Esteri

Trump, prosegue la sceneggiata italiana di establishment e mainstream-media

Trump sta innescando in Italia reazioni meritevoli di indagine quasi psicanalitica nell'establishment e nei mainstream-media

Di Daniele Capezzone

Ho avuto ieri il piacere di partecipare alla bella conferenza indetta da "Usa-Italy", una neonata associazione di amicizia tra Italia e Stati Uniti, animata da giovani promotori (Andrea Cuccu, Fabio Van Loon, Mirko Giordani) che non hanno obiettivi di parte, desiderano formare giovani in uno spirito di bipartisanship, puntando non solo sull'interscambio culturale, ma su un dialogo politico diretto tra i giovani italiani e i gruppi giovanili dei partiti Usa (repubblicani, democratici, libertari). 
 
Mi è capitato di pensare - mentre li ascoltavo - a quanto siano necessarie iniziative di questo tipo, nel tentativo di aprire spazi non contaminati dal pregiudizio, non prigionieri del "bias" che da troppo tempo accompagna il "racconto" in Italia di ciò che accade politicamente in America. In bocca al lupo, dunque!
 
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In effetti, il complesso della vicenda Trump sta innescando in Italia reazioni meritevoli di indagine quasi psicanalitica nell'establishment e nei mainstream-media, tra negazioni/rimozioni ormai patologiche e strategie di adattamento/aggiustamento della verità che appaiono addirittura comiche, da parte degli stessi soggetti che sono per il resto della giornata in trincea contro quelle che chiamano "fake news".
 
Già i lunghi mesi della campagna elettorale erano stati devastanti: la certezza del successo della Clinton ("che ha vinto i dibattiti", affermavano tetragoni i nostri "esperti") aveva annebbiato le menti dell'"inviato collettivo", con eccezioni conteggiabili su poche dita di una sola mano di un grande mutilato. 
 
Lo ripeto ancora: non si trattava di fare il tifo per Trump, i cui limiti erano evidenti e visibili, ma di considerare la realtà in modo onesto, senza pregiudizi, senza la prevenzione tipica di chi vuole autoattribuirsi una doppia superiorità, morale e culturale.
 
In ogni caso, come si sa, Trump ha vinto. I nostri "esperti" sono stati costretti ad arrampicarsi sugli specchi del voto popolare, della California per Hillary, e altri diversivi del genere. 
 
Poi, in loro soccorso, era giunto il mezzo pasticcio del "travel ban", effettivamente gestito non brillantemente dall'Amministrazione Trump, specie in prima battuta. E allora, nei commenti, nei talk-show, nelle corrispondenze (non solo quelle della Botteri, sia chiaro: troppo facile sparare sulla Croce Rossa!), c'era come un senso di "ritrovata giustizia", di "tempo galantuomo". Era come se i nostri esperti dicessero: "Avete visto? Non ci eravamo sbagliati...Era proprio un cialtrone, e i fatti stanno lì a dimostrarlo. Noi avevamo capito tutto, come sempre".
 
Ora, purtroppo per gli esperti, la situazione si è di nuovo fatta interessante per Trump, per ragioni sia di politica estera che di politica interna. 
 
E allora che si fa? 
 
Reazione numero 1: negare, attutire, confondere il doppio successo geopolitico del lancio di missili in Siria e della pressione forte sulla Corea del Nord. A chiunque abbia onestà intellettuale, appare chiaro che Trump, oltre ad aver fatto due volte la cosa giusta, abbia anche messo in una condizione scomoda (negli otto anni di Obama non era mai accaduto) sia la Russia che la Cina, restaurando una centralità americana e occidentale.
 
Reazione numero 2: cercare sempre nella quotidianità politica americana un elemento diversivo, una notizia "distraente" (questa mattina, la questione è il muro di Trump), possibilmente da presentare come cronaca semi-surreale, paradossale, grottesca, per meglio non discutere delle questioni di sostanza. 
 
Reazione numero 3: creare caos intorno alla riforma fiscale di Trump (che abbasserà la tassazione sulle imprese al 15%, e potrebbe aver un impatto non lontano dai primi megatagli fiscali reaganiani), alimentare dubbi, complicare le cose. Da qui, io mi permetto di suggerire un criterio di giudizio: la riforma ha il giudizio positivo di Arthur Laffer (quello della "curva", per capirci). Meglio credere a lui o all'inviato collettivo? Personalmente, tenderei a non avere dubbi. E voi?