Esteri

Due sessioni, vaccino cinese, golpe Myanmar, Taiwan. Pillole asiatiche

di Lorenzo Lamperti

La settimana della (geo)politica asiatica

Meno di un anno dopo, è di nuovo tempo di lianghui. Dopo che nel 2020 erano state rinviate di oltre due mesi (ne scrivevo qui in apertura e qui in chiusura), questa volta si torna al canonico mese di marzo per lo svolgimento delle cosiddette "due sessioni". Giovedì 4 marzo inizia la Conferenza politica consultiva del popolo cinese, con la partecipazione di circa 2200 delegati in rappresentanza di varie componenti della società cinese, compresi partiti non comunisti, associazioni di categoria e minoranze etniche: il suo compito è quello di formulare proposte da sottoporre al governo in varie materie, a partire da quelle economiche. Venerdì 5 marzo invece prende il via l'Assemblea nazionale del popolo, l'organo legislativo della Repubblica Popolare Cinese. I suoi circa tremila delegati approvano e varano le leggi e i piani di sviluppo economico preparati dal Partito comunista.

Le "due sessioni" si dovrebbero concludere rispettivamente mercoledì 10 e giovedì 11 marzo, mantenendo dunque la durata di una settimana già sperimentata nel 2020 a causa della pandemia. L'appuntamento di quest'anno è importante per una serie di ragioni. Nel 2021 si celebra, a luglio, il centenario del Partito comunista cinese. Solo pochi giorni fa Xi Jinping ha annunciato l'eliminazione della povertà assoluta, il principale obiettivo che era stato fissato durante le lianghui del 2020. La principale parola chiave del 2021 diventa dunque "prosperità". La Cina, appunto, diventa quest'anno società xiaokang ("moderatamente prospera"), che come ricorda Giulia Sciorati è uno stadio intermedio verso la realizzazione di una società datong ("armoniosa"), obiettivo ideale da raggiungere entro il 2049, centenario della Repubblica Popolare. O magari già nel 2035, orizzonte sul quale pare essersi fissata la visione politica di Xi (come raccontato al termine del V Plenum dello scorso ottobre). 

Non a caso il 2035 torna molto anche nelle dichiarazioni ufficiali e nei documenti di preparazione alla Conferenza consultiva del popolo. Sarà quello il respiro strategico del 14esimo piano quinquennale che verrà approvato nei prossimi giorni. Emergeranno dettagli sul programma economico, volto alla realizzazione di una "moderna società socialista". Ed ecco che si torna al concetto di "prosperità", che dovrà essere il più possibile allargata ed equilibrata. Nel discorso del premier Li Keqiang, così come nei documenti ufficiali, emergeranno gli squilibri di cui si è già parlato allo scorso plenum: quelli tra province costiere e province interne, ma anche quelli tra zone settentrionali e meridionali del paese. Un segnale di apertura in tal senso arriva dallo Jiangxi, la prima provincia del paese ad aver approvato una misura che consentirà alle famiglie che si trasferiscono in città di poter cambiare il proprio hukou, senza dover aspettare di soddisfare i requisiti necessari o essere sottoposti a restrizioni.

Come superare gli squilibri? Altre tre parole chiave da tenere d'occhio: sviluppo rurale (di cui si è parlato tantissimo già nelle scorse settimane, qui un pezzo di Vittoria Mazzieri), sviluppo sostenibile (con l'implementazione di tutta una serie di politiche "verdi") e, ovviamente, sviluppo tecnologico. Come noto, l'autosufficienza tecnologica (nonché quella agricola) è alla base delle visioni strategiche del Partito comunista da lungo tempo, anche per premunirsi di fronte alle burrascose relazioni con gli Stati Uniti, che almeno sulla materia resteranno tali anche con Joe Biden alla Casa Bianca. Centrale il tema di chip e semiconduttori, sul quale Pechino è ancora in ritardo rispetto a Washington e a Taiwan, mentre sul fronte terre rare (per restare in argomento tech) e del 5G è ancora in netto vantaggio. Sul fronte delle politiche ambientali, c'è da notare come negli ultimi cinque anni la Cina abbia ridotto di quasi il 19 per cento l'intensità carbonica, con in mente l'obiettivo di arrivare alla neutralità entro il 2060. Si passa anche attraverso l'integrazione delle province più interne e un'omologazione delle alterità identitarie, come nello Xinjiang (qui una inchiesta interattiva del New Yorker e qui un video da vedere di Simone Pieranni) o nel Tibet dove da una parte si spendono quasi 50 miliardi di dollari per lo sviluppo della rete ferroviaria e dell'altra si cerca sempre più di appiattire differenze etniche e culturali. Ma è sulla cooperazione vaccinale (ne parlo meglio sotto) e sull'eliminazione della povertà assoluta il partito fonda la sua retorica sui "diritti umani" (maggiori dettagli in proposito qui).

Tra gli obiettivi strategici annunciati allo scorso plenum c'era anche lo sviluppo sportivo, ma il governo deve fare i conti con una profonda crisi del calcio, testimoniata dalla cessazione delle attività dei campioni in carica del Jiangsu, società di proprietà di Suning (ne ho scritto qui).

Altri aspetti da monitorare. Primo: la probabile assenza di un target specifico di crescita del pil, come accaduto nel 2020. Nonostante il Covid, la Cina è riuscita comunque a crescere del 2,3 per cento grazie soprattutto alla tenuta delle esportazioni, sostenute dalla rimodulazione in chiave sanitaria della Via della Seta. L'invio e vendita di mascherine, tute protettive e respiratori ha consentito a Pechino di sostenere la sua produzione e insieme provare a rafforzare il suo soft power. Strategia che si sta ripetendo, su scala potenzialmente ancora maggiore, con la "diplomazia del vaccino" (ne ho scritto qui).

Secondo: la crescente presenza dello Stato, dunque del partito, nell'economia. La vicenda di Ant Group e Jack Ma ne è l'esempio più lampante: lo screening e il controllo sono destinati ad aumentare. Ci si aspetta che durante le "due sessioni" il leader di Tencent, Pony Ma, chiederà una governance più regolata del mondo digitale cinese. Il governo si muove anche sul fronte dei dati. Il governo controllerà anche lo sviluppo della moneta digitale cinese, con l'intenzione di espanderne la presenza a livello globale.

Terzo: l'ulteriore stretta su Hong Kong. Proprio durante le "due sessioni" del 2020 si era messa a punto la legge sulla sicurezza nazionale entrata poi in vigore dallo scorso luglio nell'ex colonia britannica. Stavolta si interviene, come ampiamente annunciato, sul sistema elettorale che di fatto lascerà spazio solo ai "patrioti" allineati alla leadership di Pechino escludendo l'opposizione. L'appuntamento politico di Pechino è stato tra l'altro anticipato da una nuova ondata di arresti e di condanne di attivisti e oppositori, che hanno portato al ritorno delle proteste. Al di là di alcune sporadiche rimostranze, comprese quelle del segretario di Stato americano Antony Blinken, appare ormai evidente che nessun attore esterno può interferire su quanto accade e accadrà a Hong Kong.  

Quarto: l'atteso incremento delle spese militari, che arriverà dopo un anno di rallentamento della crescita e soprattutto dopo che le tensioni nell'area sono aumentate. Innanzitutto su Taiwan, dove ormai ogni settimana si ripetono le esercitazioni dell'Esercito popolare di liberazione e i transiti di navi militari cinesi e statunitensi. Senza dimenticarsi la crescente militarizzazione del mar Cinese meridionale e del mar Cinese orientale, con la recente legge sulla guardia costiera di Pechino a cui ha risposto con disposizioni simili anche il Giappone, con il quale resta aperta la contesa sulle isole Senkaku/Diaoyu (a proposito delle quali si è registrata anche una gaffe del dipartimento di Difesa americano che si era schierato apertamente con le rivendicazioni territoriali nipponiche, salvo ritrattare). C'è poi la questione degli scontri al confine con l'India, anche se in quel caso la situazione sembra in miglioramento. 

Quinto: la presa di Xi sul partito. Dallo scorso Plenum il suo status è emerso ancora più rafforzato. Il coronavirus, frettolosamente da qualcuno descritto come un possibile "cigno nero" per la sua leadership durante le prime fasi epidemiche di Wuhan, si è rivelato un'opportunità per irrobustirla ancora di più. Il nuovo timoniere si appunterà due medaglie: la sconfitta del "demone" pandemico (la situazione sanitaria in Cina appare ampiamente sotto controllo da tempo) e, come detto, il "miracolo" dell'eliminazione della povertà assoluta. Di eredi all'orizzonte non se ne vedono e l'influenza di Xi sul Politburo potrebbe aumentare ancora di più al congresso del 2022, quello che con ogni probabilità sancirà il via al suo terzo mandato. Tra le figure in ascesa c'è Chen Yixin (di cui avevo scritto lo scorso luglio): qui un suo significativo intervento su storia e linea del partito.

Restano le divergenze, per usare un eufemismo, con gli Stati Uniti. La Casa Bianca continua a vedere in Pechino una "minaccia geopolitica". Biden non pare intenzionato a smussare l'approccio di Trump, quantomeno su tutta una serie di dossier. A partire da quello tecnologico, dove però ha dovuto incassare la proroga dell'accordo tra la ASML e la SMIC, principale realtà cinese in materia di semiconduttori. Al centro della strategia di Biden ci saranno non le truppe militari ma i chip, scrive Bloomberg. in seguito all'ordine esecutivo sui prodotti "essenziali" alla sicurezza nazionale (ne scrive qui Giulia Pompili). I passi avanti cinesi nel settore sono però ancora parziali. Si intensificherà anche la competizione in campo spaziale. La Cina ha annunciato di voler condurre oltre 40 lanci nel 2021, sopra i 39 del 2020, e sta lavorando per mandare un team di astronauti sulla luna.

Istituto Affari Internazionali e China Files hanno lanciato un osservatorio sulle relazioni tra Stati Uniti, Cina e Asia (primo focus qui). Sul tema ha scritto anche Francesco Costa (qui). A livello geografico, la competizione potrebbe concentrarsi in modo particolare sul Sud-est asiatico, scrive l'Economist, regione dove l'influenza cinese è più forte.

 

I VACCINI CINESI

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Nel mondo sono già 45 i paesi che hanno ricevuto e acquistato le dosi da Pechino. E questo nonostante gli studi sull’efficacia sono meno dettagliati rispetto ai vaccini sviluppati altrove. Ma la lentezza della distribuzione dei sieri occidentali, nonché i blocchi alle esportazioni, ne stanno aiutando la diffusione a livello globale, soprattutto in Paesi che hanno urgenza di approvvigionamento. La Cina punta ad accelerare la produzione e le esportazioni, conta di produrre due miliardi di dosi entro la fine del 2021 e punta a raddoppiare la cifra alla fine del prossimo anno, coprendo il 40% della domanda mondiale.

I vaccini cinesi sono esportati in Asia, Africa, America latina e ora anche Europa con l'Ungheria che è diventato il primo paese dell'Unione europea ad adottarne uno. Viktor Orban non ha atteso il via libera dell'Ema e si è fatto iniettare il siero di Sinopharm. Xi ne ha parlato anche con il presidente della Polonia Duda. I sieri ogni tanto sono utilizzati in modo poco trasparente. In Uganda, dove sono arrivate 4mila dosi destinate al solo utilizzo di cittadini cinesi, il ministro della Sanità ha smentito che il presidente Yoweri Museveni abbia ricevuto il vaccino.

La chiave utilizzata da Pechino sin dall’inizio è quella della “corsia preferenziale” e del multilateralismo. Sui media cinesi appaiono da diverso tempo molti articoli che criticano il “nazionalismo vaccinale” degli Stati Uniti e dell’Occidente, sottolineando al contrario la “responsabilità” di Pechino nel distribuire i suoi sieri senza nessuna preclusione. Un’opportunità geopolitica importante per Xi, che, come ha dimostrato nel suo recente discorso di Davos, tiene molto ad alimentare l’immagine di “potenza responsabile” della Cina e soprattutto di porla al centro della cooperazione sud-sud. Non dimentichiamo che, nonostante il recente annuncio sull’eliminazione della povertà assoluta, ufficialmente Pechino considera se stesso ancora un paese in via di sviluppo. Etichetta utile a mantenere stretto il legame con diversi stati, in primis quelli africani, fondamentali nelle varie votazioni presso gli organismi internazionali.

Molto più lenta invece la somministrazione interna dei vaccini, anche se l'obiettivo è quello di arrivare al 40 per cento della popolazione entro luglio.

Qui tutto raccontato nel dettaglio.

 

GOLPE IN MYANMAR E AUTORITARISMO A SUD-EST

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Sempre più grave la situazione in Myanmar. Solo nella giornata di mercoledì 3 marzo, secondo l'Onu ci sono stati 38 morti durante le manifestazioni. Tutte vittime della repressione sempre meno "controllata" dell'esercito e delle forze di polizia birmani (che utilizzano anche i social come TikTok per minacciare la popolazione). Una repressione che diventa anche tecnologica, come scrive Sabrina Moles, con l'aiuto di aziende straniere che bypassano le sanzioni: i dati degli utenti online e il tracciamento dei loro spostamenti permette di trovare i soggetti "pericolosi". 

Una foto che ritrae suor Ann Nu Thawng, della congregazione religiosa di San Francesco Saverio, è stata postata sui social dal cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon ed è diventata l'immagine simbolo delle manifestazioni.

Nel mirino anche chi racconta che cosa sta accadendo. Le autorità militari hanno incriminato un fotografo dell'agenzia Associated Press e cinque altri giornalisti per la loro copertura delle proteste anti-golpe. Sono stati incriminati in base a una legge che punisce chi "causa paura o diffonde notizie false", che prevede fino a tre anni di carcere.

I militari hanno intanto ufficialmente annullato i risultati delle elezioni dello scorso 8 novembre. Aung San Suu Kyi è riapparsa in videoconferenza durante la prima udienza del processo che la vede imputata per possesso illegale di walkie talkie e violazione delle norme sul distanziamento durante una manifestazione.

"Contro l'esercito birmano le Nazioni Unite devono prendere delle misure forti", ha dichiarato l'inviata dell'Onu per il Myanmar, Christine Schraner Burgener. Lo spazio per una soluzione pacifica sembra essere ormai tramontato, ma al momento i vicini asiatici, quelli che contano davvero in Myanmar, sono piuttosto timidi. Non solo la Cina, sempre nel mirino dei manifestanti per i sospetti che aleggiano (senza conferme) sul suo ruolo, ma anche il Giappone.

L'Asean si limita per ora a degli inviti. C'è chi pensa che possa mettere in discussione il suo principio di non interferenza negli affari interni degli stati membri, ma l'associazione al suo interno è spaccata. L'Indonesia spinge, come accaduto già in passato, per fare pressioni sul Tatmadaw ma stati autoritari dell'area non sono in grado di condannare la repressione militare. In primis la Thailandia, dove nel weekend sono tornate le proteste e con loro le violenze delle autorità.

“Se si aprono le finestre per fare entrare aria fresca, è necessario aspettarsi che entrino anche alcune mosche”. Parola di Deng Xiaoping. La celebre citazione del “piccolo timoniere” della Repubblica popolare, successore di Mao Zedong, viene considerata alla base dell’approccio cinese al mondo di Internet. Approccio che sembra essere preso a modello da diversi paesi del Sud-est asiatico. Myanmar e Thailandia, alle prese con le proteste, limitano le libertà digitali. Altri, come Cambogia e Vietnam, vogliono prevenire l'effetto domino e studiano da una parte una propria Great Firewall e dall'altra chiudono accordi coi social occidentali per eliminare i contenuti ritenuti "sovversivi". Ne ho scritto nel dettaglio qui.

Sul tema Myanmar, autoritarismo nel Sud-est asiatico e Milk Tea Alliance si consiglia l'ascolto della puntata del 2 marzo di Radio3 Mondo, condotta da Luigi Spinola, con gli interventi di Sara Perria e Francesco Radicioni.

 

Taiwan

Alle "due sessioni" potrebbero arrivare messaggi rivolti a Taiwan. Secondo East Asia Forum, però, Pechino non è ancora nella posizione di provare a riprendere l'isola con la forza. Come raccontato la scorsa settimana, nel frattempo Taiwan ha operato un rimpasto di governo. Il nuovo capo per gli affari della Cina continentale, Chiu Tai-san, è considerato un moderato, più pragmatico rispetto al predecessore. Pechino ha comunque reagito in maniera negativa, almeno a livello ufficiale. Ha assunto il suo incarico anche il nuovo ministro della Difesa, Chiu Kuo-cheng.

Il leader del Guomindang, Johnny Chiang, temporeggia sulla possibilità di incontrare Xi Jinping come avevano fatto in passato i suoi predecessori. Questo anche perché il partito di opposizione sta cercando di costruirsi una nuova identità.

Quattro ex ufficiali dell'intelligence taiwanesi sono accusati di aver fatto spionaggio a favore di Pechino. A un produttore cinematografico di Hong Kong è stato negato il visto per Taiwan a causa delle sue posizioni filocinesi.

L'ananas è nuovo motivo di scontro tra Taipei e Pechino. Il governo cinese ha introdotto un divieto di importazione degli ananas taiwanese, sostenendo il riscontro di una presenza di parassiti. 

Qualche problema in materia di semiconduttori, industria nella quale Taipei è indiscussa leader mondiale e sulla quale puntano molto gli Stati Uniti nella relazione bilaterale con il governo di Tsai Ing-wen. La siccità sta causando problemi a TSMC e agli altri produttori. C'è intanto chi inizia a interrogarsi sull'eccessiva dipendenza da Taiwan delle catene di approvvigionamento globali in materia di semiconduttori, come abbiamo visto anche nelle scorse settimane per l'industria automobilistica tedesca e francese.

La Lituania pensa di uscire dal meccanismo 17+1 e di aprire un ufficio di rappresentanza a Taipei.

Il re di eSwatini, l'unico stato africano rimasto a riconoscere Taiwan, ha ringraziato l'aiuto di Tsai nella sua guarigione dal Covid-19.

 

 

Giappone e Coree

Il presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, ha dichiarato che la sua amministrazione è pronta a confrontarsi con il Giappone per tentare di sanare la frattura diplomatica causata negli ultimi due anni dalla riemersione delle dispute storiche tra i due paesi. 

Un tema, quello delle relazioni trilaterali Usa-Giappone-Corea del sud, ha già dimostrato di tenere molto l'amministrazione Biden.

Nel frattempo, l'onda lunga del successo del contenimento del Covid e delle elezioni legislative di aprile 2020 si è esaurita. Il gradimento di Moon è in picchiata. A contribuire al calo il crollo delle nascite e il fallimento dei tentativi di rendere il prezzo degli immobili più accessibile.

Grattacapi giudiziari per il primo ministro giapponese Suga Yoshihide. Il figlio Seigo, dirigente della società di contenuti digitali Tohoku Shinsha Film Corp, sarebbe accusato di aver intrattenuto relazioni poco chiare e tentato di corrompere una vasta rete di rappresentanti e alti dirigenti ministeriali al fine di agevolare le concessioni all'azienda.

Fronti aperti tra Giappone e Cina: oltre alla questione Senkaku/Diaoyu, c'è il tema dei test Covid anali. Tokyo ha chiesto a Pechino di interrompere quelli sui suoi cittadini. Ora è ufficiale: Xi Jinping non svolgerà nessuna visita di Stato a Tokyo nel 2021. Inizialmente prevista per il 2020, la visita era stata prima rimandata e ora ufficialmente cancellata, anche per l'opposizione interna al partito Liberaldemocratico destinata ad aumentare ancora in un anno di elezioni generali.

Il Giappone spera di conquistare più spazio presso gli organismi internazionali.

 

Sud-est asiatico

Filippine. Rodrigo Duterte inizia a preparare la sua successione, che lui vede idealmente nelle mani della figlia, in vista delle presidenziali del 2022. Nel frattempo è tornato a mettere in discussione l'accordo militare con gli Usa, il Visiting Forces Agreement, e ha aperto le porte al vaccino cinese. La cooperazione con Pechino arriva anche nel campo delle telecomunicazioni.

Huawei rafforza la sua presenza in Malaysia con l'apertura di un laboratorio di cybersecurity.

Il Vietnam rafforza le sue difese strategiche nei confronti della Cina nelle isole Spratly.

 

Cina/mondo

India. Nel 2020 la Cina è stato il principale partner commerciale di Nuova Delhi, nonostante gli scontri militari al confine e il conseguente scontro commerciale. Huawei ribadisce il suo impegno nel paese indiano. Ma in India si continua a vedere lo spauracchio cinese un po' dappertutto: per esempio sui rifornimenti elettrici e su attacchi hacker.

Xi Jinping ha avuto colloqui con i leader di Kirghizistan e Tagikistan. Qui uno studio sull'influenza cinese in Asia centrale.

Sri Lanka. La concessione del porto di Hambantota, elevato a simbolo dalla retorica della "trappola del debito" sulla Belt and Road, potrebbe essere estesa a 198 anni.

Iran. Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha dichiarato che gli sviluppi inerenti il programma nucleare iraniano sono arrivati a un "punto critico" e la revoca delle sanzioni contro la Repubblica islamica è una delle "chiavi" per superare lo stallo.

Europa. Primi segnali di polemica sull'accordo sugli investimenti Cina/Ue siglato lo scorso 30 dicembre. I Paesi Bassi contro Pechino per la repressione degli uiguri.

America latina. Si estende l'influenza cinese nel continente anche grazie alla diplomazia del vaccino, che intanto raggiunga anche la Bolivia. Ma resta il nodo della pesca. Qui un'inchiesta sui legami tra Cina e Venezuela. Alla vigilia del ballottaggio presidenziale, Ecuador diviso tra Usa e Cina.

Pacifico. Un territorio acquistato da Kiribati alle Figi qualche anno fa sarà convertito in un hub produttivo con l'aiuto cinese. Kiribati, in posizione strategica a circa duemila chilometri da Honolulu e dalla sede del comando Pacifico Usa, è l'ultimo paese in ordine di tempo ad aver avviato rapporti diplomatici con Pechino rompendo quelli con Taiwan nell'autunno del 2019.

 

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