si gioca la partita) una chiara connotazione pro-donne, pro-neri, pro-minoranze razziali: esattamente le categorie e le fasce su cui la Clinton conta per battere Trump, tutto proteso a mobilitare - invece - un elettorato di maschi bianchi.
 
E il punto sta proprio qui, alla fine della fiera. E non credo sarà misurabile dai sondaggi tradizionali. Si tratta di capire quanto ciascuno sia riuscito a mobilitare il proprio zoccolo duro, a eccitare i già convinti. Mentre (la notizia di stanotte è questa) nessuno è sembrato farsi carico degli elettori indipendenti e intermedi rispetto alle “curve”. 
 
Resta poi il “fattore umano”: lui a tratti travolgente e pure simpatico (“ho un carattere migliore di Hillary”), ma anche chiaramente confuso e improvvisatore sui temi più delicati (un autogol la sua complicata e prolissa ricostruzione delle sue stesse posizioni sulla guerra in Iraq). Lei secchiona e apparentemente ineccepibile: e però, incapace di nascondere un’ambizione personale smisurata, una naturale propensione al potere, un’appartenenza indiscutibile all’establishment e alle élites odiate dalle classi medie americane.
 
Forse, dopo i primi venti minuti, quando lei sembrava alle corde sulla questione delle mail, Trump avrebbe potuto fare di più. E in quel momento la Clinton è stata brava, dal proprio punto di vista, ad attaccare Trump sulle sue aziende e sulle sue opache dichiarazioni dei redditi. Entrambi – dunque – sono parsi efficaci all’attacco, ma fragili in difesa.
 
Dopo di che, per chi ama l’America, resta da capire come i due possano pensare di governare da queste posizioni. Lui con i suoi toni, e lei con questa piattaforma ormai così “sandersiana”. Ma la sensazione è che fino all’8 di novembre non sia questa la preoccupazione dei due rivali. Peccato.
 
 
Ps
Non so chi abbia vinto il dibattito. Ho però un’idea su chi lo abbia perso: con l’eccezione del sempre equilibrato Maurizio Molinari, i veri sconfitti (anche) di questa notte sono alcune cosiddette “grandi firme” del giornalismo italiano, impegnate per tutto il dibattito a twittare compulsivamente pro-Hillary (e a ritwittarsi tra loro per farsi coraggio). Patetici. Saranno pure direttori, ex direttori e vicedirettori, ma sembrano bimbiminkia. Tifare o provare a capire?