Esteri
Ucraina? L'Ue assume un ruolo da mediatrice. L'accordo con Trump per le terre rare una garanzia per Kiev
Per Alessandro Bertoldi, direttore esecutivo dell'Istituto Milton Friedamn ed esperto di geopolitica, le sorti del conflitto in Ucraina e il raggiungimento della pace "dipendono dalla nostra capacità di mediare e non di militarizzare". L'intervista

Alessandro Bertoldi in esclusiva: le sfide geopolitiche dell'Europa, il conflitto in Ucraina e le posizioni dell'Amministrazione Trump
In un'intervista esclusiva ad Alessandro Bertoldi, Direttore Esecutivo dell'Istituto Milton Friedman ed esperto di geopolitica, sono stati analizzati i principali temi di attualità internazionale, con particolare attenzione alla guerra in Ucraina, alla nuova linea dell’Amministrazione Trump e al ruolo dell'Europa nel contesto globale
Direttore Bertoldi, quali sono, secondo lei, le priorità per l’Europa in questo momento storico?
"Le priorità dovrebbero essere chiare: rafforzare la nostra sicurezza in generale, avere una voce unica che rappresenti la volontà popolare, deregolamentare il mercato interno, abbassare le tasse per essere attrattivi, investire nella diplomazia per risolvere i conflitti, incentivare la crescita e proteggere la stabilità economica. Sin dall’inizio del conflitto ho sostenuto che l’Europa, pur condannando giustamente l’invasione russa, avrebbe dovuto assumere il ruolo di mediatore per favorire una soluzione negoziata. Abbiamo delle responsabilità, abbiamo sempre sottovalutato quello che succedeva in Ucraina, pensando solo a sostenere i movimenti europeisti senza capire le profonde divisioni interne e le problematiche relative alle minoranze ed ai due nazionalismi coesistenti. Dobbiamo sostenere l’Ucraina, sì, ma in modo responsabile, evitando di trasformarci in un attore bellico diretto come siamo quasi diventati. La pace in Europa dipende dalla nostra capacità di mediare, non di militarizzare, e di costruire un futuro in cui la fiducia, non la paura, guidi le nostre scelte. Possiamo e dobbiamo fare di più per la pace, non incentivare la guerra, anche perché gli ucraini sono ormai stremati dal conflitto e l’unica opzione che ci resterà tra poco senza un accordo, sarà inviare i nostri soldati, entrando così ufficialmente in una terza guerra mondiale", ha dichiarato Alessandro Bertoldi, Direttore Esecutivo dell'Istituto Milton Friedman e esperto di geopolitica
Come vede il ruolo dell’Europa in questo conflitto, specialmente oggi considerando le recenti posizioni dell’amministrazione Trump?
"L’Europa deve ripensare completamente il suo ruolo o rischia di diventare irrilevante sul piano geopolitico. Oggi sta dimostrando di non esistere. Condannare l’invasione russa dell’Ucraina senza alcuna esitazione era nostro dovere, ma la politica europea non doveva trasformarsi in quella di un tifoso, mero finanziatore e fornitore di armi per una parte in conflitto, specialmente utilizzando le risorse dei contribuenti europei, che già affrontano crescenti difficoltà economiche. Questo approccio è ideologico, non è sostenibile e rischia di trascinare l’Europa in un conflitto prolungato senza una chiara strategia di uscita. Dovremmo invece assumere un ruolo di mediatore, lavorando attivamente per favorire un accordo di pace che rispetti per quanto possibile la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma che allo stesso tempo riconosca la necessità di una soluzione negoziata per evitare ulteriori distruzioni e perdite umane. Non siamo mai stati imparziali e mai lo saremo, basti pensare che quando a violare i diritti delle minoranze russofone nel Paese era proprio Kiev non abbiamo detto nulla e dopo gli accordi di Minsk non ci siamo più occupati del problema. Ero in Crimea e poi in Donbass già nel 2014 e lo sforzo occidentale fu totalmente insufficiente per evitare l’escalation che c’è stata".
"Ora è necessario uno sforzo diverso. L’approccio di Donald Trump è certamente burbero e poco diplomatico, non si umilia un omologo, ma é molto pragmatico e guarda a una soluzione reale: un accordo di pace con la Russia. Anche se le sue posizioni possono essere controverse, il suo tentativo di dialogare direttamente con Mosca per fermare il conflitto è un segnale che merita attenzione e supporto. L’Europa dovrebbe collaborare con questa iniziativa, piuttosto che ostacolarla o continuare a seguire una linea partigiana e poco chiara e che, di fatto, perpetua la guerra senza offrire una via d’uscita comprensibile".
Non teme che un accordo con la Russia possa lasciare l’Ucraina vulnerabile o premiare l’aggressore?
"Non credo, perché in tutti i casi saremo presenti nel Paese e i russi non potranno attaccare proprio perché saremo lì a lavorare alla ricostruzione. In ogni caso qualsiasi accordo deve garantire la sicurezza e l’indipendenza dell’Ucraina, ma già la concessione dello sfruttamento minerario agli USA avrebbe rappresentato una garanzia di sicurezza per Kiev. Gli USA avrebbero continuato a difendere l’Ucraina per tutelare i loro interessi nel Paese, è strano Zelensky non l’abbia capito. Tuttavia, prolungare un conflitto armato, finanziandolo con le limitate risorse europee e rischiando un’escalation incontrollata, non è una soluzione praticabile. Speriamo Trump e Zelensky si incontrino presto e trovino un accordo. La pace non sarà perfetta, ma è preferibile a una guerra che sta devastando un’intera regione e prosciugando le economie europee. L’Europa dovrebbe investire nella diplomazia, non nel prolungamento del conflitto, e lavorare per un equilibrio che protegga sia l’Ucraina che la stabilità del nostro continente".
Alcuni Paesi europei, come Estonia o Polonia, continuano a sostenere la confisca dei beni privati di individui sanzionati per finanziare i costi della guerra. Cosa ne pensa?
"Sono fermamente e categoricamente contrario alla confisca totale dei beni privati di individui sanzionati, lo abbiamo detto anche come Istituto Friedman e continueremo a dirlo. Questa misura è un’azione gravemente ingiusta, che ricorda i peggiori espropri sovietici, e rappresenta una violazione diretta dei diritti fondamentali, del diritto di proprietà e dello Stato di diritto. Confiscare i beni privati di individui é criminale, tanto più se avviene senza nemmeno un processo giudiziario inequivocabile e una base legale solida. Non solo è giuridicamente inaccettabile, ma moralmente deprecabile in tutti i casi, e va a creare un precedente devastante che mina la fiducia dei mercati nei nostri confronti. Chi investirebbe in un sistema che può, a sua discrezione, espropriare i beni di chiunque venga politicamente etichettato come “nemico”? Questo genera una sfiducia profonda e irreversibile, allontanando i potenziali investitori futuri da chi adotta tali pratiche, con conseguenze economiche catastrofiche per l’Europa stessa, oltre a esporci a ritorsioni da parte di chi si sente ingiustamente colpito".
La loro vicinanza al regime di Mosca non è un motivo sufficiente per prendere i loro beni?
"Assolutamente no, la proprietà privata è sacra e questo non è nemmeno un motivo considerando che alcuni di loro sono persino in constatato con Putin. Inoltre, dobbiamo considerare che molti di questi individui sanzionati non hanno alcuna responsabilità diretta nella guerra in Ucraina. Andrebbe fatta una radicale distinzione, ma in tutti i casi gli espropri non avranno mai legittimità giuridica e morale. Sono privati, imprenditori, professionisti, artisti, che, pur essendo stati colpiti da sanzioni per motivi politici o economici, non c’entrano nulla con le decisioni o le azioni che hanno portato al conflitto. Dovrebbero essere già stati rimossi da tempo dalla lista dei sanzionati. Questi individui hanno già pagato un prezzo altissimo, subendo sanzioni personali, isolamento sociale ed economico, e la perdita di opportunità, pur non avendo alcuna colpa per l’invasione".
"Alcuni di loro, tra l’altro, hanno contribuito enormemente ai nostri Paesi, attraverso investimenti economici che hanno creato posti di lavoro, scambi culturali che hanno arricchito le nostre società, e iniziative filantropiche che hanno sostenuto le comunità europee. Punirli ulteriormente con una confisca totale è non solo ingiusto, ma anche controproducente per l’Europa, che rischia di alienarsi persone che, in futuro, potrebbero anche tornare ad essere partner preziosi".
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