Esteri
La reazione isterica delle sinistre italiane ai dazi imposti da Trump
Sarebbe saggio che l'Unione Europea, anziché pensare al costoso riarmo dovrebbe, a nostro avviso, collaborare con gli Stati Uniti per la fine della guerra con Putin

Trump (Foto Lapresse)
La reazione isterica delle sinistre italiane ai dazi imposti da Trump
La reazione isterica delle sinistre italiane ai dazi imposti da Trump comportano un aumento delle preoccupazioni tra i lavoratori e i consumatori. Si tratta, però, probabilmente, di "propaganda del caos" per cercare di allontanare gli elettori da Giorgia Meloni e dal Centrodestra, perché, nei sondaggi mantengono sempre un indice di gradimento e di fiducia ampiamente superiore a quello del Pd e del Centrosinistra, sempre più perso in argomenti di scarso consenso ed interesse generale, quali la liason con i migranti e strutture annesse e connesse o la galassia arcobaleno.
Le decisioni del presidente Trump
Trump non ha menzionato Canada e Messico e non ha inserito Russia e Corea del Nord nella lista. La Cina ha subito la percentuale più alta, mentre la UE quella del 20%. Il Regno Unito, che è fuori dalla UE, ha ricevuto uno sconto pari alla metà, ovvero il 10%. L'impressione è che una UE a trazione franco-tedesca sia ampiamente malvista Oltreoceano, perché Macron e la stessa presidente Ursula Von der Leyen tengono posizioni bellicose verso la Federazione Russia, intralciando le trattative per una pace duratura ed equa in Ucraina.
Megan Cerullo è una reporter di New York che lavora per CBS MoneyWatch, che si occupa di piccole imprese, luoghi di lavoro, assistenza sanitaria, spesa dei consumatori e argomenti di finanza personale. Appare regolarmente su CBS News 24/7 per discutere delle sue materie. Un elemento fondamentale delle politiche commerciali protezionistiche, annunciate mercoledì scorso dal presidente Trump, ovvero un'ondata di tasse sulle importazioni da quasi tutto il mondo, chiamato da lui stesso "Giorno della Liberazione", è costituito dai cosiddetti dazi reciproci. "Ciò significa che li impongono a noi e noi li imponiamo a loro", ha detto Trump in conferenza stampa, ritenendo che questa politica commerciale possa essere una modalità utile alla produzione nazionale e a livellare il mercato con i paesi che impongono tariffe più alte sulle importazioni statunitensi rispetto a quelle che Washington applica loro. Alcuni economisti affermano che le tariffe "tit-for-tat" con i principali partner commerciali potrebbero sconvolgere il commercio globale ed ottenere la conseguenza dell' aumento dei costi per gli americani.
I dazi reciproci
Vediamo cosa siano i dazi reciproci con un esempio: se un paese imponesse un'imposta del 6% sulle scarpe prodotte in America, Trump tasserebbe le calzature di quella nazione con la medesima percentuale. Al momento, gli Stati Uniti e i suoi partner commerciali si applicano tra loro imposte diverse sugli stessi prodotti. La Germania, ad esempio, impone tariffe più elevate sui veicoli realizzati negli Stati Uniti rispetto a quelle applicate dagli USA per le importazioni delle auto tedesche.
"Reciproco significa che se un paese ha dazi doganali più elevati dei nostri su alcuni prodotti, li aumenteremo a loro stesso livello" - ha detto a CBS MoneyWatch Alex Jacquez, responsabile delle politiche e dell'advocacy presso Groundwork Collaborative, che è un think tank di sinistra, che si occupa di politiche pubbliche. "Ciò sarebbe amministrativamente molto complesso, date le migliaia di codici che determinano le aliquote tariffarie sui diversi prodotti" - rileva la reporter della CBS.
C' è chi sostiene che sia un pressing sulle nazioni per stimolare accordi commerciali
Altri economisti ritengono, invece, che l'obiettivo non sia quello di spingere le aziende a portare la loro produzione negli Stati Uniti o di generare entrate federali, quanto quello di fare pressione sulle altre nazioni affinché concludano accordi commerciali che siano graditi all'amministrazione Trump. Qualora l'intento si dimostrasse effettivamente questo, la premier italiana potrebbe avere ragione nel tranquillizzare il Paese, in vista di accordi che potrebbero iniziare con l'imminente visita del Vice-Presidente J.D. Vance a Palazzo Chigi. Rimane evidente che, poi, la questione vada estesa all'intera UE, ma pare non vi siano i presupposti per attivare trattative univoche, seppur la premier italiana abbia chiarito essere sua volontà coinvolgere l'Unione Europea. Con accordi differenziati? Così fosse, sarebbe la fine dell'UE.
La profezia di Tremonti sulla globalizzazione
Il Prof. Giulio Tremonti, attuale presidente della Commissione Esteri della Camera dei deputati ha detto a Milano Finanza che “la fine della globalizzazione è iniziata trent’anni fa e nel nuovo millennio è rimasta in piedi grazie alla finanza che in maniera artificiale ha tenuto in vita un cadavere». E' dal 1994 che sostiene il cambio di paradigma del mondo occidentale, dove “la finanza è arrivata a contare più delle persone e dei governi”. Tremonti indica una data precisa: gennaio 1995, quando col vertice di Marakesh si sancì la nascita dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, atto finale dell’Uruguay Round sul libero scambio e il libero commercio. Accordo che oggi viene messo in discussione da Trump e, ironia della sorte, impugnato dalla Cina, che ai dazi dell’inquilino della casa Bianca, ha risposto con la stessa moneta.
“Andò bene con la crisi dei mutui subprime, alla quale si rispose con la politica monetaria, oggi va peggio perché le banche centrali, a furia di stampare denaro, sono finite in perdita. Mai vista una banca centrale in perdita”, riflette Tremonti.
Uno dei più lucidi e illustri economisti italiani, come il Prof. Tremonti, ricorda di aver profetizzato questi eventi già nel 1994 con un saggio dal titolo emblematico: "Il Fantasma della povertà", che analizza il drastico passaggio dallo strapotere della finanza delle banche centrali al crollo delle certezze. Perché il bazooka di Mario Draghi, poi proseguito da Christine Lagarde in Bce, è durato troppo e non ha aiutato le classi povere ma ha dato soldi ai ricchi». Classi che ora, col rischio recessione e inflazione alle porte, rischiano di pagare il prezzo più alto sull’altare della deglobalizzazione.
Tremonti prosegue col suo ragionamento a Milano Finanza, ricordando: “Io proposi nel 2009 il Global Legal Standard, cioè una risposta alla crisi, con le regole; si è però scelta un’altra strada, lo Stability board e l’uso della finanza. L’indice della finanza mondiale nel 2012 era 1.000 oggi siamo a 6.000, una delle ragioni dei crolli di questi giorni sta tutta in questi numeri". Inoltre, sostiene: “la prova dello straniamento delle classi che governano sono le dichiarazioni della Commissione europea, che pare non rendersi conto di quello che accade: mi ricorda il governo di Chamberlain del 1940». Per inciso, quel governo inglese fu l’esecutivo che sottovalutò la volontà di dominio sull’Europa di Adolf Hitler nonostante lo scoppio della seconda guerra mondiale».
Aspettiamo la risposta di Von der Leyen
a Casa Bianca ha già annunciato tariffe specifiche per ogni paese, calibrate sul loro squilibrio commerciale con gli Stati Uniti. Dunque vedremo quale sarà la risposta di Von der Leyen, perché la percezione è che il governo italiano possa, ipoteticamente, accettare questo tipo di impostazione. "Probabilmente elaboreranno un'aliquota mista che non sarà reciproca per prodotto, ma sarà reciproca dicendo che le loro tariffe sono in media più alte del 10% rispetto alle nostre, quindi imporremo una tariffa del 10% su tutti i beni" - ha affermato Jacquez, che, in precedenza, ha lavorato come analista economico nell'amministrazione Biden. Questo approccio potrebbe portare gli Stati Uniti a tassare i prodotti di altre nazioni a un'aliquota molto diversa dalla nostra.
"Colpirà molti prodotti in modo molto diverso in modo approssimativo, perché sarebbe bilanciato per paese ma non per importazione o esportazione", ha detto Jacquez. "È lì che sorgeranno complicazioni e potremmo vedere uno scenario in cui i paesi si vendicheranno di noi".
I funzionari dell'amministrazione Trump hanno individuato un gruppo di nazioni che hanno soprannominato "Dirty 15", in riferimento al 15% dei paesi che saranno più colpiti dai nuovi dazi reciproci, visto il loro surplus commerciale con gli Stati Uniti.
Quelle nazioni rappresentano "una grossa parte del nostro volume di scambi", ha detto il Segretario del Tesoro degli Stati Uniti Scott Bessent a Maria Bartiromo di Fox News il 18 marzo, senza nominare i partner commerciali. Anche il Direttore del National Economic Council Kevin Hassett ha detto a Fox News che la Casa Bianca sta prendendo di mira 10-15 nazioni con il più grande surplus commerciale con gli Stati Uniti. Come Bessent, anche lui si è astenuto dal nominare quelle nazioni.
Simon MacAdam, vice capo economista globale di Capital Economics, pensa che i probabili obiettivi includano i principali partner commerciali degli Stati Uniti come Cina, Unione Europea e Vietnam. Nel 2024, i maggiori deficit commerciali degli Stati Uniti in tutto il mondo, ovvero i paesi da cui gli Stati Uniti importano più di quanto esportino, sono stati con le seguenti nazioni, secondo i dati federali :
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Cina (295,4 miliardi di dollari)
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Unione Europea (235,6 miliardi di dollari)
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Messico (171,8 miliardi di dollari)
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Vietnam (123,5 miliardi di dollari)
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Irlanda (86,7 miliardi di dollari)
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Germania (84,8 miliardi di dollari)
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Taiwan (73,9 miliardi di dollari)
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Giappone (68,5 miliardi di dollari)
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Corea del Sud (66 miliardi di dollari)
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Canada (63,3 miliardi di dollari)
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India (45,7 miliardi di dollari)
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Thailandia (45,6 miliardi di dollari)
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Italia (44 miliardi di dollari)
Secondo gli esperti, è più certo che i dazi reciproci comporterebbero costi aggiuntivi per le aziende statunitensi, il che a sua volta aumenterebbe probabilmente i prezzi al consumo, poiché le aziende cercherebbero di proteggere i propri margini di profitto.
L'effetto inflazione in Usa per ora non è calcolabile
Quanto potrebbero aumentare i prezzi resta poco chiaro. Nel frattempo, i prezzi potrebbero scendere, se, in seguito, il Presidente Trump abbassasse o togliesse le tariffe reciproche, in seguito a negoziati commerciali. Sarebbe saggio che l'Unione Europea, anziché pensare al costoso riarmo dovrebbe, a nostro avviso, collaborare con gli Stati Uniti per la fine della guerra con Putin e intavolare immediatamente delle trattative sulle imposizioni fiscali di Trump.