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Esteri
Soleimani, troppi parlano a vanvera. Sbagliato citare i 'venti di guerra'

 

Non sono un esperto di Medio Oriente ma un po’ lo sono di contraddizioni. Nel senso che se Tizio dice bianco e Caio dice nero, io ci vedo una differenza. Armato di questo straordinario strumento di superiore intelligenza, ho ascoltato la sesquipedale Rassegna Stampa di Radioradicale (stamani affidata a Marco Taradash) durata largamente oltre un’ora e mezza, e in gran parte dedicata all’“omicidio mirato” del generale iraniano Soleimani. A parte la noia, che ogni tanto mi ha costretto ad accorgermi che avevo “staccato la spina” mentale, ho dovuto notare parecchie contraddizioni, nei commenti dei giornali. Fino ad arrivare alla sconsolata conclusione che io rimango un non esperto della materia, ma i giornali che potrebbero erudirmi spesso non ne sanno più di me.

Innanzi tutto ho notato parecchi errori di metodo. Non ci si può occupare di un problema del genere senza conoscere i fatti, gli antefatti e le implicazioni. E se questi non sono disponibili, o sono troppo complicati per riferirli in un articolo, ci si può almeno astenere dalle affermazioni altisonanti, reboanti e disinvolte. Se non sei in grado di giudicare, e se nessuno ti obbliga a giudicare, astieniti dal giudicare.

E invece, nei commenti, si nota spesso che la base del giudizio è morale. È vero che quel generale è stato incluso in una lista ufficiale di terroristi – non ricordo più quale sia – ma questo non autorizza – né moralmente, né politicamente - la sua soppressione, perché chi compila la lista ha spesso i suoi bravi interessi. Parecchi gerarchi nazisti meritavano effettivamente la condanna a morte loro inflitta nel Processo di Norimberga, ma la meritava anche il generale Harris, inglese, che ordinò l’orrendo massacro di Dresda, e a cui invece gli inglesi hanno elevato un monumento. E allora, tutti giustificati o tutti ingiustificati, moralmente, gli omicidi mirati di supposti terroristi? La domanda è mal posta. In questo campo, non si cercano giustificazioni. Ognuno fa quel che gli conviene. Il terrorismo è una forma di guerra e la controparte, considerandosi in guerra, agisce di conseguenza.

Un secondo, imperdonabile errore è quello di giudicare la politica internazionale di una grande potenza col metro di un alterco di cortile. Affermare che Trump ha reagito d’impulso, senza riflettere sulle possibili conseguenze, è da cretini. Nessuno esclude che anche le decisioni più importanti possano essere state prese da incoscienti che agiscono prima di pensare, ma prima di sostenerlo bisogna averne le prove. Non si può dare come certezza una propria impressione, questo è parlare a vanvera. “Siccome Trump mi è antipatico, sono certo che ha agito senza riflettere”. Un atteggiamento del genere qualifica chi ce l’ha, non Trump.

Altro limite difficile da sopportare, il legalismo. Poiché il generale Soleimani e la sua scorta erano iraniani, e sono stati uccisi su suolo irakeno da americani, c’è chi parla di violazione del diritto internazionale, e della sovranità irakena. Dimenticando che la sovranità in primo luogo è la conseguenza dell’indipendenza economica e militare, che l’Iraq non ha. In secondo luogo, dimenticando che l’Iraq ha perso la guerra contro gli Stati Uniti, e dunque sarà sovrano se e quando gli Stati Uniti lo decideranno. L’Italia, sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, è stata di nuovo sovrana un paio di lustri dopo; la Romania, a seguito della stessa guerra, è stata soggetta all’Unione Sovietica fino alla caduta di Ceausescu, nel 1989, quarantaquattro anni dopo. E la stessa sorte hanno avuto anche Stati che, almeno formalmente, la guerra l’avevano vinta, come la Polonia. E poi, uno Stato decente protegge le ambasciate dei Paesi con cui ha rapporti diplomatici. Se Baghdad non è in grado di proteggere l’ambasciata americana, l’America ha mano libera per difendersi da sé.

A proposito di parlare a vanvera, va anche citato il tanto accennare a presunti “venti di guerra”. Ignorando che a volte le guerre non scoppiano perché i protagonisti siano pacifisti, ma semplicemente perché non hanno la possibilità di farsi guerra. Non soltanto l’Iran è infinitamente meno forte degli Stati Uniti, militarmente, ma gli Stati Uniti sono al di là dell’intera Europa e dell’intero Oceano Atlantico. Dunque Teheran potrà compiere attentati terroristici contro persone e installazioni americane nel mondo, ma questa non si chiama guerra.

Corrispondentemente gli Stati Uniti potrebbero far guerra all’Iran e magari invaderlo, ma poi? E quanto gli costerebbe? L’Iran non è l’Afghanistan, ha una storia e un orgoglio millenari, e dal momento che, a conclusione dell’occupazione, si sarebbe al punto di prima, tanto vale neanche cominciarla. E allora, una guerra soltanto per impedirgli di avere l’atomica? Neanche questo è possibile, perché le installazioni sono invulnerabili, nel cuore delle montagne. Pesanti sanzioni? Perché no? Ma gli Stati Uniti le hanno già inflitte e l’Iran ne soffre molto. Ma non si chiama guerra. Insomma, anche se possono aversi attacchi e rappresaglie più o meno gravi, la guerra fra Stati Uniti e Iran è tecnicamente impossibile. Il peggio che potrebbe avvenire, se proprio gli iraniani esagerassero, per esempio affondando petroliere in transito nello Stretto di Ormuz, è che l’aviazione americana distrugga letteralmente il porto di Abadan e altre azioni del genere, magari facendo al passaggio alcune migliaia di morti civili. I vecchi ricordano ancora i bombardamenti americani durante la Seconda Guerra Mondiale. Non si dimentichi il loro totale dominio del cielo.

Guerra fra Israele e Iran? Piacerebbe molto ad ambedue. Ma se gli Stati Uniti non possono imporre la loro volontà all’Iran, figurarsi Israele. E, quanto ad un attacco mortale dell’Iran contro Israele, è certamente possibile, ma sarebbe mortale anche per l’Iran. Come detto altre volte, l’Iran potrebbe ammazzare in un sol colpo tutti gli abitanti d’Israele, facciamo sei milioni di persone, ma Israele potrebbe uccidere in un sol colpo tutti gli abitanti di Teheran, diciamo trenta milioni di persone, cinque volte tanto. Sono numeri con cui non scherzare. Si chiama “equilibrio del terrore”, ed ha preservato la pace lungo i trenta e passa anni della “guerra fredda”.

Insomma, l’unico problema che varrebbe la pena di dibattere non è se Soleimani meritasse la morte (probabilmente sì, ma non è questo il punto) ma se questo atto sarà profittevole a Washington o a chi altri. Una cosa è certa: con Carter, e perfino con Obama, gli Ayatollah possono aver pensato di giocare sul sicuro, posti anche gli scrupoli di vario genere che trattenevano quei due Presidenti. Con Trump sanno che nemmeno la loro personale vita è al sicuro. E questo non è un atout trascurabile.

Comunque, il giudizio su simili fatti – che vanno dall’insignificante allo sparo di Sarajevo – lo dà in fin dei conti la storia, quando si posa il polverone.

giannipardo1@gmail.com

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