Esteri

Usa 2016, perché Trump è un sottoprodotto italico

Secondo Mark Thompson del New York Times l’ascesa del candidato presidenziale Usa Donald Trump si deve agli italici

Di Dom Serafini
 
Secondo Mark Thompson, presidente del gruppo editoriale “The New York Times”, si deve l’ascesa del candidato presidenziale Usa Donald Trump agli italici. Italici e non italiani perché Thompson, un inglese ex capo della Bbc trapiantato a New York, comincia ad indicare Giulio Cesare come colui che aveva popolarizzato frasi corte ed orecchiabili del tipo “Veni, vidi, vici”, poi continua con Silvio Berlusconi ed infine Beppe Grillo.

Naturalmente, Thompson non é il primo a paragonare Trump a Berlusconi. Prima di lui c'é stato Alexander Stille, in un articolo per “The Intercept” (Donald Trump, America’s own Silvio Berlusconi), e lo scorso marzo, Roger Cohen sul N.Y. Times ha scritto che “Trump ha imparato da Berlusconi a vantarsi di essere super-ricco e come Berlusconi nessuna gaffe lo scalfisce. Entrambi vengono dal settore immobiliare ed entrambi sono nel campo dell’intrattenimento televisivo”.

Inoltre, reti TV come la Bbc non fanno altro che paragonare Trump a Berlusconi per le amicizie (ed affari) con lo zar russo Vladimir Putin.
Recentemente, Thompson ha pubblicato un libro intitolato “Enough Said: What’s Gone Wrong With the Language of Politics?” (Ci siamo stufati: cosa non ha funzionato nel linguaggio politico).
A Berlusconi, Thompson attribuisce il “merito” di parlare un linguaggio semplice e ripetitivo. A Grillo va il “merito” di un linguaggio populista e a Cesare l’invenzione delle frasi brevi. Tutti elementi che si ritrovano nel candidato Trump.

Sul suo giornale, lo scorso agosto Thompson ha scritto un commento contro lo “Straight Talk” (linguaggio diretto) e a favore della “retorica”, cosa “favorita dall’elite dell’antica Roma. Mentre Marco Antonio si rivolgeva ai plebei dicendo, ‘Anche se sembro ricco e potente, in veritá sono uno di voi’. Berlusconi ha fatto la stessa cosa: ‘Se c’é una cosa che non posso tollerare é la retorica. Sono solamente interessato a fare ció che c’é bisogno di fare’”, ha scritto Thompson, parafrasando Berlusconi e paragonando il suo modo di esprimersi all’oratoria di Twitter (di cui Trump fa ampio uso per comunicare). A Berlusconi viene attribuito la frase diretta agli operai: “sono uno di voi, mi lavo le mani prima di andare in bagno”.

Peró, nella sua foga di affibbiare il fenomeno Trump –– o trumpismo come viene ora chiamato –– agli italici, Thompson trascura un elemento puramente americano: il linguaggio di Trump è l’esatto contrario del “political correct” ed ha avuto un enorme successo in una grande porzione della popolazione degli Stati Uniti e, in modo crescente, nel mondo.

Come ho scritto di recente, Trump ha colto il fatto che il “political correct” (detto anche "marxismo culturale") è un linguaggio artificiale (nel senso che per molte persone non é spontaneo o naturale), imposto alle masse dagli intellettuali di sinistra, che amano la retorica.

Seppur il merito di questa intuizione debba essere attribuito a Trump, questo atteggiamento si trovava giá nelle menti di molti americani, che ora sono stati in grado di individuarlo identificandosi con il trumpismo.
Quando, negli anni 70, il “political correct” rimaneva confinato nei soli circoli intellettuali, questo non influiva su una grande parte della società americana. Ma dal 1990, come riscontrato in un articolo del “New York Times” del 22 ottobre dello stesso anno, il “political correct” è diventato un' imposizione prima al mondo accademico, poi ai media, quindi ai politici ed infine al grande pubblico.

Per oltre un quarto di secolo molti americani si sono sentiti sotto un giogo che stava erodendo la loro libertà di espressione, e negli ultimi anni si sono persino sentiti minacciati da questa imposizione. Trump è quindi visto come un salvatore che é finalmente entrato nelle arene politiche e pubbliche per liberare questi cittadini.