50 Best Restaurants: la Francia c'è, ma segna il passo, ecco perchè
La celebre cucina francese vince dei premi a New York, ma resta ai margini della nuova bibbia della tavola
Lunedì sera al Cipriani Wall Street di New York dove si è celebrata la serata dei 50 World Best Restaurants anche la cucina francese ha avuto il suo momento di gloria con tre protagonisti che hanno avuto il loro posto nella foto di famiglia con i vincitori.
Ma la presenza di chef francesi, protagonisti dell'evoluzione della tavola e inventori della Nouvelle Cuisine, resta marginale nelle classifiche del nuovo ghota del gusto.
I premi sono andati a:
Pierre Hermè con il premio "Mihùglior pasticcere del mondo" definito da Vogue America "Il Picasso dei dolci" per la sua continua capacità di modificare i codici della pasticceria. Erede di una famiglia da quattro generazioni di pasticceri e panettieri alsaziani ha cominciato a quattordici anni con Gaston Lenotre e poi da Fauchon. Un uomo che propone ricette che sono esperienze gustative che abbinano sapori sempre inediti, come il suo straordinario Macaron all'olio d'oliva.
Al suo fianco Alain Passard ha ricevuto il premio "Dinner Club Lifetime Achievement 2016" una ricompensa alla carriera. Il celebre chef, interprete di una cucina all'avanguardia, tristellato Michelin, propone piatti sani, leggeri e vegetali. Bretone diventa cuoco a quindici anni e lavora con celebri nomi fino ad aprire il suo L'Arpege che lo renderà famoso.
Infine Dominique Crenn "Migliore donna chef al mondo" emblema della cucina francese e delle donne che la rendono viva. Dopo Helene Darroze nel 2015 e Anne-Sophie Pic nel 2011, è toccato alla chef, bretone anch'essa, che lavora a San Francisco dove esprime al sua arte e passione. Stellata Michelin sin da giovanissima ha aperto il suo ristorante "Le Petit Crenn".
Inoltre nei primi cinquanta al mondo figurano il Mirazur, Septime e appunto l'Arpege, una consacrazione che testimonia il rispetto dell'ecositema della gastronomia mondiale verso la Francia, che era assente nelle passate edizioni.
Da notare, in ogni caso, che gli chef francesi sono ancora in coda secondo questa nuova bibbia della ristorazione, dove la giuria blebiscitaria composta da giornalisti, esperti gastronomi e chef, provenienti da ventisette regioni del mondo, premia sempre più l'audacia e la creatività destrutturata, molto di moda, e sempre meno la tradizione delle famiglie e degli interpreti.
Giudizi alle volte meno stabili di quelli delle stelle Michelin.
La domanda resta, è la cucina francese a non essere all'altezza delle nuove tendenze o sono gli sponsor a guidare le scelte?