Esteri

Vietnam, dopo i sorrisi del 2020 c'è il congresso: Trọng verso il 3° mandato

di Lorenzo Lamperti

Il Vietnam è stato uno dei pochi paesi a crescere durante il primo anno pandemico. I "nuovi" leader tra ascesa geopolitica e la contesa Usa-Cina

Efficace contenimento (o meglio prevenzione) dell'emergenza sanitaria, crescita economica vicina al 3 per cento nonostante la crisi pandemica globale (e grazie anche a qualche effetto distorsivo della contesa tra Stati Uniti e Cina), ruolo politicamente di primo piano all'interno dell'ASEAN (con la presidenza di turno che ha portato tra le altre cose alla firma della RCEP), approfondimento dei legami diplomatici (e difensivi) con le potenze medie asiatiche come Giappone e India, approfondimento dei legami diplomatici (e commerciali) con l'Unione europea dopo l'entrata in vigore dell'accordo di libero scambio.

Il Vietnam è uno tra i pochi paesi al mondo che ha potuto archiviare il 2020 con un bilancio positivo. E ora inizia il 2021 con il 13esimo congresso del Partito comunista, in programma ad Hanoi dal 25 gennaio al 2 febbraio. "Processo opaco e abbastanza imprevedibile, il 13° Congresso Nazionale del Partito comunista vietnamita stabilirà le priorità politiche ed economiche del Vietnam e nominerà le quattro figure chiave del sistema politico del Paese per i prossimi cinque anni", dice Tullio Ambrosone di Associazione Italia-ASEAN

Il sistema politico vietnamita si basa infatti sul principio dei "quattro pilastri": segretario generale del partito, primo ministro, presidente della Repubblica e presidente dell'Assemblea nazionale. Le figura centrale è quella del segretario del partito, ricoperta negli ultimi dieci anni da Nguyễn Phú Trọng. Secondo le indiscrezioni della vigilia, Trọng dovrebbe essere nominato nuovamente segretario. Se ciò fosse confermato, sarebbe una notizia sorprendente per diversi motivi. Il primo è che da circa un anno e mezzo è praticamente sparito dalla scena pubblica, con voci che si ricorrono insistenti sulle sue precarie condizioni di salute. Il secondo è che il regolamento del partito prevede che non si possa ricoprire la carica per più di due mandati consecutivi.

Se davvero Trọng dovesse restare segretario, dal congresso dovrebbe dunque uscire anche una revisione costituzionale. Non sarebbe la prima volta che un principio viene violato a suo vantaggio. Dal 2018, infatti, Trọng ricopre contemporaneamente anche il ruolo di presidente, dopo la morte improvvisa del predecessore Tran Dai Quang. Secondo alcuni analisti, la permanenza di Trọng al potere significherebbe che non si è arrivati a un accordo per sceglierne il successore. Ma non è escluso che possa anche non terminare il suo terzo mandato, qualora venisse trovato il nome giusto in corso d'opera.

L'attuale primo ministro, Nguyễn Xuân Phúc, era considerato uno dei favoriti per diventare segretario. Secondo le voci trapelate dal comitato centrale (che anticipa di qualche settimana il congresso), sarà invece nominato presidente, ruolo con funzioni più cerimoniali dal quale avrà maggiori difficoltà a incidere politicamente. Phạm Minh Chính, capo della commissione centrale organizzativo e del personale del partito, dovrebbe essere il nuovo primo ministro. Vuong Dinh Hue, ex vice primo ministro e segretario del partito ad Hanoi, dovrebbe diventare invece il nuovo presidente dell'Assemblea nazionale.

Questi quattro nomi indicano che potrebbe essere disattesa un'altra regola non scritta: quella di dividere gli incarichi tra rappresentanti del nord e del sud del Vietnam. Stavolta, invece, tutti i 4 pilastri sarebbero "settentrionali". I circa 1600 delegati chiamati a partecipare al congresso dovrebbero di fatto ratificare quanto deciso dal comitato centrale, che solitamente arriva a decisioni frutto di un lungo confronto interno, che talvolta può assumere i contorni di un vero e proprio scontro. Come accaduto al 12esimo congresso, quando la fazione di Trọng ebbe la meglio su quella dell'ex primo ministro Nguyễn Tấn Dũng, con diversi suoi esponenti finiti nel mirino di una campagna anti corruzione.

Dal congresso usciranno anche il nuovo piano quinquennale e indirizzi sulla politica estera. Dopo un 2020 ricco di successi, spiega Tullio Ambrosone, "il 2021 pone diverse sfide per la nuova leadership vietnamita, soprattutto sul piano internazionale con lo scontro tra USA e Cina e il delicato ruolo della regione del Sud-Est asiatico. Il Vietnam dovrà da un lato tranquillizzare Washington sul piano economico, dopo le forti lamentele di Trump per alcune pratiche commerciali poco corrette, e allo stesso tempo continuare a rafforzare il rapporto con Pechino, nonostante le tante aziende che stanno lasciando la Cina per puntare sul sistema produttivo vietnamita". 

In realtà, Washington ha reso noto proprio nei giorni scorsi che non punirà Hanoi, nonostante le accuse di manipolazione valutaria. La decisione di non imporre tariffe segnala la volontà americana di puntare su un partner che si sta ritagliando un ruolo sempre più importante nell'area dopo la normalizzazione dei rapporti bilaterali, avvenuta nel 2015. 

Durante la sua presidenza di turno in area ASEAN, il Vietnam ha dato una forte impronta alla sua politica regionale, accelerando sulla firma della RCEP (l'accordo commerciale che include i 10 paesi Asean, Cina, Giappone, Corea del sud, Australia e Nuova Zelanda) e proponendo un approccio meno frammentato del solito sul delicato tema del mar Cinese meridionale. Pur non facendosi "arruolare" da Washington, il Vietnam ha approfondito i legami con Giappone, India e Australia, anche dal punto di vista difensivo, contribuendo al rafforzamento dell'impalcatura asiatica extra sinica. 

Allo stesso tempo, però, i rapporti con Pechino sono profondi soprattutto dal punto di vista commerciale, nonostante gli spinosi dossier delle rivendicazioni territoriali e della valle del Mekong. "Da segnalare, inoltre, il dinamismo del Vietnam con i partner europei", ricorda Ambrosone. "Ad agosto è entrato in vigore l’accordo di libero scambio con l’Unione Europea, mentre a fine dicembre dopo la Brexit è stato annunciato un accordo molto simile anche con il Regno Unito. Anche dopo il cambio di leadership", conclude Ambrosone, "verosimilmente il Paese continuerà a diversificare le sue relazioni internazionali con un approccio multilaterale e con l’obiettivo di accrescere il suo peso geopolitico ed economico nello scenario regionale e globale".