Esteri

Tra Cina, Africa e Turchia: i possibili sviluppi futuri dei BRICS

di Marco Bonaglia e Stefano Devecchi Bellini

THE RISE OF THE REST - Alcuni anni fa è stato pubblicato negli Stati Uniti da Fareed Zakaria un saggio dal titolo “The Post-American World”. Se lo si legge con attenzione si può notare come l’autore non utilizzi il termine “West” per indicare il polo di maggior influenza globale (sostituito da “American”), ma anche come al suo interno ami citare la parola “rest” per indicare, nella sua semplicità e immediatezza, una massa indefinita di Paesi in crescita a livello internazionale. Di quel gruppo cinque tra gli “emergenti” principali negli ultimi anni hanno deciso di istituzionalizzare la propria collaborazione, creando nel 2009 il gruppo dei BRIC, composto inizialmente da Brasile, Russia, India e Cina, al quale si è aggiunta l’anno successivo la S del Sud Africa. Da allora i “5” si sono incontrati ogni anno e hanno sviluppato una serie variegata e complessa di istituzioni, considerata da alcuni analisti, come ad esempio Elizabeth Sidiropoulos, “alternativa” a quella Occidentale, e in prospettiva capace di cambiare gli equilibri internazionali. Oltre al summit annuale essi hanno costituito la “New Development Bank”, con sede a Shanghai, mentre dal 2017 è stata avanzata la proposta di un ulteriore allargamento del gruppo, andando in prospettiva a creare i “Brics Plus”.

I BRICS rappresentano, secondo i dati del World Economic Forum, il 16% del commercio, il 23% del GDP e il 40% della popolazione mondiali. Ognuno di essi è poi un leader nelle rispettive aree di influenza regionali: la Cina in Asia orientale e nei rapporti con l’ASEAN, l’India in Asia meridionale, la Russia in Asia Centrale, il Sud Africa nel contesto dell’Unione Africana e il Brasile in America Latina. Cina e Russia fanno parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Se quindi la discussione sulla transizione da un mondo unipolare a multipolare può risultare stucchevole e interessare pochi appassionati, è interessante invece analizzare i risultati dell’ultimo incontro tra i Capi di Stato dei membri dei BRICS.

IL SUMMIT IN SUDAFRICA- Quest’anno il summit si è tenuto a Johannesburg, città più popolosa del Sud Africa, dal 25 al 27 luglio. Esso ha rappresentato un punto di svolta, non solo perché è stato il decimo tra i Paesi membri, chiudendo il secondo ciclo di incontri e sancendo l’ingresso dell’associazione nella sua “seconda decade”, ma anche perché ha consolidato e intensificato la collaborazione intra-BRICS, e infine ha confermando l’interesse dei “5” al possibile allargamento ad altri Paesi della partnership. In questo senso sarà interessante seguire gli sviluppi delle relazioni con la Turchia di Erdogan. La dichiarazione rilasciata al termine del meeting, dal titolo “Brics in Africa: collaboration for inclusive growth and shared prosperity in the 4th Industrial revolution”, è divisa in 4 parti principali, successive a un preambolo introduttivo. Essa tratta i temi centrali del multilateralismo, della riforma della governance globale, della sicurezza e della pace internazionale, ma anche quello della quarta rivoluzione industriale e della collaborazione “people to people”.

Secondo Oliver Stankel il meeting sudafricano ha rafforzato i BRICS per diversi motivi. Innanzitutto i “5” hanno mostrato compattezza quando si è parlato di libero commercio, lanciando un messaggio a Donald Trump. Il gruppo ha cercato di porsi come guardiano dell’ordine commerciale attuale, abbracciando la globalizzazione e riconoscendo il bisogno di agire contro il “climate change” (altro tema che Trump ha mostrato di non amare particolarmente). Il fatto che la Cina sia il membro più influente del gruppo ha messo naturalmente in secondo piano le altresì pratiche commerciali “poco corrette” del gigante asiatico, facendo guadagnare a Xi Jinping ulteriore visibilità internazionale per presentarsi come alfiere e difensore del libero commercio e della globalizzazione. Il meeting di Johannesburg ha poi evidenziato come la collaborazione tra i BRICS negli ultimi anni (in particolare dal meeting di Fortaleza in Brasile del 2014) sia incrementata in modo significativo, spaziando tra i temi dell’agricoltura, sicurezza nazionale, sanità, finanza internazionale, cultura, sport, e abbia creato un format di successo che riunisce Ministri, Capi di Stato, ricercatori di Paesi molto distanti tra loro, non solo geograficamente. E’ sufficiente uno sguardo alla lista degli incontri svolti nel 2018 per rimanere stupiti dalla varietà e ampiezza dei temi trattati. Il meeting del 2018 ha posto l’attenzione inoltre sulla “quarta rivoluzione industriale” in atto, portando alla creazione della “Partnership on New industrial Revolution”, al “BRICS Network of Science Parks, Technology Business Incubators and Small and Medium-sized enterprises”, e a un Memorandum per la collaborazione nell’ambito della tecnologia “blockchain” e della digital economy.

I BRICS PLUS E GLI SVILUPPI AFRICANI- Uno dei contributi più interessanti del vertice di Johannesburg alle relazioni internazionali è sicuramente dato dalla la continuità mostrata (rispetto al vertice di Xiamen nello scorso anno) nei confronti del format dei cosiddetti “BRICS Plus”, composto dai “5” con l’aggiunta quest’anno di Paesi guida di Istituzioni regionali. Se in Cina erano stati invitati a partecipare al summit come osservatori Egitto, Kenya, Tagikistan, Messico e Thailandia, in Sudafrica sono stati invitati Argentina (in quanto Paese ospitante a fine anno del G20 e uno dei leader del MERCOSUR), Indonesia (co-chair della “New Africa-Asia strategic partnership e membro influente dell’ASEAN), Egitto (Paese al momento a capo del Gruppo dei 77 all’ONU), Jamaica (Chair della “Caribbean Community) e Turchia (come chair della OIC, Organizzazione della Cooperazione Islamica).

LA TURCHIA DI ERDOGAN- Nel caso in particolare della Turchia ha attirato l’attenzione dei media internazionali la forte presa di posizione del Presidente Erdogan, rieletto lo scorso 24 giugno e protagonista negli ultimi anni di una riposizionamento delle propria politica estera verso l’Eurasia: Erdogan ha chiesto pubblicamente l’ingresso del proprio Paese nel gruppo dei BRICS. Secondo Altay Atli la Turchia mostra interesse verso i “5” e può beneficiare della relazione per diversi motivi: può migliorare la propria competitività sui mercati internazionali ancorandosi a un gruppo dinamico economicamente come quello dei “5” e diversificando i mercati in cui esportare le proprie merci, e al contempo è capace di avvicinarsi a un gruppo che mette in discussione il sistema internazionale corrente, ponendo delle alternative in ambito politico, economico e finanziario, senza tuttavia sganciarsi dall’Occidente, al quale è legata da importanti e prolungate relazioni militari, commerciali e politiche. Il vero obiettivo di Erdogan si proietta però nel medio-lungo periodo: avendo cementato a livello interno il proprio consenso, vorrebbe rendere la Turchia un player globale, capace di giocare nello scacchiere internazionale su diversi fronti, siano essi quello occidentale, africano, russo, asiatico. Se la Turchia entrasse a far parte dei BRICS potrebbe essere inoltre l’unico Paese membro della NATO del gruppo, e si avvicinerebbe al contempo a Paesi molto più simili dal punto di vista politico, come Cina e Russia. Sarà interessante quindi seguire gli sviluppi futuri dei BRICS e di un loro possibile allargamento e per quanto riguarda la Turchia in particolare, quali possano essere le conseguenze della crisi delle ultime settimane.